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Copianificazione: responsabilità culturale, disciplinare ed etica

Il prossimo 5 dicembre2017 saranno trascorsi 40 anni dall’entrata in vigore della Lr 56/1977 voluta da Giovanni Astengo.
La “56” ha per titolo “Tutela e uso del suolo”: già nel 1977 Astengo, con quella titolazione, voleva indicare alla pianificazione l’obiettivo del conseguimento dell’equilibrio tra l’uso del suolo e la sua tutela, considerandolo un bene “non riproducibile”, come egli stesso sottolineava in ogni occasione.
Astengo, insieme a un gruppo di lavoro composto da colleghi eccellenti, disegnò la sua strategia: con la “56” si intendeva mettere a regime, in breve tempo, la pianificazione alla scala regionale, provinciale e locale. In verità il tempo trascorso non fu affatto breve.
La pianificazione locale venne indirizzata da Astengo verso una visione preferibilmente estesa oltre i semplici confini amministrativi comunali; ciò avvenne attraverso il sostegno concreto (anche finanziario) ai piani intercomunali, disegnati per ambiti territoriali omogenei. Tema che torna oggi di attualità attraverso la scelta auspicabile delle Unioni dei Comuni.
Dal 1977 sono state apportate alla “56” numerose e frequenti modifiche.
In alcuni casi si è trattato di aggiornamenti e adeguamenti “dovuti” a seguito dell’evoluzione del contesto legislativo più generale e/o nazionale; in altri casi si è operato con la volontà di introdurre innovazioni rese necessarie sia dall’esperienza maturata con l’applicazione della legge, sia dall’evoluzione disciplinare.
Non si è operato tuttavia esclusivamente per mezzo degli interventi modificativi del testo di legge; intorno e a corredo dell’impianto legislativo si sono prodotte interpretazioni, consuetudini, direttive, circolari, semplici comunicazioni la cui numerosità ed eterogeneità richiede non facili tentativi di sintesi e razionalizzazione.
Attraverso questo “modus operandi” si è così riempita una “cassetta degli attrezzi” di strumenti non sempre linearmente e veramente funzionali al miglior esito del progetto di piano.
Spesso si è cercato di coniugare una comprensibile aspirazione verso una visione e a una gestione coordinate degli strumenti di pianificazione con un obiettivo, purtroppo spesso illusorio, di omogeneizzazione dei piani che, invece, per loro natura, contenuto e scopo, dovrebbero essere finalizzati a interpretare, organizzare e prefigurare le miglioriazioni di governo del territorio sulla base dell’evidente originalità, identità e varietà dellerealtà territoriali.
Basti riflettere su quanto differiscano, nelle diverse realtà locali, componenti territoriali come l’interazione tra le diverse scale (verticale e orizzontale), gli aspetti dimensionali, il contesto economico e socio-culturale, le risorse, le caratterizzazioni ambientali, gli obiettivi delle comunità, in una parola appunto l’identità originale dei territori.
Forse proprio da questa situazione nasce il diffuso disagio delle comunità, delle Amministrazioni locali e degli “addetti ai lavori” che vivono i condizionamenti formali, procedurali e, in particolare, contenutistici nella formazione del piano come una “sindrome di Gulliver”, dove l’applicazione di condizioni operative omogeneizzate e preordinate finisce per imbrigliare la progettualità (proattiva) del piano.

Con la sperimentazione promossa dalla Lr 1 del 2007 si è inteso affrontare queste difficoltà, si sono proposti rimedi e si sono aperti nuovi scenari.
Alla visione piramidale delle interazioni gerarchiche tra pianificazione locale e pianificazione e gestione di scala superiore si è inteso sostituire un modello di partecipazione collaborativa alla formazione del piano, coinvolgendo direttamente tutti i soggetti con competenze “in materia” di pianificazione, con ruoli sostanzialmente paritari.
Contestualmente si è sostanziato il tema della sostenibilità delle previsioni contenute negli strumenti di pianificazione, avviando un processo di interazione tra scelte di piano e valutazione ambientale, aggiornando l’obiettivo di una possibile coesistenza tra tutela e uso del suolo.
Contemporaneamente si sono manifestati, con la forza concreta della realtà, contenuti fondamentali per i piani, frutto di maturazione disciplinare: il contenimento del “consumo” di suolo (preferibile pensare al “risparmio” di suolo), la valorizzazione delle risorse storico-culturali e paesaggistiche, l’evoluzione istituzionale, l’unificazione delle realtà locali per migliorare l’efficienza dell’azione di governo del territorio.
Dopo sei anni di utilizzo e sperimentazione della legge 1/2007, i suoi contenuti sono stati trasferiti definitivamente nella riformata legge di “tutela ed uso del suolo” attraverso le modifiche apportate nel 2013 alla “56” dalla Lr 3.

