La copianificazione, normata inizialmente dalla Lr 1/2007 (di carattere sperimentale) è divenuta metodologia consolidata con la Lr 3/2013 e deve essere condotta tenendo in considerazione cinque livelli di programmazione:
comunale (o unionale);
provinciale o della Città Metropolitana;
regionale;
statale;
comunitario.
I cinque livelli sopra richiamati sono caratterizzati da scale di contenuti e di rappresentazione molto diversi tra loro: la transcalarità (o multiscalarità) applicata alla copianificazione permette di analizzare il territorio in modo compiuto attraverso tutte le sue peculiarità.
La maggior difficoltà consiste, indubbiamente, nel valutare alla scala locale (comunale) le disposizioni che derivano dalla scala “sovraordinata”.
Il compito precipuo della copianificazione è di effettuare una accurata analisi multiscalare, tenendo in considerazione tutti gli aspetti.
Nella prassi delle Conferenze, tuttavia, accade sempre più spesso che il processo di copianificazione privilegi delle analisi di tipo quantitativo, quali, ad esempio, la verifica del rispetto di standard urbanistici (obbligatori) o di direttive del Ptr, o prescrizioni dei Ptc perdendo di vista l’aspetto qualitativo e di contenuti del progetto che si sta esaminando.
Il dubbio che sorge spontaneo è: nel corso del processo è più importante la verifica del 3% di potenziale consumo di suolo dell’art. 31 (Direttiva) delle NdA del Ptr [1], oppure una seria valutazione sugli aspetti di qualità contenuti nella proposta sottoposta alla Conferenza di copianificazione?
Quanto sopra diviene soprattutto evidente in caso di modifiche ai Prg “in riduzione”, casistiche sempre più frequenti, con le quali si eliminano scelte di pianificazione ritenute non coerenti con la più recente programmazione comunale.
In tal caso occorre comunque confrontarsi, in Piemonte, con una legge urbanistica nata alla fine degli anni ‘70, che ha giustamente inserito delle regole (soprattutto in termini di standard) per i Comuni in forte crescita: ma la Lr 56/1977 è ancora efficace nel caso di Comuni che tendono a perdere popolazione (in primis il capoluogo)?
Ad esempio, è logico prevedere (nei Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti) 17,5 mq/ab per attrezzature di interesse generale, quali scuole superiori e ospedali, quando la programmazione della Città Metropolitana, della Provincia e della Regione non ne prevede la realizzazione?
Un elemento imprescindibile della copianificazione e delle analisi multiscalari effettuate nel corso del processo, è il sopralluogo nel territorio oggetto della proposta di trasformazione: il vero valore aggiunto.
La Conferenza deve “uscire” dagli uffici della Regione, Città Metropolitana e Provincia per effettuare le valutazioni direttamente sul territorio.
Purtroppo gli ultimi atti assunti dalla Regione sembrano andare contro questa prassi consolidata; infatti il recente provvedimento ad oggetto Regolamento regionale recante: "Disciplina della conferenza di copianificazione e valutazione prevista dall’articolo 15 bis della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) e del ruolo e delle funzioni del rappresentante regionale", all’art. 5, c. 2 recita:
«La data di convocazione e la sede di svolgimento della conferenza sono preventivamente concordate tra le amministrazioni aventi diritto di voto; preferibilmente lo svolgimento della conferenza avviene presso la sede regionale territorialmente competente o della provincia o della città metropolitana interessata».
In tal caso si vanifica completamente l’aspetto innovativo, anche in termini di rapporti, tra Regione, Città Metropolitana o Provincia e Comune: andare sul territorio, oltre ad essere imprescindibile elemento di conoscenza diretta, è anche un segnale di “attenzione” verso le amministrazioni comunali.
Nel processo multiscalare della copianificazione, occorre anche considerare le modifiche legislative sulle Province (e Città Metropolitana), oltre agli esiti del referendum del 4 dicembre 2016. Ad esempio:
Come sono cambiati i ruoli all’interno della Conferenza dopo la legge 56/2014?
Le Città Metropolitane e le Province, Enti di “secondo grado” contano ancora qualcosa?
Quale validità hanno i Ptc vigenti e come potranno essere i nuovi strumenti di Pianificazione?
Per tentare di dare una risposta alle problematiche evidenziate, la prima considerazione da fare è che la politica ed i media in Piemonte trattano raramente le questioni connesse alla pianificazione del territorio, ad eccezione dei momenti di emergenza (es. alluvione a Moncalieri del novembre 2016).
In questi ultimi mesi, dall’esame della rassegna stampa curata dall’UPI, non si è trovata traccia di articoli sulle competenze urbanistiche e di pianificazione assegnate dalla L 56/2014 alle Città Metropolitane e alle Province.
Tuttavia, la lettura della L. 56/2014 evidenzia competenze tutt’altro che residuali:
adozione e aggiornamento annuale di un Piano strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l’ente e per l’esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all’esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza (C.M.).
pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio metropolitano (C.M.).
pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza (Province).
Preso atto che le competenze sono molto importanti, come sono cambiati i ruoli all’interno del processo?
In alcuni casi sono giunte notizie che, essendo un Ente di secondo, livello il ruolo della Città Metropolitana/Provincia non conta più nulla: eppure nella Conferenza di copianificazione il valore del voto non è cambiato e il “peso” del voto è sostanzialmente il medesimo tra gli Enti partecipanti al processo.
Inoltre, ed è opportuno sempre ricordarlo, il voto è l’espressione del parere unitario dell’Ente e non del settore/servizio del dirigente regionale, provinciale o della Città Metropolitana che lo esprime.
