Urbanistica INFORMAZIONI

Geografie istituzionali e ruoli funzionali nella copianificazione

In questa situazione di incertezza istituzionale è alquanto difficile affrontare il tema delle diverse geografie istituzionali e amministrative e, di conseguenza, dei ruoli che le stesse devono svolgere rispetto ai temi del governo del territorio.
Anche in questa situazione, soprattutto in Piemonte e rispetto alle sue esperienze, è possibile tracciare una lettura della necessità di svolgere azioni di pianificazione in forma di collaborazione cooperativa e non esclusivamente di controllo gerarchico.
In Piemonte la storia della collaborazione istituzionale ha una lunga e consistente tradizione. A partire dalla legge regionale 56/77 (e ancor prima dalla legge regionale 41/75 istitutiva dei comitati comprensoriali) la scelta dell’intercomunalità e della pianificazione comprensoriale ha profondamente inciso sulla qualità dell’urbanistica stessa creando le condizioni per una successiva stagione di cooperazione istituzionale venuta meno con l’abrogazione dei comitati comprensoriali e con la promulgazioni delle molte modifiche della legge 56/77.
Due forme di cooperazione estremamente diverse: la prima fondata sul rapporto diretto tra amministrazioni locali, la seconda caratterizzata dalla presenza regionale nelle diverse azioni di pianificazione. Due modi per affrontare temi complessi incapaci di limitarsi e fermarsi attraversando i diversi confini amministrativi.
Una stagione che complessivamente è sopravvissuta per pochissimi anni e che, a seguito della sua conclusione certamente affrettata, ha portato a una successiva fase di stagnazione istituzione – caratterizzata da forti conflittualità locali – che si è parzialmente conclusa con la prima legge di riforma delle autonomie locali (legge 142/90) con il conseguente riconoscimento di specifiche competenze alle Province.
Si tratta, pur nella ristrettezza dei tempi dell’operatività di quelle esperienze (a cui si deve aggiungere la ricca e fruttuosa stagione delle Comunità montane), di un bagaglio pieno di capacità cooperative tra enti che non possono che arricchire l’attività di pianificazione nel rispetto delle regole, ma anche con la capacità di raggiungere obiettivi innovativi.

Partendo anche da queste esperienze è da ricordare come l’introduzione, nella legislazione piemontese, della pratica della copianificazione, e con essa delle conferenze di copianificazione prima e anche di valutazione poi, sia stata dettata principalmente da due tipi di attenzioni:
- la prima relativa alla volontà di affrontare, in forme incrementali, la formazione degli strumenti di pianificazione locale con un’azione coordinata tra le diverse amministrazioni competenti al fine di realizzare strumenti attenti alle scelte locali e osservanti dei contenuti degli strumenti della pianificazione territoriale;
- la seconda tendente a ridurre sia i tempi di formazione degli strumenti, sia – se non soprattutto – i tempi e i modi di verifica dei contenuti degli strumenti stessi e, conseguentemente, della loro approvazione.
L’insieme di questi due elementi doveva essere in grado di coordinare gli obiettivi locali (spesso sovrastimati rispetto alle effettive esigenze e aspettative delle comunità interessate) con le prescrizioni sovralocali – regionali e provinciali - e le loro indicazioni di tutela (strumenti che, per definizione, sono più attenti alla tutela delle risorse e ad un loro oculato utilizzo in quanto maggiormente distanti dalle richieste e dalle esigenze portate avanti dai singoli interessi privati).
Una forma, quindi, di cooperazione istituzionale che, superando la mera competitività tra i singoli soggetti competenti, fosse in grado realizzare disegni coordinati dell’insieme delle diverse realtà territoriali: superando confini esclusivamente amministrativi e riuscendo a configurare al meglio le politiche territoriali da mettere in campo per un corretto governo del territorio.
Questo lo spirito di questa innovativa intuizione istituzionale capace di costruire percorsi prima ancora che disegnare progetti puntuali e configurare momenti operativi di attuazione delle politiche.
Si tratta quindi di riuscire a riconoscere alle conferenze una capacità ricca di autorevolezza nell’affrontare i diversi temi del governo del territorio e non un luogo nel quale, con autorità, si impongono precetti. Una conferenza che non sia autorevole diventa esclusivamente un luogo d’esame monocratico e gerarchico (non tra soggetti paritari). Mentre dovrebbero rappresentare un momento cooperativo tra enti (costituzionalmente paritari) e, di fatto, una forma incrementale di partecipazione e di democrazia.
A tale riguardo, infatti, è utile ricordare che l’azione di governo del territorio, proprio per raggiungere il suo principale obiettivo di costituire riferimento e azione primaria per la tutela di un prezioso bene comune come è il territorio, non può che formalizzarsi secondo un modus operandi attraverso una precisa azione fondata, principalmente, sulla democrazia con l’attenzione che: «La democrazia, nell’accezione profonda del termine, non è un meccanismo di comando basato sulla somma di singole opinioni, ma il processo in cui ciascuno può contribuire liberamente al governo della Comunità. E più numerosi sono coloro i quali offrono il loro contributo, migliore sarà il risultato. La qualità di una democrazia dipende, quindi, in grande misura, dalla qualità delle discussioni che la animano: una discussione, per potersi considerare democratica, dev’essere anzitutto aperta a tutti. In secondo luogo, la discussione non può avere esiti predeterminati. Non è democrazia una discussione in cui ciascuno dei contendenti non sia disposto ad abbandonare i propri pregiudizi e a lasciarsi convincere dagli argomenti altrui.
In terzo luogo, ciascun dovrebbe partecipare alla discussione, portando le proprie passioni, ma senza pretendere di imporle agli altri.
» [1]
Proprio in questo quadro si deve poter indirizzare lo svolgimento delle conferenze e di conseguenza la formazione dei nuovi strumenti.

