Le politiche di rigenerazione urbana a livello mondiale si stanno orientando verso la costruzione di città multipolari nelle quali i servizi essenziali siano concentrati in quartieri o aree delimitate e siano accessibili a piedi o in bicicletta escludendo l’uso di veicoli inquinanti. Tale orientamento ha introdotto nuovi parametri di strumentazione tecnica di tipo temporale (città in 15 o 20 minuti) che sono stati assunti da importanti città a livello mondiale.
Anche in Italia alcune amministrazioni comunali propongono programmi di rigenerazione urbana che coniugano servizi primari e fattori spazio-temporali con lo scopo di costruire comunità resilienti legate al territorio e che, grazie anche alle risorse stanziate dal PNRR, che assegna oltre 60 miliardi di euro ai territori per la trasformazione ecologica, la sostenibilità e l’inclusione sociale, potranno produrre risultati importanti in termini di accesso ai servizi, riduzione delle disuguaglianze e miglioramento della coesione sociale, contribuendo anche al ripensamento dello spazio pubblico e migliorando la vita delle persone.
Il tema della realizzazione di servizi di prossimità accessibili si lega a ricerche e sperimentazioni di nuovi standard urbanistici e a studi e pratiche di valorizzazione dello spazio pubblico in atto, a conferma della attualità e trasversalità del tema stesso.
Il parametro temporale dei 15 minuti adottato dalla città di Parigi o dei 20 minuti della città di Sydney talvolta è frainteso e interpretato come semplice riduzione dei tempi d’accesso ai servizi. In questi termini può sembrare un elogio della velocità mentre al contrario implica il tempo lento del camminare e del pedalare, delle relazioni civiche, del dialogo, della convivialità, della cura della salute incardinata sullo sviluppo di comunità solidali. La prossimità non è solo vicinanza fisica di servizi ma anche un insieme di obiettivi e relazioni sociali di tipo comunitario come ci ricordano le associazioni del terzo settore che organizzano da alcuni anni la “Biennale della prossimità”. [1]
La diffusione di questo nuovo paradigma urbano è stata favorita dalla pandemia che ha mostrato ai quasi 8 miliardi di abitanti del globo che le magnifiche sorti progressive della modernità possono essere messe in crisi da un nemico invisibile pervasivo e globale che trae la sua forza dalle leggi della natura. La cognizione del limite oltre il quale il pianeta non può più sostenere la vita degli abitanti è diventato patrimonio comune ed ha reso più attuale e condivisibile il senso di una proposta di riorganizzazione territoriale che ha il segno della transizione ecologica e avvia una riflessione sulla qualità della vita. Nel corso della pandemia a dispetto dei lockdown, delle misure di distanziamento sociale e delle difficoltà negli approvvigionamenti, è stata avvertita la possibilità di vivere di più e meglio i luoghi del quotidiano, conoscerli a fondo, avere cura dello spazio pubblico, ritrovare il piacere salutare di una camminata nel quartiere rinunciando all’automobile, prestare attenzione ai vicini di casa scoprendo il valore sociale della solidarietà. È stata sperimentata una vita quotidiana più domestica con lo smart working e la didattica a distanza che hanno rivelato limiti ma anche grandi opportunità di uso diverso del tempo di cui disponiamo. In alcuni casi la sapienza ecologica depositata nella memoria dei cittadini è stata determinante nell’avvio di sperimentazioni di economia circolare e di comunità resilienti.
