Urbanistica INFORMAZIONI

L’urgenza della città metropolitana

Il discorso sulla città metropolitana comporta aspetti diversi e complessi, ma certamente la competenza nella pianificazione del territorio è stata ampiamente riconosciuta come una dei cardini della sua istituzione. In alcun casi, che segnalerei come particolarmente virtuosi, sotto questo profilo, si è ricorso proprio alla pianificazione come ad uno strumento per delimitare lo spazio geografico della città e individuarne le funzioni amministrative, com’è avvenuto con il lancio del piano strategico della Provincia di Roma.
L’approccio strategico presenta anche una sua positiva originalità rispetto alla cornice nella quale ci ritroviamo ad affrontare il multi-decennale problema della costituzione della città metropolitana, miseramente fallita ad ogni successivo tentativo. Questo riformismo diretto dalle politiche di riduzione della spesa pubblica, più populisticamente sbandierato come spese della “politica”, rischia di coniugarsi perennemente con quel marchio negativo antistatalista il cui principale difetto è di fermarsi alla prima tappa della “riduzione dello stato”. Un liberismo tanto viscerale quanto elementare non si accorge del suo anacronismo e del danno che fa al paese nel consesso delle nazioni a democrazia avanzata che si sono sempre impegnate in fondamentali politiche di riforma degli apparti pubblici per elevarne la qualità, partendo da sistemi formativi già molto superiori ai nostri quali l’Ena francese ed il sistema universitario d’élite britannico.
Progettare la città metropolitana all’interno di una cornice strategica ci riconduce al momento e alla dimensione europea quando la riorganizzazione amministrativa era vista come uno strumento di competitività territoriale. Allora due fondamentali esigenze si facevano avanti: 1) il riconoscimento dell’area metropolitana come unità sociale ed economica, una coesa entità funzionale con inestricabili interazioni interne; 2) la necessità di un ampliamento della responsabilità dell’ente locale nei confronti delle imprese e dei cittadini per sostenere le dinamiche di sviluppo non solamente con le dotazioni infrastrutturali ad esso più funzionale, ma anche con azioni di networking e pianificazione di visioni condivise.
Vent’anni di governo di centrodestra hanno azzerato tutte le politiche di sviluppo che stavano avviando la costruzione di reti locali di cooperazione, approfittando degli inevitabili fallimenti delle fasi inziali e sperimentali. Il pregiudiziale timore di conferire risorse e poteri ad enti pubblici (o pubblico-privati) di gestione di programmi di sviluppo, ad essi contrapponendo la razionalità del mercato, in realtà è del tutto allineato con un sistema industriale polverizzato e ne fa permanere la sua intrinseca debolezza di frammentazione e dimensione organizzativa.
È anche vero che il distretto industriale si è manifestato con un’evidente tendenza anti-metropolitana perché gli incoraggiamenti a consolidare tali comunità produttive avrebbero comportato la polarizzazione di quelle aree suburbane su cui già si era decentrata l’industria fin dagli anni ’60. Tuttavia anche in questo settore si avvertiva l’attrazione metropolitana fin dagli inizi degli anni ’90, quando la concorrenza internazionale stava alimentando la crisi dei distretti che non riuscivano a crescere nelle loro aggregazioni e proiettarsi sui mercati esteri in maniera competitiva. A quel tempo, e per quelle ragioni, cresceva la domanda di servizi, cultura e ricerca scientifica delle imprese, beni che solamente le metropoli possono offrire, producendo reti più vaste ed articolate, ma rimaste opache alla pubblica amministrazione ed alla sua organizzazione.
Perciò il rifiuto italiano della politica urbana, così singolare in Europa, sia che lo si confronti con gli indirizzi comunitari che con le politiche nazionali dei paesi membri, ha lasciato che queste dinamiche fossero confinate al livello locale ed al settore privato.