A seguito dell’esito del referendum del 4 dicembre 2016, la geografia amministrativa, così come definita dalla Costituzione, resta invariata e fondata sui principi dettati dalla legge 56/2014: una legge che necessita di molteplici attenzioni e adeguamenti legislativi, nazionale e regionali. La situazione che ne deriva, aumentata dall’attuale complessità del governo del territorio, si presenta, sotto l’aspetto dei ruoli e dei compiti delle singole amministrazioni, in forma alquanto difficile da gestire nei termini di una proficua cooperazione istituzione.
Infatti a fronte di una definita – per lo meno sotto l’aspetto legislativo – situazione della Città Metropolitana di Torino, ripartita nelle diverse Zone omogenee, il resto del Piemonte (che è bene ricordarlo riguarda quasi 900 Comuni) non si trova in un’analoga situazione. Le Province sono nei fatti private delle loro funzioni, ma continuano a svolgere quelle relative alla pianificazione territoriale e siedono in conferenza forti della loro esperienza derivanti da un piano territoriale ormai non più conforme alle nuove indicazioni del secondo Ptr e del futuro Ppr. Una situazione che non collima con lo spirito delle conferenze in quanto si è costretti a portare aventi principi che, a loro volta, dovrebbero essere messi in discussione dalla nuova stagione di pianificazione regionale. Difficile pensare che una situazione del genere sia in grado di portare risultati positivi alla discussione al fine di costruire adeguati strumenti per il buon governo del territorio.
Occorre un’urgente decisione in merito ai ruoli dei singoli enti partecipanti con diritto di voto alle conferenze in modo da superare l’attuale fase di incertezza ed essere in grado di ridefinire un chiaro e forte ruolo autorevole al tutto. Proprio per questo, e in questa situazione generale e dinamicamente in mutazione, le conferenze devono poter lavorare in forma positiva per incrementare (in quanto i diversi soggetti sono partner e non competitori) un progetto di governo del territorio: non per far applicare forme gerarchiche, ma per definire contenuti ricchi di visioni strategiche. Conferenze, nella sostanza, che siano capaci di costruire piani di progetti e di obiettivi e non solo di rispetto di norme. Questo non potrà che trovare sede adeguata in una riforma legislativa regionale che affronti sia i temi dei nuovi piani (urbanistici e territoriali), sia i ruoli e le competenze dei singoli enti competenti nel governo del territorio.

L’attuale fase amministrativa, di cui l’ultimo atto è il Decreto del Presidente della Giunta regionale 23 gennaio 2017, n. 1/R (Regolamento regionale recante: “Disciplina delle conferenze di copianificazione e valutazione prevista dall’articolo 15 bis della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) e del ruolo e delle funzioni del rappresentante regionale”), non si indirizza verso quanto precedente detto, ma si configura sostanzialmente come una proposta di stampo notarile e fortemente autoreferenziale. Una strada non capace di far crescere quello spirito cooperativo e non gerarchico che deve caratterizzare un’azione di copianificazione e valutazione per qualsiasi atto di governo del territorio.
In questo modo la Regione, con il suo operato e le sue scelte legislative e regolative perde il suo ruolo di ente autorevole per assumere, sempre più, quello di ente autoritario negando, nei fatti, quella necessaria cooperazione istituzionale necessaria per un buon e condiviso governo del territorio.

[1Carofiglio G. (2015), Con parole precise, Laterza, Roma - Bari.

Data di pubblicazione: 30 marzo 2017