La confusione e l’incertezza che continuano a caratterizzare il processo attuativo di Roma Capitale sono notevoli. I relativi problemi possono così sintetizzarsi:
L’art. 114, co. 1, Cost. non comprende Roma Capitale tra gli elementi costitutivi della Repubblica; né vi fa riferimento il secondo comma dello stesso articolo stesso [1]. Di ciò non sembra avere tenuto adeguato conto il legislatore ordinario, allorché ha (forse) configurato Roma Capitale come nuovo ente autonomo territoriale [2]. Sembra andare in contrario avviso –sempreché non si tratti di imprecisione tecnica- il recentissimo decreto- legge n. 188 del 5 novembre 2012 (su cui si tornerà) che si riferisce, invece, al “Comune di Roma Capitale” (art. 5, comma 1, lett. b).
Il riconoscimento costituzionale della qualità di Capitale (la cosiddetta “capitalità”), contenuto nel terzo comma dell’art. 114 Cost., ha un senso solo se si connette questo riconoscimento all’art. 5 dei “Principi fondamentali” della Carta: Roma Capitale come simbolo ed emblema evocativo dell’unità ed indivisibilità della Repubblica (che, pure, “riconosce e promuove le autonomie locali”).
La riserva di legge contenuta nel terzo comma dell’art. 114 Cost. ha natura di riserva di legge relativa, organica e statale e concerne, oltre agli aspetti organizzativi della struttura ordinamentale, anche e sicuramente l’attribuzione delle funzioni connesse all’essere Capitale [3].
Il processo attuativo di Roma Capitale si è svolto nel segno della confusione e della inadeguatezza. Il comune denominatore della vicenda è l’abdicazione alla riserva di legge organica statale di disciplina unitaria della Capitale, di cui si diceva, con un forte recupero del ruolo della Regione Lazio e la riconfigurazione di Roma Capitale quale nuovo ente territoriale, autonomo e aggiuntivo rispetto alla Regione, Città metropolitana, Provincia.
Il percorso, ancora in atto, è rimasto caratterizzato dalle seguenti, principali sequenze:
Un primo schema di delega legislativa, “Per l’ordinamento di Roma Capitale ai sensi dell’articolo 114, ultimo comma, della Costituzione” e concernente, tra le altre, le materie del governo del territorio e dell’edilizia pubblica e privata, nonché il conferimento alla Capitale di una speciale potestà regolamentare “anche in deroga” e “in relazione alle peculiari esigenze del ruolo di Capitale”, non è mai andato in porto, rimanendo lettera morta.
Venne invece approvata una legge delega, avente oggetto spurio e diverso, sul cosiddetto federalismo fiscale: si tratta della legge “Calderoli” n. 42 del 5 maggio 2009. All’interno delle “Norme transitorie e finali”, contenute nel Capo VIII e conclusivo, è inserito l’articolo 24, rubricato come “Ordinamento transitorio di Roma Capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione”, a valere “in sede di prima applicazione” e fino alla attuazione “della disciplina delle Città metropolitane”. Ciò poteva assumere l’unico significato, se non andiamo errati, che il legislatore statale poneva tra parentesi l’idea di una disciplina organica e compiuta della sua Capitale, aprendo una fase transitoria, peraltro diretta, nelle sue buone intenzioni (di cui è notoriamente lastricata la via dell’inferno), a connettere il disegno legislativo definitivo della Capitale alla futura Città metropolitana di Roma, con l’ulteriore conseguenza di differenziare nettamente tale speciale forma di Città metropolitana (di Roma), in quanto riferita, appunto, alla Capitale. Ma anche su tale versante, come si vedrà tra poco, il legislatore statale ha poi imboccato un diverso percorso [4].
Nel maggio del 2009, il Presiedente del Consiglio allora in carica, on. Silvio Berlusconi, prometteva solennemente in Campidoglio, dinanzi ad un compiaciuto Sindaco ed avendo dietro di sé la statua di Giulio Cesare, che il Governo avrebbe dato mano ai necessari decreti delegati per la Capitale nel termine di sei mesi dalla promessa.
Il termine, ovviamente, non è stato rispettato; e comunque, già sulla scelta dello strumento della delega vanno affacciate perplessità di natura istituzionale, avendo il Parlamento così rinunciato alla approvazione di una legge ordinaria organica sulla Capitale della Repubblica [5].