Nella pianificazione provinciale, si è andata a scandire un profilo speciale quando s’investivano le aree metropolitane. In tal caso, come a Bologna, assumevano un piglio più operativo, con la promozione effettiva di cooperazioni intercomunali nelle cinture del capoluogo, oppure, come a Milano, si inoltravano in interpretazioni innovative della specificità delle reti di relazioni della vita metropolitana. Prevalentemente con processi bottom-up, si avventuravano a disegnare linee di azioni, anche in forme concorsuali, superando quel descrittivismo della prima fase, ma persistente nelle aree a maggiore dispersione insediativa ed equipollenza delle polarità urbane.
Ciò nonostante la spinta all’incisività, la cui provenienza è da ascrivere proprio a quell’interrelazione funzionale già accennata, trovava insuperabile limite nelle competenze dell’ente provincia, provocando, talvolta, uno sbilanciamento della pianificazione, la quale, seguendo i problemi rilevati e prospettando le opportune soluzioni, si trovava ad entrare in conflitto tanto con i livelli superiori che inferiori di governo. Né la teorica abolizione delle gerarchie, poteva rivelarsi base sicura e prolifica di interazione e cooperazione. Alla fine si restava costretti a registrare che l’attore istituzionale più debole era proprio quella provincia che si era fatta promotorice del piano metropolitano. Si comprende meglio questo problema se si passa in rassegna quali temi di pianificazione e, quindi, quali competenze dovrebbero essere collocate a livello metropolitano.
Poiché, tra i più affermati criteri d’individuazione di un’area metropolitana c’è quello del pendolarismo quotidiano, si può essere abbastanza sicuri quando si vuole includere nella pianificazione e competenze metropolitane i trasporti locali. Il riscontro con la Grande Londra e Parigi verifica quest’assunto base anche con l’estensione geografica delle aziende di trasporto locale vuoi per il servizio che per la gestione e realizzazione delle infrastrutture.
L’urgenza di una politica metropolitana dei trasporti è accentuata dalla crescita dei costi di carburante che penalizzano in maniera crescente le modalità individuali e su gomma. In tal caso, motivazioni economiche finiscono per convergere con quelle di carattere ambientale come la riduzione dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni di gas climalteranti.
Se la pianificazione dei trasporti si è limitata ad agire sull’offerta, dando per fissa la distribuzione della domanda, quando ad essa si aggrega la politica delle abitazioni, si presenta l’opportunità di poter mettere in funzione entrambe le leve, con effetti più potenti di riorganizzazione del sistema insediativo, con beneficio per l’economia del trasporto pubblico e il rafforzamento degli strumenti per favorire lo spostamento modale dei pendolari. Per questo motivo, una pianificazione abitativa metropolitana coordinata ai trasporti è di centrale importanza per lo sviluppo sostenibile. Sebbene non risulterebbe accettabile il completo trasferimento in capo all’ente metropolitano delle decisioni sulla localizzazione delle abitazioni, andrebbe comunque modulata una strategia coordinata tra l’indirizzo d’insieme e responsabilità locali di attuazione e decisione.
Volendo solo accennare alle problematiche metropolitane più evidenti non abbiamo potuto fare a meno del riferimento allo sviluppo sostenibile, argomento di fatto trasversale ad ogni specifico settore, ma anche diventato cuore delle realtà metropolitana. Infatti, le politiche ambientali si sono andate sempre di più avvicinando al territorio, seppure in dialettica con l’azione dei governi. A partire da Agenda 21 locale si sono moltiplicati programmi e organizzazioni che localizzano le politiche ambientali, tra cui Iclei, Covenant of Mayors (Patto dei sindaci), Città sane dell’Oms o le smart city dell’Anci.
In questa prospettiva ecologica, le città metropolitane amministreranno allo stesso tempo una concentrazione dell’urbanizzazione in linea con lo stop al consumo di suolo, alla protezione e valorizzazione dell’agricoltura e alla conservazione delle aree naturali messe in rete dalle connessioni dei corridoi ecologici; mentre dovranno provvedere alla riforma del proprio sistema insediativo attraverso la prioritaria riconfigurazione delle infrastrutture.
Negli ultimi vent’anni siamo passati dagli obiettivi della competitività economica dei territori alla necessità di una riorganizzazione sostenibile dell’insediamento umano e la metropoli continua ad essere il soggetto del cambiamento necessario di portata europea e nazionale, quantunque non riesce ad essere riconosciuta nel discorso politico del nostro paese. Sotto questo profilo, appare ancora debole l’ultima iniziativa legislativa quando ripropone un processo dal basso più volte fallito, lasciando come via d’uscita i poteri sostitutivi, sul cui esercizio va spesa l’ultima posta. Così ciò che si può comprendere come prudente riserva di flessibilità, avendo fatto oggetto del provvedimento una classe alquanto eterogenea di realtà urbane, riconduce nelle mani degli organismi locali esistenti la distribuzione delle competenze.
Dall’esperienza, ciò che appare più certo è che la soluzione più inadeguata sarebbe ricalcare le competenze delle Provincie, visto che hanno, in queste condizioni, già provato a comportarsi come città metropolitane con ben miseri risultati. Bisogna avere il coraggio di rivedere l‘ente comune. Da sempre considerato l’ossatura portante dell’amministrazione locale, si è dato per scontato la sua solidità così ben radicata nella cultura politica nazionale ed è sembrato sufficiente una semplice legge elettorale che desse autorità ai sindaci. Ne abbiamo fatto invece tanti Sisifo e Tantalo, come argutamente apostrofò Vandelli, riversando su di loro sempre più responsabilità senza corrispondenti poteri. Non si può seguire la stessa strada con la città metropolitana.
Trascurati i comuni, si è puntato alla costruzione delle Regioni, gli organi a cui consegnare il decentramento ma, data l’inerzia del sistema istituzionale, invece di innovare con una trasformazione generale, si è prodotto un processo cumulativo di addizione dei livelli di governo. Non possiamo correre di nuovo lo stesso rischio e le città metropolitane dovranno nascere con una devoluzione di poteri regionali sulle materie di loro competenza. Al contrario, le decisioni attraverserebbero burocrazie e rappresentanze in competizione aduse ad ostacolarsi vicendevolmente.

Data di pubblicazione: 9 marzo 2013