Sulla base informativa dei dati amministrativi messi a disposizione attraverso la mappa accessibile in rete ed esplorabile secondo criteri tematici (demografia, redditi, asili, servizi sociali, ecc.) o territoriali si creano le condizioni per documentare e dare rilevanza sociale alle trasformazioni della città, per aggiungere strati alla mappatura collettiva, per creare e dare forza ai vari stakeholders e a chi gestisce le decisioni che incidono sul territorio.
Il dibattito sulle diverse possibili declinazioni della città intelligente e/o della città delle prossimità si svolgono all’interno delle trasformazioni profonde che le piattaforme digitali hanno determinato sul modo di funzionare e di essere delle città stesse, con un’accelerazione che la pandemia ha fatto registrare pressoché ovunque nel mondo. Con queste trasformazioni bisogna necessariamente fare i conti e coltivare la consapevolezza che non si possono pensare nuovi paradigmi per pianificare i tempi e gli spazi dell’abitare senza, al tempo stesso, ridefinire i modi e le forme di gestione dei dati che le città stesse incessantemente producono e attraverso i quali vengono governate.
Verso la fine del 2017 il progetto della Sidewalk Labs, la divisione di Alphabet (Google) dedicata all’innovazione urbana, si aggiudica la competizione internazionale per realizzare la risistemazione di un’ampia area di Toronto che si affaccia sul fronte est del porto della città. Allo scopo viene creata la Sidewalk Toronto, una joint venture tra la società di Google e la Waterfront Toronto, una corporation no profit in cui sono rappresentati i tre livelli amministrativi della città, della regione e dello stato. Le attese e le ambizioni sono stellari. Il massimo della tecnologia a servizio dell’innovazione urbana per disegnare insieme ai cittadini i più alti livelli di accessibilità abitativa, di nuova mobilità, di sostenibilità ambientale e di sviluppo economico da integrare nel modello più avanzato di smart city, esportabile ovunque nel mondo. In poche parole: la città del futuro, un futuro da sogno ad attrito tendente verso lo zero.
Presto, però, le cose assumono un andamento problematico. Scarsa la visibilità sulla progettazione esecutiva e in particolare sugli aspetti tecnologici. Quando poi i particolari cominciano a trapelare, l’approccio agli “urban data” – come la controllata di Google ha definito i dati catturati 24 ore al giorno 7 giorni su 7 dalle telecamere e da ogni genere di sensori che avrebbero dovuto avere una copertura totale di strade, piazze, locali pubblici, condomini e abitazioni private – si rivela assai poco innovativo.
Al fondo il modello di business è andato a confermare l’approccio tipicamente estrattivo, che concepisce i dati delle persone e della città come un asset finanziario da gestire in maniera proprietaria. La città è concepita essa stessa come una piattaforma, innervata e governata da infrastrutture tecnologiche che sono in mani private. I dati estratti a ciclo continuo da persone e comunità vengono a loro volta privatizzati per poterne ricavare profitti. Sia mettendoli a disposizione di altri operatori del mercato, sia per vendere servizi e prodotti ai cittadini stessi e all’amministrazione della città.
In questo caso però, quando lo squilibrio di potere e di interesse nella partnership pubblico-privato ha cominciato ad emergere in tutta la sua evidenza, ha dovuto incrociare la denuncia degli attivisti insieme ai ricercatori ed esperti di tecnologie e privacy. È cresciuta e si è diffusa una mobilitazione da parte di comitati e associazioni in difesa dei diritti dei cittadini e dell’abitare così agguerrita da imporre un cambio di atteggiamento dei poteri pubblici. Alla fine, la Sidewalk Labs di fronte alla richiesta da parte dell’Amministrazione di Toronto di sostanziali modifiche al progetto ha deciso di rinunciare. La scelta, nel maggio del 2020, è stata motivata da parte dell’azienda con l’incertezza finanziaria causata dal Covid 19.
Questa storia è una delle tante possibili
conferme di un fenomeno in corso da tempo, che vede le città come la frontiera più avanzata nella competizione globale per l’estrazione dei dati. Non si tratta soltanto del tracciamento del flusso continuo di dati personali che gli abitanti delle città generano attraverso i propri telefoni, orologi e altre protesi intelligenti. Sempre di più a produrre dati sono e saranno i sensori disseminati a milioni nelle strade e nelle case. Pure loro intelligenti, capaci di rilevare il movimento, il suono, le immagini, la temperatura, la luce, le caratteristiche biometriche, gli agenti atmosferici, ma anche la data di scadenza dello yogurt nel frigo. Una varietà enorme di dispositivi con funzioni diverse, riuniti nella vaga formula dell’internet delle cose (IOT - Internet Of Things) e che in comune hanno di fatto la caratteristica di tradurre in dati qualunque fenomeno della realtà fisica e sociale e di trasmetterli attraverso le reti alle quali sono connessi.
