Pianificazione intercomunale e riassetto istituzionale - su questi aspetti, la cui necessaria complementarità continua sorprendentemente a non emergere, né a livello nazionale, né a livello locale, come tema centrale nel dibattito politico sviluppatosi intorno alla legge 135/2012 e al decreto di attuazione n. 188/2012, il caso della Toscana centrale presenta a un tempo caratteri di peculiarità ed emblematicità.
Sicuramente peculiare è la natura “una e trina” della conurbazione che, tra le province di Firenze, Prato e Pistoia accoglie su un territorio di 4800 kmq (pari a un quinto della superficie della Toscana) il 40% ca. della popolazione e delle imprese della regione, da cui deriva la metà del PIL complessivo [1]. A fronte di tale concentrazione, marcata soprattutto all’interno dell’ “ellisse” in cui sono ricompresi i territori di pianura, il ruolo polarizzante esercitato dai tre centri principali appare comunque ancora molto evidente, nonostante la loro estrema vicinanza (17 km tra Firenze e Prato, 15 km fra Prato e Pistoia), generando flussi pendolari giornalieri “auto-contenuti” all’interno delle rispettive province (con un’estensione verso la provincia di Arezzo per quanto riguarda il capoluogo regionale) in percentuali significative: 87% nell’area fiorentina, 77% e 75% in quelle di Prato e Pistoia [2].
Un’indagine del 2009 condotta dall’Ecodynamics Group dell’Università di Siena (“MoTo”) sulle variazioni nella densità di popolazione misurabili sul territorio attraverso l’intensità dei segnali lasciati dai telefoni cellulari nell’arco delle ventiquattr’ore, conferma, dandole immediata leggibilità, l’immagine di un’area metropolitana articolata al suo interno in tre sistemi urbani principali (più due secondari: Empoli e Montecatini Terme), dotati di autonome capacità attrattive ancorché strettamente relazionati fra loro.
Molto particolari – e per certi versi paradossali – sono poi le vicende che hanno riguardato i tentativi di coordinamento degli strumenti urbanistici comunali all’interno dell’area. Schematicamente, possiamo distinguere due fasi. In una prima fase, antecedente l’emanazione della legge 142/1990, la pianificazione è stata vista come terreno privilegiato di discussione sulla dimensione metropolitana, indipendentemente dal tema della riorganizzazione degli enti locali. I contributi sperimentali offerti dalla Toscana in questo campo sono assai significativi: dalle proposte pionieristiche di piani intercomunali, tra Firenze e i comuni ad ovest, avanzate su iniziativa dei sindaci fra gli anni ’50 e ’70 (e rimaste fatalmente sulla carta, in mancanza di un quadro normativo adeguato), allo Schema strutturale per l’area Firenze-Prato-Pistoia, elaborato negli anni ’80 dalla Regione sotto la guida di Giovanni Astengo, con lo scopo di fornire una «soluzione d’insieme di quegli interventi chiave che abbiano efficacia caratterizzante sulla struttura insediativa, economica e sociale dell’area presa in esame» [3]. Giunto all’approvazione nel 1990, lo Schema strutturale è a tutt’oggi l’ultimo tentativo fatto dalla Regione per sostenere e indirizzare lo sviluppo di quest’area nevralgica della Toscana attraverso la prefigurazione di un assetto spaziale organizzato su direttrici e capisaldi riconoscibili, anche se l’assenza di una regia politica e amministrativa ne ha poi svuotato nel tempo la portata strategica, consentendo trasformazioni scoordinate, più o meno apparentemente coerenti con lo Schema, portate avanti dai singoli enti locali secondo le proprie priorità e possibilità.
L’introduzione nella legislazione italiana delle “città metropolitane” a opera della legge 142, che in teoria avrebbe potuto aprire nuove prospettive al percorso di coordinamento intrapreso con lo Schema strutturale, e l’istituzione di lì a poco (1992) della provincia di Prato mediante lo scorporo di sette comuni da quella di Firenze inaugurano una nuova fase delle vicende metropolitane nel segno della contraddizione.
L’aspetto paradossale consiste nel fatto che, a dispetto delle opportunità offerte, quanto meno su un piano culturale, dalla legge 142/90, nessun soggetto pubblico, a cominciare dalla Regione, sembra più interessato a pianificare la “metropoli fiorentina”, come invece si era tentato di fare, nel bene o nel male, nel decennio precedente.