Tuttavia qualche margine di dubbio sussiste: non si può nascondere che, in questa fase, la Città Metropolitana è un Ente con una identità non ben definita, amministrata in modo completamente gratuito, nei ritagli di tempo, da Sindaci e Consiglieri Comunali, i quali hanno altre incombenze da affrontare.
A conferma di ciò il “Rapporto Rota 2016” ha evidenziato che la Città Metropolitana è sconosciuta ai più e non è percepita come Ente utile ed importante da parte dei soggetti intervistati.
Occorre, altresì considerare l’esito referendario del 4 dicembre u.s., in base al quale le Province non sono state cancellate dagli artt. 114 e 117 della Costituzione: questo imporrà, sicuramente, una profonda “rivisitazione” della L 56/2014.
Sempre con riferimento all’esito referendario, si ritiene che le Regioni ne escano rafforzate poiché la riforma costituzionale 2016 promuoveva, oltre alla fine del bicameralismo perfetto, anche una profonda revisione del federalismo in Italia, in quanto si conferivano maggiori poteri allo Stato.
Quanto sopra avrà sicuramente dei riflessi, si spera positivi, nel settore del governo del territorio e nella sua co-pianificazione.
Per quanto concerne la validità degli attuali piani territoriali provinciali, il Ptc2 della Provincia di Torino, approvato con deliberazione del CR n. 121-29759 del 21/07/2011, già redatto con un processo definibile copianificatorio con la Regione e condiviso con le associazioni di categoria, mantiene la sua validità sino alla approvazione del nuovo strumento previsto dalla L 56/2014.
Le disposizioni contenute nelle NdA del Ptc2 sono ancora efficaci, soprattutto in termini di prescrizioni rivolte al contenimento del consumo del suolo, anche se alcune scelte infrastrutturali previste nelle tavole di piano devono essere riconsiderate causa il mutamento economico e sociale avvenuto nel periodo intercorso dalla sua formazione ad oggi.
Si tratta ora di capire come un Ente di secondo grado formerà un Piano Territoriale Generale (per la Città Metropolitana) o di Coordinamento (per le Province): viene sicuramente meno la pianificazione calata dall’alto (sovraordinata) e sarà sicuramente esaltata la co-pianificazione e la transcalarità.
Nel caso della Pianificazione Territoriale Generale Metropolitana di Torino, il processo è stato solo formalmente avviato, ma non vi sono ancora stati momenti di confronto, in quanto la Città Metropolitana deve approvare preliminarmente il Piano strategico.
Una volta avviato il confronto, il Piano Territoriale Generale Metropolitano, il quale può essere formato per Zone Omogenee, potrebbe assumere le caratteristiche di un piano sovracomunale con forte profilo strutturale.
Per concludere questa seppur breve trattazione sull’argomento in oggetto, si riporta l’esempio di una analisi condotta in Conferenze di Pianificazione (Lr 1/2007) e di copianificazione (Lr 3/2013).
Nella porzione nord della area metropolitana di Torino tre Comuni (Venaria Reale, Borgaro T.se, Caselle T.se) avevano avviato, in tempi diversi e soprattutto senza alcun coordinamento sovracomunale, alcune modificazioni ai rispettivi PRG.
Un altro Comune (Ciriè), invece, stava predisponendo un nuovo PRG con le procedure della “vecchia” Lr 56/1977 (art. 15 ante modifiche Lr 3/2013).
L’analisi condotta dalla Provincia, rispetto al Piano territoriale vigente evidenziava, sotto il profilo trasportistico, che tutti i Comuni erano ubicati, in sequenza, sulla medesima linea ferroviaria.
La linea in questione (FM2 del Sistema Ferroviario Metropolitano), che passa anche dall’aeroporto, non è connessa al passante ferroviario e, quindi, alla Stazione di Torino Porta Susa ed alla metropolitana torinese.
La causa principale fu una decisione unilaterale della Città di Torino, di abbassare il “piano del ferro” del passante ferroviario, rendendo impossibile la connessione della linea esistente da e per l’aeroporto: tipica conseguenza di assenza di analisi multiscalare nella pianificazione.
Inoltre è singolare constatare che Torino, pur avendo ospitato un evento olimpico, tra le Olimpic Legacies, non è riuscita ad avere il collegamento ferroviario diretto tra l’aeroporto e il centro della Città: probabilmente un caso unico al mondo.
Il tentativo portato avanti con le Conferenze di copianificazione ha determinato il coinvolgimento del gestore dei trasporti (GTT) per capire quali potessero essere le tempistiche di realizzazione di una valida connessione col centro città, considerando che, a prescindere dalle varianti urbanistiche in esame, sulla linea gravitano un buon numero di utenti potenziali (100.000 residenti e circa 4 milioni di passeggeri/anno l’aeroporto).
Purtroppo il tentativo fatto nel 2013, nell’ambito della copianificazione territoriale si è rilevato velleitario, poiché dopo quattro anni la ferrovia Torino – Ceres non è collegata col centro della Città e sta emergendo, notizia di questi giorni, che il collegamento col passante, ormai saturo, non potrà garantire frequenze inferiori alla mezz’ora, con la conseguenza che i treni provenienti dall’aeroporto debbano fermarsi per dare la precedenza a quelli di FS.
Il rischio, quindi, è di realizzare un’opera per la quale si sa, sin da ora, che avrà delle limitazioni non secondarie sulle frequenze di passaggio: effetto perverso di completa assenza di analisi multiscalare.
[1] Che, si ricorda, non deve essere applicato in Città Metropolitana di Torino, in quanto già dotata di un Ptc contenente prescrizioni in merito.