La città dei 15 minuti è la più recente formula di principi insediativi che da parecchi anni sono dichiarati ed applicati in nome del superamento dello zoning, della sostenibilità ambientale e della qualità della vita. La corrente del “New Urbanism” ha introdotto un nuovo paradigma urbano secondo il quale le città devono essere progettate in primo luogo per i pedoni e i mezzi pubblici, modellate attorno a spazi pubblici fisicamente definiti, con un mix sociale di residenti e un mix funzionale di abitazioni e servizi con il quale si garantisce una frequentazione durante tutta la giornata con evidenti vantaggi in termini di sicurezza. La necessità di misurare gli insediamenti con il metro della sostenibilità ha dato luogo a numerose iniziative promosse dall’Unione europea (Agenda 21, Carta di Aalborg, Carta d Lipsia, Dichiarazione di Toledo) [2] dalle quali è scaturito un altro paradigma spazio - temporale, il “5 minuts district” o eco-quartiere. “La Charte des EcoQuartier” del 2015 fissa i principi costitutivi e prevede l’adozione di protocolli di certificazione della qualità. [3]
La proposta della città in 15 minuti, efficacemente propagandata da Carlos Moreno, si inserisce quindi in un filone di riflessioni e realizzazioni già presenti nella pratica urbanistica e che possiamo fa risalire a modelli adottati a cavallo del XX secolo come le città giardino o come le unità di vicinato realizzate negli Stati Uniti negli anni 20-30. Queste erano enclave di 5-10 mila abitanti dove ci si muoveva a piedi per raggiungere i servizi, la scuola era considerata il fattore principale per dimensionare l’insediamento, i confini erano ben definiti affinché l’identità fisica e culturale del luogo fosse ben riconoscibile. Lo schema delle unità di vicinato fu adottato anche in Italia nel primo dopoguerra nei programmi di edilizia pubblica, veicolati dallo storico dell’architettura Lewis Mumford che fece parte del gruppo di esperti chiamati a collaborare alla rivista Comunità di Adriano Olivetti. Mumford con il libro “the culture of the cities” del 1938 influenzò il pensiero urbanistico di quegli anni, mostrando come democrazia, cultura, senso civico possono crescere nelle città ove è forte il senso di appartenenza delle comunità locali ad un determinato luogo. Questo aspetto è stato ampiamente trattato da Rosario Pavia che evidenzia l’attualità del pensiero di Mumford.
Con le risorse del PNRR le amministrazioni locali hanno potuto ricominciare a progettare dopo un lungo periodo di drastica riduzione di risorse e personale, in ragione di una politica di austerità (patto di stabilità) che aveva congelato la vita ammnistrativa nella ordinaria gestione.
Le risorse che il PNRR dedica ai programmi di rigenerazione urbana e alla dimensione della prossimità sono ingenti (circa 40 miliardi) se si sommano gli investimenti che implicitamente rigenerano il territorio (ad es. gli investimenti sulla mobilità e per nuovi asili nido e scuole dell’infanzia), agli investimenti che fanno esplicito riferimento alla rigenerazione urbana e alla dotazione di servizi. Alcuni investimenti fanno capo a programmi già finanziati e ricondotti nel PNRR, altri sono programmi nuovi. I PINQUA (Piani per la qualità dell’abitare), il Piano per la riduzione dele situazioni di emarginazione sociale, i Pui (Piani urbani integrati), rientrano tutti nel filone del risanamento delle periferie. Il bilancio finale fatto da Anci che ha il compito del coordinamento dei comuni, è sostanzialmente positivo: dei progetti presentati da comuni e città metropolitana 159 sono stati ammessi e 112 dichiarati ammissibili. Il ruolo di Anci che ha svolto una funzione di supporto per i comuni e le città metropolitane è strategico. Paolo Testa rivolge una esortazione a comuni e città metropolitane affinché siano definiti i piani strategici per inserire sia gli attuali che i futuri finanziamenti in un quadro organico e coerente. Piani strategici che non restino sulla carta, che siano in grado di proiettare in una prospettiva di medio lungo periodo uno sviluppo del territorio fondato su patti concreti tra gli attori istituzionali, economici e sociali.
Alcune amministrazioni hanno operato in una prospettiva strategica attraverso sistemi efficienti di gestione e controllo delle attività. La Città metropolitana di Milano ha inserito, ad esempio, i diversi programmi di finanziamento del PNRR nella vision indicata dal Piano strategico. Piano che da un lato colloca gli interventi in un quadro di sviluppo coerente e organico del territorio e dall’altro fornisce gli elementi per misurare il grado di competitività della città metropolitana in relazione ad altre città metropolitane. Al riguardo, Isabella Susi Botto sottolinea come la comparazione tra città globali contempli oltre agli indicatori di sviluppo economico e tecnologico anche quelli di sostenibilità ambientale, di accessibilità e prossimità dei servizi, di qualità della vita domestica di quartiere. La Città metropolitana di Milano ha adottato il metodo di concertazione con i comuni e di partecipazione con i cittadini come sottolineato dai titoli dati alle tre proposte relative ai PINQUA e ai Piani urbani integrati. Per i tre PINQUA: “CO4REGENERATION.COllaborare tra generazioni, COabitare nei quartieri metropolitani, COstruire COmunità per la rigenerazione dei territori”, che hanno come obiettivi soluzioni abitative in chiave intergenerazionale e collaborativa con alloggi per giovani, residenze universitarie, senjor housing per anziani autosufficienti, co-working e servizi a sostegno dei genitori lavoratori. Per il Piano integrato “COME IN - Spazi di INclusione per le COmunità Metropolitane” che interessa 34 comuni per oltre 65 milioni di euro è stata affrontata la dimensione urbanistica, ambientale, civica economica e sociale del territorio di riferimento. Sono titoli particolarmente significativi che alludono alla formazione di CO-munità resilienti e pratiche locali di prossimità.