Con il nuovo corso della legislazione toscana sul governo del territorio, inaugurato dalla Lr 5/1995 e proseguito con la Lr 1/2005, il riferimento diretto alla pianificazione intercomunale (che era stato un elemento qualificante della precedente Lr 74/1984) scompare, sostituito da meccanismi di cooperazione/concertazione interistituzionale di tipo sia verticale sia orizzontale, che però saranno utilizzati più per risolvere questioni puntuali tra comuni confinanti che per costruire uno scenario d’area vasta [4]. Nell’impostazione delle due leggi, peraltro, il tema stesso dello sviluppo urbano perde centralità, stemperandosi in una nozione totalizzante, ma per molti aspetti generica, di “territorio”.
L’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia si riaffaccia, negli strumenti della pianificazione territoriale, all’interno del primo Piano d’indirizzo territoriale regionale (2000) come uno dei quattro macro-ambiti in cui viene suddivisa la regione: un’articolazione che nella variante al Pit del 2007 lascia però a sua volta il campo all’immagine, più sfumata, di una Toscana “città policentrica”.
Nel frattempo, ogni occasione di impostare, anche da un’angolazione parziale, una strategia metropolitana di un qualche respiro manca l’obiettivo o cade nel vuoto: dal Prusst del 1999 sulle aree ferroviarie, che poteva rappresentare l’occasione per fare della linea Firenze-Prato-Pistoia l’elemento ordinatore di funzioni e centralità sovra locali [5] e si è invece risolto in una sommatoria di interventi minori; al Piano strategico dell’area metropolitana fiorentina, riguardante il capoluogo e dieci comuni di cintura, le cui vicende si sono esaurite nell’arco dei due mandati amministrativi del sindaco Leonardo Domenici (2000-2009); al tentativo, soffocato sul nascere, di dar vita a una struttura per il coordinamento delle politiche di mobilità (Pinco, 2008).
L’idea di area metropolitana si trova così ad essere completamente scissa da qualsiasi ipotesi di “disegno”, diventando soprattutto il terreno di un confronto-scontro tra modelli istituzionali alternativi, rinfocolato con cadenza decennale dalle iniziative – non prive a loro volta di aspetti contraddittori – assunte sul tema a livello nazionale: la legge di riforma del titolo V della Costituzione n. 3/2001, che introduce le città metropolitane nel testo costituzionale e la legge 42/2009, che dopo quasi vent’anni si limita ancora a stabilire “norme transitorie” per la loro istituzione.
In un dibattito divenuto spilariliforme, il policentrismo dell’area Firenze-Prato-Pistoia ha dato adito alle formulazioni più diverse per estensione territoriale e forma giuridica dell’entità sovracomunale di riferimento [6], andando a coprire, già prima che il governo Monti riaprisse i giochi, un ampio range tre le alternative possibili, ovvero:
l’area complessiva delle tre province, vista ora in termini di “città metropolitana”, ora di provincia unica della Toscana centrale; è questa la dimensione territoriale a cui fa riferimento la Delibera del Consiglio Regionale n. 130 del 29 marzo 2000 “Delimitazione dell’Area Metropolitana di Firenze, Prato e Pistoia”, la Conferenza di area metropolitana istituita nel 2006, il Patto di sviluppo locale stipulato fra gli enti interessati nel 2007, una bozza di legge regionale dell’aprile 2011, la commissione speciale istituita dall’attuale presidente della provincia di Firenze, Andrea Barducci, intorno al progetto di “super-provincia” (2010-2012);
il territorio della sola provincia di Firenze (dimensione prevista per la città metropolitana fiorentina dall’art. 23 della legge 42/2009);
l’area “metropolitana” sub-provinciale corrispondente agli 11 comuni già aderenti al Piano strategico, per la quale nel 2007 si attiva la Conferenza dei sindaci nella prospettiva di costituire un’Unione di comuni (fallito anche questo tentativo, quattro di loro, affacciati sulla piana a ovest del capoluogo, proveranno a formare un’Unione per conto proprio).
