La nuova architettura istituzionale degli enti locali, così come si configura nel provvedimento 135/2012, apre la riflessione su alcuni temi che riguardano le competenze in materia di pianificazione tra le future Città Metropolitane e le varie forme di cooperazione intercomunale, più o meno strutturate sul territorio (Convenzioni e Unioni di comuni).
L’art 19 Funzioni fondamentali dei comuni e modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali promuove le forme di intercomunalità aumentando il ventaglio delle funzioni fondamentali comunali, tra cui la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovra comunale, da svolgersi obbligatoriamente dal 1 gennaio 2014 in forma associata attraverso le Unioni di Comuni (enti locali a eleggibilità indiretta già previsti dalla legge 142/90 e dal Tuel 267/2000) o le Convenzioni. Tale prescrizione vale per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (vale a dire circa il 70% degli 8000 comuni italiani). Con il successivo art. 20 Disposizioni per favorire la fusione di comuni e razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali si incentiva inoltre, attraverso l’erogazione di un contributo erariale, la fusione dei comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti.
L’incentivo alla cooperazione intercomunale si configura come provvedimento necessario per rispondere all’eccessiva frammentazione dei Piani regolatori generali, non più corrispondenti ai reali processi di metropolizzazione del territorio che di fatto hanno ormai travalicato gli stessi confini amministrativi. Tuttavia permangono alcune criticità nei contenuti del provvedimento:
Le Regioni, previa concertazione con il Comitato delle Autonomie Locali e con i comuni interessati, sono investite del compito di individuare, di concerto con i Comuni, la dimensione ottimale delle Unioni o delle Convenzioni che non può essere inferiore ai 10.000 abitanti. Come si coniuga la prerogativa assegnata alle Regioni di delimitare gli ambiti della cooperazione con la funzione di coordinamento della Città metropolitana stabilita al Comma 9 dell’art 18 “Lo statuto definitivo della città metropolitana disciplina i rapporti fra i comuni facenti parte della città metropolitana e le modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane, prevedendo le modalità con le quali la città metropolitana può conferire ai comuni ricompresi nel suo territorio o alle loro forme associative, anche in forma differenziata per determinate aree territoriali, proprie funzioni, con il contestuale trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro svolgimento; prevede le modalità con le quali i comuni facenti parte della città metropolitana e le loro forme associative possono conferire proprie funzioni alla medesima con il contestuale trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro svolgimento”?
Che rapporto ci sarà tra la pianificazione associata di competenza delle Unioni di Comuni e la “pianificazione territoriale generale” relativa al territorio della città metropolitana? La questione si pone sia per i Comuni che separano il Piano comunale strutturale da quello operativo, sia per quelli nei quali tale possibilità non è prevista dalla legge regionale. In entrambi i casi il grado di “prescrittività” della pianificazione comunale associata, qualsiasi forma essa assuma e in modo particolarmente evidente per la parte strutturale, sarà molto più marcato di quello della pianificazione generale della città metropolitana. L’art 18 della L. 135/2012 attribuisce infatti la competenza in materia urbanistica della Città metropolitana facendo riferimento alla pianificazione generale, con contenuti presumibilmente di Piano Territoriale di Coordinamento e quindi di carattere indicativo, programmatico, strategico ma non prescrittivo, se non per alcuni aspetti relativi alla pianificazione comunale.
Il rischio è quello che le Unioni di Comuni, incentivate dalla legge 135/12, procedano a redigere i loro strumenti urbanistici, eventualmente con la parte strutturale in forma associata e la parte operativa affidata ai singoli comuni, e divengano esse stesse il riferimento territoriale di indirizzo e non la città metropolitana, rispondendo così a istanze locali, quali quelle comunali, e non ad esigenze di carattere generale relative ai territori dell’area metropolitana. La pianificazione di area vasta si configura infatti come funzione sovracomunale e come tale, in base al principio di adeguatezza, va attribuita ad un livello intermedio.
Ad oggi le Unioni di Comuni sono poco presenti, come fenomeno, nei territori provinciali delle 10 città metropolitane (Mariano, 2012), da un lato perché la norma precedente ne prevedeva la costituzione su base volontaria, dall’altro probabilmente per un problema di resistenze dei vari soggetti (province e comuni più grandi) preoccupati che l’istituzione delle Unioni di comuni potesse minare il proprio ruolo politico e istituzionale. L’art 19 potrebbe configurare un nuovo assetto all’interno del territorio provinciale, assegnando all’Unione di Comuni, paradossalmente, più poteri sul territorio della città metropolitana.
Da un lato molte perplessità permangono circa la possibilità di esercitare in forma associata la funzione della pianificazione urbanistica attraverso una Convenzione, un soggetto non giuridico, che ha durata triennale (art 19, comma 1 lett b). D’altro canto le Unioni di comuni sono enti locali di secondo livello, ossia non elettivi, privi quindi di legittimazione democratica attraverso il meccanismo elettorale. Con il trasferimento delle funzioni e la gestione comune di servizi importanti per il territorio, il potere decisionale su materie cruciali riguardanti la vita del territorio sono affidati, di fatto, a enti non eletti direttamente.
Riferimenti
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