Molto orientata la scelta di Roma Capitale che ha investito parte dei fondi dei Pui nel potenziamento della rete delle biblioteche comunali che, nei quartieri di periferia, rappresentano le principali strutture di prossimità che possono svolgere funzioni strategiche di welfare. Roma Capitale prevede la rigenerazione di immobili in disuso per realizzare “nuovi poli civici culturali e di innovazione” e la rigenerazione ecosostenibile di ventuno biblioteche già esistenti. La nuova rete di centri culturali si inserirà nel circuito bibliotecario cittadino, il più ampio in Italia, composto da quaranta strutture dislocate nei quindici Municipi e da oltre cinquanta “Bibliopoint” nelle scuole.
L’obiettivo, secondo Miguel Gotor, è quello di dare vita a una rete capillare di poli culturali polivalenti che offrono servizi di varia natura facilmente accessibili a disposizione dell’intera comunità locale. Saranno dotati di servizi digitali di alta qualità per promuovere la creatività giovanile, con spazi liberi di incontro e sperimentazione e con orari estesi anche notturni per favorire l’utilizzo di questi spazi anche ai numerosi studenti stranieri residenti a Roma.
L’evoluzione della biblioteca pubblica in un sistema di servizi polivalenti è riscontrabile anche nelle più avanzate esperienze europee.
Il quartiere, inteso come realtà fisica dotata di caratteri identitari favorisce l’integrazione tra persone e luoghi, a differenza della città frammentata e non strutturata che alimenta la segregazione sociale e l’alienazione. Ma il quartiere non è una monade autosufficiente, si nutre delle relazioni con gli altri quartieri, dei servizi a scala urbana e delle strategie di sviluppo della città nel suo insieme. Progettare la prossimità comporta il potenziamento e la proliferazione in egual misura delle reti a maglie strette dei servizi di quartiere e le reti lunghe che connettono il quartiere ai flussi urbani e metropolitani.
Le politiche rivolte alla prossimità riguardano in gran parte le aree periferiche.
Negli ultimi 30 anni è rintracciabile un percorso che parte dall’ossimoro ‘al centro la periferia’ coniato nel corso del progetto sperimentale dei laboratori di quartiere a Roma, si consolida con il progetto URBAN, si rafforza con le diverse edizioni del bando ministeriale dei contratti di quartiere, evolve con la costruzione delle case del quartiere che a Torino hanno assunto una forma avanzata di cogestione. Valter Cavallaro sottolinea come la loro origine sia attribuibile all’attività dell’“ufficio di accompagnamento sociale” istituito già con i contratti di quartiere per facilitare i lavori, organizzare ricoveri temporanei per gli abitanti, risolvere i problemi creati ai cittadini dal cantiere. Nel corso del tempo diventano un punto di riferimento per gli abitanti e gli operatori, svolgendo svariate attività di assistenza sociale insieme a cittadini impegnati, tra i quali emergono leader di quartiere, e responsabili comunali. Nelle Case si formano figure professionali ibride che svolgono il ruolo di rigeneratore urbano, educatore professionale, animatore sociale, progettista socio-culturale. Si tratta di figure polivalenti capaci di una visione olistica, che possono provenire anche dal lavoro sociale, non limitandosi a ridurre l’esclusione e la marginalità ma capaci di promuovere iniziative che creano produzione, lavoro, rigenerazione ambientale, cultura diffusa, in sostanza sviluppo locale. Sono strutture miste con evidenti caratteri di autorganizzazione e rappresentano una originale esperienza di collaborazione tra pubblico e privato sociale. Il “Manifesto delle case del quartiere” è un documento attorno la quale si è costituita la Rete delle case del quartiere che ha poi sottoscritto un protocollo con il Comune di Torino. Il manifesto identifica obiettivi comuni e modalità di relazione tra rete ed ente pubblico e chiarisce come le Case siano luoghi aperti a tutti, di sperimentazione di un welfare frutto di co-progettazione tra cittadini e amministrazione.