È lo scenario delle città intelligenti (smart cities) promosso dalle multinazionali della finanza e della tecnologia da circa un ventennio e a cui si adeguano con più o meno entusiasmo, più o meno consapevole, i governi delle città di tutto il pianeta, comprese ovviamente quelle Italiane. Un paradigma nel quale le aziende fornitrici delle soluzioni tecnologiche (ICT - Information and Communication Technology) intermediano gli scambi e le relazioni tra gli abitanti della città e mirano a sostituirsi alle amministrazioni stesse nella gestione ed erogazione dei servizi. L’orizzonte promesso è quello di un governo sempre più basato sui dati e orientato dai dati, che utilizza processi sempre più automatizzati e perciò permette una gestione inevitabilmente sempre più efficiente, più sostenibile, più trasparente e partecipata dai cittadini. Il risultato è troppo spesso, come nel caso di Sidewalk Toronto, quello di città a misura di airbnb, di uber e dei vari food delivery. Città prenotate, visitate, attraversate, consumate e sorvegliate con e attraverso le piattaforme.
Ma sebbene questo sia il paradigma dominante, si aprono tuttavia degli spiragli. Delle possibili linee di azione e di intervento verso forme diverse di gestione e utilizzo dei dati.
A partire dalla constatazione che l’assetto attuale, tipicamente oligopolista con forti tendenze al monopolio, non solo genera sfruttamento e violazioni massive di diritti individuali e collettivi ma anche clamorose diseconomie. In particolare, qui ci si riferisce al fatto che il valore dei dati dipende, tra le altre cose, anche dall’uso che se ne fa. Il valore cresce e si moltiplica in ragione all’utilizzo e in particolare in ragione alla possibilità di mettere in relazione dati con altri dati. Nel momento in cui si connette un dataset con un altro, si possono aprire possibilità di conoscenza, di interpretazione e opportunità di scoprire correlazioni tra fenomeni che altrimenti resterebbero sconosciute.
La ricchezza in termini di conoscenza e informazione racchiusa nel flusso gigantesco e crescente di dati viene sottratta alle comunità perché, una volta estratti, quegli stessi dati diventano inaccessibili all’esterno. Protetti a doppia mandata grazie ai diritti di proprietà intellettuale per essere trattati, connessi e analizzati ad esclusivo vantaggio delle aziende tecnologiche.
Ma anche tutti i dati appartenenti al settore pubblico, tutte le informazioni che riguardano ogni aspetto della vita sociale ed economica dei cittadini, vengono solitamente gestite all’interno di silos separati dalle singole amministrazioni competenti.
Si tratta, evidentemente, di un gigantesco fallimento politico, sociale e di mercato al quale la Strategia europea sui dati tenta di porre rimedio attraverso una serie di regolamentazioni che recentemente spingono in direzione del superamento della logica del silos e verso la condivisione e connessione dei dati.
A cominciare dal settore pubblico, certo, ma promuovendo la messa in comune del patrimonio informativo pubblico con quello delle aziende private e favorendo nuove formule di governance giuridica ed economica dei dati che vadano nella direzione di gestioni collettive.
Queste spinte hanno sviluppato il dibattito (soprattutto in ambito anglosassone) volto alla ricerca di modelli alternativi. Soluzioni giuridiche e gestionali differenti (data trust, cooperative, sindacati, beni comuni digitali, etc.) che in comune hanno la necessità di ‘liberare’ il potenziale dei dati per restituirlo alle comunità.
Questo significa trovare modi che permettano di rendere i dati disponibili il più facilmente possibile per coloro che li vogliono usare. I dati possono/debbono essere considerati come infrastruttura che abilita la creazione di valore per la società, per la ricerca, per l’economia pubblica e privata. Per assumere decisioni, per il controllo pubblico sulle decisioni assunte. Occorre superare i silos per passare a modalità di intermediazione tra i detentori e utilizzatori che moltiplichino le possibilità d’uso nell’interesse collettivo per affrontare problemi sociali, ambientali, economici, sanitari, ecc.
In questo orizzonte le città, campo di battaglia tra spinte speculative da un lato e la promozione di nuovi modi di abitare da parte delle comunità dall’altro, rappresentano la dimensione ideale in cui si possono sperimentare nuovi modelli di gestione dei dati all’interno del ridisegno delle politiche pubbliche.
Mappe del territorio in cui si proiettano e si intersecano le dimensioni fisiche, quelle sociali, economiche e culturali. Che evolvono, si trasformano e si aggiornano seguendo e rappresentando il movimento, la vita, le attività e i conflitti di chi le abita.