Dopo oltre un anno, venne invece emanato il decreto legislativo n. 156 del 17 settembre 2010 (“Disposizioni recanti attuazione dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale”). Nonostante la ricercata coincidenza con l’anniversario del 20 settembre (ricorrevano i 140 anni della riunione di Roma all’Italia), questo decreto non ha reso affatto un buon servizio alla Capitale. Esso, infatti, non si occupa né delle funzioni né delle risorse da attribuire a Roma Capitale, riducendosi alla non esaltante disciplina della ridenominazione formale degli organi preposti alla amministrazione del nuovo (?) ente.
Intanto, i termini previsti nella legge di delegazione, già prorogati una prima volta, stavano pericolosamente approssimandosi alla nuova scadenza, fissata al 21 novembre 2011. Ed è appunto in tale data ultima che il nuovo Governo tecnico, nel frattempo subentrato, ha approvato lo schema di un nuovo decreto legislativo, così recando un ulteriore elemento di perplessità costituzionale al già non edificante quadro di insieme.
Il decreto legislativo porta quindi la data del 18 aprile 2012, indicando in epigrafe: “Ulteriori disposizioni recanti attuazione dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di Roma Capitale”. L’art. 1 del decreto riveste notevole importanza, poiché chiarisce il senso della transitorietà della disciplina, rispetto al futuro assetto della Città metropolitana di Roma Capitale, prevedendo che: “A decorrere dall’istituzione della Città metropolitana di Roma Capitale” le nuove disposizioni dovranno intendersi riferite, appunto, alla Città metropolitana romana. La vera sorpresa viene subito dopo, nel secondo comma, là dove si stabilisce che, con apposita legge regionale, “sentiti la Provincia di Roma e Roma Capitale”, “possono essere conferite a quest’ultima ulteriori funzioni amministrative nell’ambito delle materie di competenza legislativa della Regione” [6]. Si aggiunga che, diversamente dal testo originario, che fissava un termine di novanta giorni per l’adozione della legge regionale, la nuova formulazione dell’articolo 1 del decreto non contiene alcun termine. In ogni caso, essendo il governo del territorio materia di competenza regionale, sarà appunto il legislatore regionale a conferire le relative funzioni amministrative a Roma. Tale soluzione non può essere condivisa per una serie di valide ragioni: in primo luogo, perché, trattandosi di competenza ripartita, il legislatore statale avrebbe comunque dovuto fissare i principi fondamentali della materia; in secondo luogo, perché, non avendolo fatto, il legislatore regionale, secondo i noti insegnamenti della Corte costituzionale, li dovrebbe desumere dalla legislazione statale vigente del settore, ma essi sono sostanzialmente (e ovviamente) assenti per quanto concerne la Capitale; in terzo luogo, perché ci si pone in contrasto con la riserva di legge prevista dall’art. 114 Cost., che è riserva di legge statale organica, e non regionale.
Ad esaminare il decreto delegato, ci si accorge poi che funzioni o materie, di competenza statale, conferite alla Capitale, in pratica ce ne sono assai poche [7].
Il decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 135 del 7 agosto successivo (cd. sulla “Spending review”), contiene una serie di importanti disposizioni racchiuse nell’art. 17 (“Riordino delle Province e loro funzioni”) e nell’art. 18 (“Istituzione delle Città metropolitane e soppressione delle Province del relativo territorio”), entrambi, a loro volta compresi nel Titolo IV, “Razionalizzazione e riduzione della spesa degli enti territoriali”. Ancora una volta, l’approccio ad importanti riforme di carattere istituzionale e con evidenti ricadute sul quadro costituzionale del Paese viene condotto in maniera impropria, nel segno delle esigenze del contenimento della spesa (l’art. 17 parla espressamente della finalità di “contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica”), mentre quest’ ultimo dovrebbe essere una conseguenza, e non il senso ultimo della riforma. Tanto vale dire subito che il riordino delle Province è l’esito di un percorso assai accidentato, che parte già dal decreto-legge n. 201 del 2001 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 22 dicembre successivo), cosiddetto “Salva-Italia”), il cui art. 23 mirava a conservare le Province quali enti esercitanti (“esclusivamente”) funzioni di indirizzo e di coordinamento, e che ora avviene sulla base di requisiti minimi (come la “dimensione territoriale” e la “popolazione residente”), a loro volta affermati, ma subito contraddetti, primizia di ciò che inevitabilmente sta accadendo e deve ancora accadere: si pensi al decreto-legge del 5 novembre 2012, n. 188 (“Disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane”) [8].