L’inattesa conclusione anticipata del “governo dei tecnici”, con la mancata conversione in legge del decreto 188, non permette di capire se il meccanismo messo in moto dalla spending review rappresenti comunque l’inizio di una terza fase o l’ennesima turbolenza di questo dibattito inconcludente. Nel giro di poche settimane, la soluzione che teneva insieme le tre province, presentata dal Presidente della Regione Enrico Rossi come “territorio d’area vasta” (con funzioni omologhe agli altri due territori regionali indicati per l’accorpamento delle province: il sistema della costa e quello della Toscana meridionale) e recepita dal Governo come “città metropolitana” in senso stretto, aveva già lasciato il campo, in un emendamento approvato in Commissione al Senato, alla formula “una città metropolitana (coincidente con l’attuale provincia di Firenze) + una provincia accorpata (Prato- Pistoia)”, raccogliendo di fatto il grido di dolore (“Mai con Firenze!”) che si era intanto levato da Prato.
Ma sia pure in versione ridotta, l’istituzione di quella città metropolitana per cui Detti e Savioli più di sessant’anni fa, e Astengo più di venti anni fa, avevano cercato di comunicare in qualche modo un’immagine d’insieme dovrà ancora fare i conti con un territorio che nel tempo ha visto crescere la propria conflittualità interna e diminuire la capacità di inquadrare i problemi entro una visione progettuale complessa - come dimostra, ultima in ordine di tempo su temi infrastrutturali di valenza metropolitana, la polemica scoppiata intorno alla proposta di riposizionamento della pista dell’aeroporto Vespucci, caldeggiata fra gli altri dal Presidente della Regione. Un esempio emblematico di come una questione con elevato contenuto tecnico ed evidenti ricadute territoriali sia diventata il terreno di uno scontro tutto politico, portato avanti senza l’ausilio di elaborati conoscitivi di base che all’epoca della formazione dello Schema strutturale sarebbero apparsi, come è ovvio, necessari: una valutazione dei costi e degli impatti delle opere propedeutiche e una prefigurazione di massima – quanto meno “esplorativa” - dell’assetto territoriale a regime...
Riteniamo che sia anche sotto questo profilo – l’importanza che occorre restituire al disegno di piano, nelle forme adeguate, come medium di conoscenza e comunicazione – oltre che sull’atteso ritorno della pianificazione intercomunale e sulla ricalibratura tra strumenti “strutturali” e “operativi”, che si giocherà, nella dimensione ancora inedita della città metropolitana, l’efficacia della riforma della legge di governo del territorio il cui varo è atteso entro la fine della legislatura regionale.
[1] Cfr. L. Caterino, L. Cecconi (a cura di), Area vasta e prospettive di un ente metropolitano della toscana centrale. Quadro economico dell’area Firenze-Prato-Pistoia, Rete viluppo s.c., Prato, 2012 <http://www.retesviluppo.it> .
[2] Cfr. G. Boatti, Per Firenze metropoli, «Quaderni del Circolo Rosselli», 1/2010, Alinea , Firenze. L’articolo estrapola e sviluppa con riferimento alla Toscana centrale i dati di una ricerca nazionale (G. Boatti, L’Italia dei sistemi urbani, Mondadori Electa, 2008).
[3] G. Astengo, Processo formativo di uno schema strutturale per l’area Firenze-Prato-Pistoia, documento di lavoro, Firenze, 1985, in F. Indovina, La ragione del piano. Giovanni Astengo e l’urbanistica italiana, FrancoAngeli, Milano, 1997
[4] Per un approfondimento del tema si veda: G. De Luca, G. Gorelli, Forme di coordinamento sovracomunale, in F. Alberti, L. Nespolo (a cura di), Il progetto di città nelle politiche regionali, «Contesti. Città territori progetti», 1-2, 2011.
[5] Il tema era stato oggetto di una ricerca presentata nel 2000 dal Dipartimento di Urbanistica e pianificazione territoriale di Firenze, segnalata come best practice internazionale per l’asse C8 – Sustainable urban infrastructer – della rete di cooperazione scientifica europea COST. Cfr. F. Alberti, M. Massa, Ferrovie metropolitane e rinnovo urbano: il caso della Toscana centrale, in R. Innocenti, M. Massa (a cura di), Progetti d’infrastrutture e piani territoriali in Toscana, Alinea, Firenze, 2001.
[6] Per una documentazione puntuale, datata al febbraio 2010, si rimanda alla relazione predisposta da Bruno Dente Una ricognizione dei contesti territoriali individuati come regioni urbane o aree urbane nelle nove città metropolitane per la Commissione di lavoro ReCS (Rete delle città strategiche)-ANCI sulle città metropolitane <http://recs.it/it/commissionerecsan...> . Si veda anche "La costruzione della città metropolitana Italia" di R. Florio e A. Esposto, pubblicato sul n. 242 di Urbanistica Informazioni.