Processi di georeferenziazione continua dei bisogni, delle differenze, delle mancanze, delle possibilità e delle opportunità. Rappresentazioni che per essere reali, effettive e quindi efficaci debbano poter ospitare un doppio movimento: dall’alto e dal basso.
Gli svariati dataset che registrano le realtà e i cambiamenti dal punto di vista amministrativo debbono cominciare a parlare tra loro. La connessione tra i diversi strati, quello dell’urbanistica, quello dell’anagrafe, dei servizi sociali e educativi, quello del patrimonio, delle attività produttive, della mobilità, ecc. è il passaggio chiave. Significa trasformare archivi separati, gestiti nella logica dell’adempimento burocratico fine a se stesso, in componenti di un database che dia forma ad un sistema informativo interrogabile esplorabile secondo differenti interessi.
Il movimento dall’alto è espressione della consapevolezza che non sia più possibile leggere il territorio e tentare di interpretare le evoluzioni delle comunità senza dati. Perché le città sono ormai fatte di dati almeno quanto lo sono di cemento, così come nella vita delle persone la dimensione digitale è inestricabilmente legata a quella biologica. Perché l’analisi e il disegno delle politiche pubbliche, così come la loro implementazione e la verifica del loro impatto, non si possono più svolgere in assenza di sistemi informativi capaci di evolvere insieme alla complessità del reale. A meno di rassegnarsi a farsi dettare le strategie dagli interessi speculativi che sono sempre più indistintamente finanziari, immobiliari e tecnologici.
La mappatura, il tappeto di base è costruito sui dati pubblici messi a sistema. Arricchiti e connessi con quelli raccolti dalle aziende partecipate e non, che gestiscono i servizi pubblici locali. Questo insieme costituirebbe di per sé un bacino informativo di grande valore per la pianificazione e gestione delle politiche locali, ma anche di grande interesse per i mondi della ricerca e per le aziende private che dal sistema potrebbero non solo attingere ma al quale potrebbero anche contribuire conferendo i propri dati. Ecco delinearsi un possibile scenario operativo e di gestione dei dati che potrebbe muoversi nel solco della strategia europea sui dati, magari, una volta tanto, accompagnando con sperimentazioni pratiche le nuove regolamentazioni, e in parte anticipandole.
Ma a tutto questo è necessario unire il movimento dal basso.
Alla formalità del dato amministrativo è indispensabile associare la ricchezza, la continuità e il possibile dettaglio dei dati che le associazioni, i comitati, i gruppi informali possono raccogliere sul territorio, dai singoli quartieri e strade e condomini e sui diversi temi perché vengano rappresentati nella mappa comune.
Sulla base informativa dei dati amministrativi messi a disposizione attraverso la mappa accessibile in rete ed esplorabile secondo criteri tematici (demografia, redditi, asili, servizi sociali, ecc.) o territoriali (con dettaglio all’unità urbanistica o maggiore) si abilita l’utilizzo delle informazioni da parte della cittadinanza. Si creano le condizioni perché la cittadinanza stessa possa a sua volta raccogliere e fornire dati come forma di monitoraggio distribuito dei fenomeni, come modalità di rappresentazione delle questioni politiche e sociali, aggiuntive a quelle tradizionali. Apprendere a usare, a raccogliere e a rappresentare dati dal basso per documentare e dare rilevanza sociale alle trasformazioni della città, per aggiungere strati alla mappatura collettiva, per creare e dare forza alle vertenze di fronte ai vari stakeholders e a chi gestisce le decisioni che incidono sul territorio.
Attraverso il doppio movimento – dall’alto e dal basso – possono svilupparsi pratiche per la gestione collettiva dei dati che significhino una restituzione dei dati alle comunità e alle persone da cui i dati in realtà provengono. Produrre culture e politiche di gestione che concepiscano e usino i dati come beni a servizio degli interessi collettivi. Commons, beni comuni, da coltivare e accrescere per favorire l’emancipazione della città dagli interessi speculativi che spesso si nascondono nelle formule apparentemente smart.
Artyushina A. (2020), “Is civic data governance the key to democratic smart cities? The role of the urban data trust in Sidewalk”, Telematics and Informatics, vol. 55, 101456.
Block Sidewalk Toronto, pagina Facebook https://www.facebook.com/BlockSidew....
European Commission, European data strategy. Making the EU a role model for a society empowered by data https://ec.europa.eu/info/strategy/....
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Sidewalk Labs, sito del progetto Sidewalk Toronto https://www.sidewalklabs.com/toronto.
Wylie B. (2018), “Searching for the Smart City’s Democratic Future”, Centre for International Governance Innovation, 13 august https://www.cigionline.org/articles....