La prossimità riguarda principalmente quartieri di periferia, quelli che sono privi di servizi accessibili, nei quali la criminalità, spesso, assume l’improprio ruolo di principale fonte di reddito per le persone che ci vivono, creando la sequenza periferia-reato-incarcerazione-scarcerazione e di nuovo periferia. Un circuito che si autoalimenta con devianza e criminalità che divengono una risposta “sostanzialmente razionale” alla struttura sociale nella quale gli attori sociali si muovono. Giovanni Sabatino sottolinea le fratture sociali determinate dal processo di mercificazione globale che ha disciolto lo spirito comunitario per affermare valori orientati solo al raggiungimento di interessi personali. Occorre, invece, ritrovare interessi comuni tra abitanti dello spesso quartiere attraverso un welfare innovativo, capace di sostituire la concezione assistenzialista con una visione imprenditoriale di co-produzione di servizi.
Al riguardo, nell’esperienza del Comune di Reggio Emilia “il quartiere come Learning Community”, si possono rintracciare convergenze con un progetto denominato “quartiere impresa” con il quale Sabatino ha sintetizzato un concetto di sicurezza basato su una prospettiva socioeconomica condivisa. L’opinione pubblica prevalente considera la sicurezza un fine, il “quartiere impresa” è, invece, un mezzo per raggiungere l’obiettivo di una sicurezza fondata sull’inclusione, l’occupazione ed il senso di appartenenza.
La rapida evoluzione dei sistemi digitali ha aperto il capitolo della smart city o città intelligente. La pandemia, con le restrizioni imposte ai movimenti, ha incentivato l’uso delle piattaforme digitali incrementando la quantità di dati che vengono incamerati dalle compagnie private. Pianificare i tempi e gli spazi di una città intelligente organizzata secondo i principi della prossimità comporta la gestione dell’immensa mole di dati che noi istessi produciamo con le applicazioni contenute nei nostri smartphone che le compagnie private accumulano con sofisticate strumentazioni.
Enel ha lanciato nel 2020 una sfida di crowdsourcing sulla sua piattaforma Open Innovability per potenziare il suo programma di innovazione. In questo ambito Team Enel X Innovation Smart City, in collaborazione con Dist Lab dell’Università di Firenze ha ideato e sviluppato il “15 Minute City Index”, uno strumento innovativo che fornisce un’analisi di crono-urbanismo basata sui principi della città dei 15 minuti applicati all’intero territorio italiano. La soluzione è accessibile gratuitamente per tutte le pubbliche amministrazioni.
Il programma ha individuato 13 dimensioni di prossimità: ambiente, sicurezza, salute, cibo, educazione, intrattenimento, uffici pubblici, mobilità dolce, mobilità veloce, economia, abitazioni, sport e cultura. Ha definito 624.000 micro-distretti a copertura dell’intero territorio italiano. Ogni distretto corrisponde a una cella di 700x700 metri, considerata una giusta approssimazione di un’area percorribile in 15 minuti a piedi. I dati sono ricavati da più di 100 open data provenienti da portali istituzionali e da comunità di crowdsourcing. Abbinando le 13 dimensioni all’uso del suolo e alla popolazione, Enel X ha prodotto un indicatore sintetico per rappresentare la propensione di ogni singola area della griglia al concetto di ‘città dei 15 minuti’.
Il programma ha l’obiettivo di stimolare il movimento Open data e le istituzioni competenti per incrementare le fonti di produzione dei dati e metterle in rete per avere dati più aggiornati e affidabili.
Vittorio Alvino, presidente di Openpolis, esprime alcune riserve sul comportamento delle compagnie private che incamerano gli open data ma custodiscono gelosamente i dati contenuti nei loro sistemi. Non si tratta soltanto di dati personali che ognuno di noi fornisce attraverso i vari dispositivi digitali, molti dati sono forniti da sensori disseminati ovunque che registrano praticamente tutto. Le amministrazioni pubbliche non sembrano in grado di fronteggiare i privati e non si impegnano quanto sarebbe necessario per rimediare alla scarsità e frammentarietà dei dati da loro posseduti.
La concezione privatistica nell’uso dei dati ha mostrato i suoi limiti nel caso emblematico del concorso internazionale vinto da Alphabet (Google) per realizzare la risistemazione di un’ampia area di Toronto. Il progetto, che conteneva modelli molto avanzati di nuova mobilità, di sviluppo economico sostenibile e di smart city, è stato abbandonato con la motivazione delle incertezze finanziarie dovute al Covid.