Per quanto riguarda le Città metropolitane, le relative Province “sono soppresse” (art. 18, comma 1, l. n. 135/2012), a cominciare da quella di Roma, con le tempistiche e le sequenze indicate nello stesso art. 18. Importanti prerogative sono riconosciute in favore dello statuto della Città metropolitana: il comma 2-bis dell’articolo in esame prevede, ad esempio, che la fonte statutaria provvisoria (in attesa dello statuto definitivo di cui al successivo comma 9 [9]) può stabilire “una articolazione del territorio del Comune capoluogo in più Comuni”, prescrivendo, in tale caso, un farraginoso iter referendario consultivo a quorum di partecipazione variabile; mentre il comma 4 dello stesso articolo prevede che lo statuto (nella duplice versione provvisoria e definitiva) può stabilire che il Sindaco metropolitano “sia di diritto il Sindaco del Comune capoluogo” [10].
Se Roma Capitale meriti tutto questo e se tutto questo sia degno di una Capitale –e quale Capitale: la Città Eterna!-, ognuno può facilmente valutare.
[1] Che fissa l’autonomia statutaria (con “propri statuti, poteri e funzioni”) di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
[2] Si consideri che, se così fosse, Roma Capitale non rientrerebbe neppure tra gli elementi costitutivi della Repubblica!
[3] Tra queste si collocano, in primo luogo, le materie del governo del territorio, del paesaggio e dell’urbanistica, non potendo le scelte pianificatorie non tenere conto delle particolari esigenze di cui Roma è portatrice per il ruolo di Capitale da essa rivestito. Si deve qui aprire una parentesi: ed infatti il nuovo Prg romano, approvato nel febbraio del 2008 sembra, da questo punto di vista, rimanere alquanto irrisolto tra la tradizionale visione pianificatoria di ambito comunale, la dimensione metropolitana verso cui, pure, il Piano decisamente si dirige, e le esigenze della capitalità.
[4] In tema di governo del territorio, il comma 3 del citato art. 24 attribuiva a Roma Capitale, “oltre a quelle attualmente spettanti al Comune di Roma” anche le funzioni amministrative relative allo “sviluppo urbano e pianificazione territoriale” e alla “edilizia pubblica e privata” .
[5] Di cui lo stesso Parlamento è organo rappresentativo in forza di esercizio diretto di sovranità popolare, con ciò sminuendo di fatto e ancora una volta la percezione di quella valenza simbolica di cui la Capitale è portatrice e di cui, pure, si è detto.
[6] Essendo la Provincia di Roma destinata (probabilmente) ad estinguersi nella Città metropolitana, sarà verosimilmente quest’ultima a dovere essere sentita, né avrebbe molto senso sentire un ente (la Provincia di Roma) ormai “in articulo mortis”.
[7] In tema di “Beni storici, ambientali e fluviali” si prevede la creazione di una “Conferenza delle Soprintendenze” estesa alla Soprintendenza capitolina; in materia di fiere, in materia di promozione turistica, ecc. Le funzioni amministrative significative conferite sembrano, in realtà, solo quelle in materia di protezione civile.
[8] A causa delle dimissioni del Governo Monti e della anticipata conclusione della legislatura, il decreto non è stato convertito in legge.
[9] Il “doppio statuto”, che ricorda tanto il “doppio sogno” di Schnitzler, la dice lunga sul livello confusionale in cui sembra muoversi il legislatore statale.
[10] L’omissione di qualsiasi considerazione per la situazione speciale di Roma Capitale avrebbe potuto condurre a conseguenze addirittura aberranti (ove il Sindaco metropolitano designato fosse stato, ad esempio, e con tutto il rispetto per il Comune di Affile, il Sindaco di Affile, quest’ultimo sarebbe anche diventato automaticamente Sindaco di Roma Capitale in quanto città capoluogo?). A ciò ha cercato di porre riparo, con una logica, ancora una volta, affrettata e frammentaria, il recente e già citato decreto-legge n. 188 del 5 novembre 2012, che contiene, nell’ art. 5, due incisi di esclusione in favore della Città metropolitana di Roma.