Nel contempo si sono concretizzati gli strumenti di pianificazione di scala regionale con l’approvazione del Ptr nel 2011 e l’adozione del Ppr nel 2009, con la successiva riadozione nel 2015 e le relative salvaguardie.
La pianificazione locale ha dovuto anche fare i conti con provvedimenti legislativi che, soprattutto con il presupposto di ridare sostegno al settore in crisi dell’edilizia, hanno determinato visioni divergenti dal ruolo della pianificazione, inserendo meccanismi derogatori, forse illusoriamente incentivanti, ancora una volta calati in modo indifferenziato su contesti tra loro sensibilmente diversi.
Nella sostanza si è scelto che il modello più adeguato per costruire il progetto di piano fosse da riconoscere nella copianificazione, dove tutti i soggetti in grado di offrire esperienze, visioni e competenze avrebbero dovuto tra loro “collaborare” (nel senso latino dl termine, lavorare cum), senza antagonismi e senza prevaricazioni, con l’obiettivo dell’interesse della comunità.
Le modificazioni alla “56” apportate nel 2013 hanno messo a disposizione una nuova cassetta degli attrezzi, potenzialmente in grado di dare valore al progetto di piano: doppio livello di pianificazione, perequazione, evoluzione in progress da una semplice “proposta tecnica” fino al progetto definitivo, ecc.).
Le condizioni operative si sono concretizzate in un luogo specificamente e volutamente destinato alla costruzione collaborativa del piano: il tavolo della copianificazione.

Oggi tuttavia si respira aria di disillusione e insoddisfazione, sentimenti presenti diffusamente sul territorio piemontese.
A fronte di ciò, non vi può essere neppure lontanamente l’intenzione di abbandonare la partita e di stare a osservare, passivamente e lamentosamente, il depotenziamento delle opportunità offerte e non realizzate dalla copianificazione. Essa resta uno strumento indispensabile per raggiungere l’obiettivo più importante: la condivisione e la concertazione del progetto di piano, strumento fondamentale della comunità per il governo del territorio.
Non ci sono alternative alla ricerca comune delle buone ragioni per un rilancio dell’attività delle Conferenze di copianificazione e valutazione.
Ciò ha grande rilevanza ed effetto, a prescindere da ogni possibile tentazione di schematizzare riduttivamente o autoritariamente dall’alto il processo di piano. In particolare occorre che tutti si rifletta responsabilmente sul fatto che l’attuale condizione di crisi socio-culturale ed economica delle nostre comunità non consente di essere inefficaci nel coadiuvare, attraverso lo strumento fondamentale di governo del territorio, politiche e azioni di nuovo sviluppo in un contesto di sostenibilità. E’ una responsabilità culturale, disciplinare e, in particolare, etica.
Non possiamo permetterci di restare inattivi, limitandoci alla tentazione di facili lamentele.
E’ indispensabile invece analizzare le questioni di contenuto e di processo che non consentono oggi alla copianificazione di essere efficace come potrebbe.
L’ambizione che deve vedere accumunati tutti coloro che hanno responsabilità, è di contribuire a disincagliare i tavoli della copianificazione e valutazione dalle secche su cui sono finiti e di dirigere la rotta verso un’efficace performance del progetto di piano.
Tutti i soggetti con competenze e ruoli nelle discipline della pianificazione e della valutazione ambientale hanno di fronte questa opportunità e, soprattutto, questa responsabilità.
Si chiede a tutti di concentrare l’attenzione maggiormente sui contenuti e meno sulla forma. I contenuti di significativa sostanza su cui impegnarsi sono molti: la considerazione della scala delle scelte di pianificazione, l’interazione tra piani (verticale e orizzontale), l’attenzione alla qualità e non solo alla quantità, la missione assegnata allo strumento del piano, i temi di riuso – riqualificazione – rigenerazione – valorizzazione, il risparmio di suolo e di risorse primarie, gli scenari socio-culturali ed economici, le questioni proprie (e tra loro diverse) di aree urbane e territori marginali, la sostenibilità (sociale, economica e ambientale), l’articolazione della pianificazione nelle componenti strutturale e operativa e la dimensione regolativa, gli strumenti di mitigazione, compensazione e perequazione, i ruoli istituzionali e operativi, la partecipazione attiva delle comunità.

Tutto ciò concorre a dare autentica sostanza al piano e costituisce l’impegnativo lavoro della copianificazione. L’insistenza a dare invece un presunto valore all’omologazione di processi e di contenuti spesso inutili per il buon esito della copianificazione non rappresenta alcun interesse per il territorio e la sua comunità.

Data di pubblicazione: 30 marzo 2017