Secondo Alvino l’orizzonte che si delinea nell’immediato futuro è di un governo del territorio sempre più basato sui dati gestiti da aziende private che utilizzano processi sempre più automatizzati, inaccessibili dall’esterno grazie ai diritti di proprietà intellettuale. L’Unione europea tenta di porre rimedio attraverso una serie di regolamentazioni che spingono alla condivisione e connessione dei dati, ma tale risultato risulta difficile da realizzare.
Alla gestione dei dati di amministrazioni e compagnie private va, tuttavia, associato il movimento dal basso di associazioni, comitati, gruppi informali che possono raccogliere dati sui singoli quartieri, strade e condomini con i quali si possono realizzare mappe condivise, aggiornate in tempo reale, che costituiscano una fonte inesauribile di informazioni utili per conoscere i bisogni degli abitanti e per dotare i quartieri dei servizi di prossimità.
Il tema della prossimità ha conquistato un posto centrale nel dibattito urbanistico e nelle scelte delle amministrazioni locali in ogni parte del mondo. La decisione di UN Habitat di istituire un Osservatorio internazionale sulle politiche di prossimità, in collaborazione con Carlos Moreno della Sorbona di Parigi, conferma la rapida diffusione di questo nuovo paradigma urbano. Nuovo per la immediatezza della sua affermazione ma di antica data se pensiamo che ha radici nella pratica urbanistica di mezzo secolo e nelle teorie di Lewis Mumford e Jane Jacobs. È auspicabile che dalle concrete azioni di rigenerazione urbana realizzate in nome della prossimità si possano ricavare codici di valutazione, indicatori oggettivi, riguardanti la qualità dei servizi, dello spazio pubblico, delle relazioni sociali, del grado di inclusività, dell’economia circolare, della partecipazione dei cittadini. Questo ultimo fattore, che tanti progetti ha accompagnato, in alcuni casi con ingiustificata enfasi, sembra quasi del tutto assente negli interventi degli esperti. In realtà è poco citato perché è ormai un fattore implicito, inglobato naturalmente nelle pratiche di rigenerazione. Non solo è implicito, ha avuto una evoluzione significativa, è passato a un gradino superiore, quello della co-progettazione, della costruzione di comunità di luogo, della collaborazione tra pubblico e privato.
È anche l’evoluzione del “laboratorio di quartiere” in “Casa del quartiere”, esempio lampante della forza dei processi di autorganizzazione. Sono i processi dal basso che danno pienezza alle attività di rigenerazione urbana. Sono associazioni, comitati di quartiere, singoli cittadini, quelli che possono generare open data, integrare con le loro conoscenze le informazioni che provengono dall’alto dalle amministrazioni o dalle compagnie private, e realizzare mappe condivise, aggiornate in tempo reale, che parlano di bisogni, di opportunità, di progetti condivisi per dotare il quartiere di tutti i servizi di prossimità.
È la co-progettazione di piani strategici, che rappresenta un’intenzionalità comune che va oltre la spicciola rivendicazione del presente, che configura una comunità coesa che progetta il suo futuro. Sarà grazie alla co-operazione con la realtà sociale del quartiere che la tecnica di rilevazione dei dati che suddivide il territorio in quadrati, o esagoni, o altre figure astratte, vedrà una evoluzione che deforma le figure geometriche elementari per farle aderire ai contorni dei quartieri, o dei nuclei di identità locale, o delle unità urbanistiche. Ciò sarà possibile dando ai cittadini strumenti e facoltà di co-operare, di portare quel contributo che è determinante per il successo dei progetti di prossimità nella rigenerazione urbana.
Per far questo occorre ‘ridurre le distanze’ sotto il profilo politico sociale ed economico attraverso una nuova governance che coniughi soggetti istituzionali, energie locali pubbliche e private che, a partire dai bisogni dei cittadini, si adoperino per realizzare secondo le parole di Anne Hidalgo “la città che non lascia indietro nessuno, dove puoi trovare tutti i servizi di cui hai bisogno, condizione necessaria per una trasformazione ecologica dei sistemi urbani”.
[2] ll 22 giugno 2010, a Toledo (Spagna) la riunione dei Ministri europei responsabili per lo sviluppo urbano degli Stati Membri dell’Unione europea sul tema della rigenerazione urbana integrata attribuisce ai piani integrati di rigenerazione urbana e agli eco-quartieri un ruolo fondamentale per il futuro delle città.
[3] L’ecoquartiere è un modello insediativo realizzato in alcuni paesi del centro Europa come il quartiere di Kronsberg (Hannover), Greenwich Millenium Village (Londra) Arhusgade distretto di Nordhavnen (Copenaghen).