Maputo, oggi capitale della Repubblica del Mozambico, con una popolazione di circa 1.090.000 abitanti è la principale città del paese (2007). Le origini della città – chiamata Lourenço Marquez prima dell’indipendenza - sono legate allo sviluppo del potere coloniale portoghese e alla contestuale espansione dell’economia mineraria.
Città portuale, Lourenço Marquez diviene capitale della colonia nel 1907 in virtù della sua posizione strategica nei confronti delle aree minerarie del Witwatersrand in Sud Africa allora in via di veloce sviluppo. La città consolida nel tempo il suo ruolo di nodo mercantile e migratorio, esportando manodopera indigena dall’insieme della colonia verso le aree minerarie e importando manodopera portoghese dalla madrepatria.
Successivamente, con l’avvento del regime salazarista, la città è oggetto di significativi investimenti nel settore industriale che ne accelerano l’espansione e la diversificazione economica. Il forte incremento demografico – dalle poche migliaia della fine del diciannovesimo secolo ai circa 750.000 del 1980, vale a dire pochi anni dopo l’indipendenza - non è accompagnato da un’adeguata capacità pianificatoria da parte delle autorità coloniali. L’espansione della città risulta così fortemente condizionata dalla crescente rilevanza dell’urbanizzazione informale e dalla pervasività dell’influenza degli interessi privati negli ambiti di urbanizzazione formale.
Lo spazio urbano si organizza attorno ai cleavage propri alla società coloniale: da una parte sta l’area centrale - la cosiddetta cidade de cemento - abitata dai coloni portoghesi, dagli altri stranieri e da una ristretta classe di cosiddetti asimilados, vale a dire indigeni assimilati ai colonizzatori, dall’altra stanno vaste aree periferiche abitate dai colonizzati – il cosiddetto canico, ai cui abitanti è vietato il possesso della terra e la costruzione in muratura – nella forma di un’edilizia spesso semi-permanente in condizioni di maggiori o minori livelli d’informalità (Jenkins, 2012).
L’avvento dell’indipendenza, nel 1975, e lo stabilirsi di un regime a orientamento socialista egemonizzato dal partito Frelimo (Frente de Libertação de Moçambique) avrà effetti importanti sull’evoluzione di Maputo. Negli anni successivi all’indipendenza, oltre 200.000 coloni lasceranno il paese liberando la cidade de cemento.
Lo stato nazionalizzerà i suoli, le imprese del settore edilizio e gli edifici abbandonati concedendo in affitto – a valori nominali - gli alloggi resisi disponibili dall’evacuazione dei coloni. In un quadro di forte contrazione dell’economia e di orientamento dei capitali verso alcuni settori chiave della produzione industriale, gli investimenti nel settore edilizio andranno sostanzialmente esaurendosi: a fronte del congelamento dell’attività edilizia formale si registrerà così una consistente espansione di quella informale.
La cidade de cemento conoscerà un netto declino dovuto anche all’estinguersi delle funzioni commerciali e direzionali del regime coloniale (Grest, 1994). Contestualmente, il problema dell’espansione della città informale sarà affrontato per mezzo di assai limitati piani di urbanizzazione primaria di aree destinate all’autocostruzione anche con l’assistenza di organizzazioni internazionali.
La fine della guerra civile determinerà un cambiamento di regime: sebbene la Frelimo rimarrà al potere, lo stato post-bellico si orienterà in direzione di una democrazia liberale multipartito – quantomeno nominalmente – a economia di mercato, un’evoluzione accompagnata dal coinvolgimento del paese nelle politiche di aggiustamento strutturale della Banca Mondiale.
Nel 1992 in coerenza con il nuovo quadro delle politiche macro-economiche, sarà formulata una nuova politiche abitativa fondata su una forte enfasi sul ruolo dei privati: parti consistenti del patrimonio abitativo statale saranno trasferite agli inquilini a condizioni molto vantaggiose – dismissioni che andranno a beneficiare le nascenti classi medio-alte – mentre si svilupperà un mercato illegale dei suoli ancora formalmente proprietà dello stato.
Dagli anni Novanta si registrerà una ripresa della produzione edilizia lungo il fronte mare e l’area della cement city, dove si avrà di una nuova fase di sviluppo di funzioni direttive, culturali e commerciali. In un quadro di crescente polarizzazione sociale e di persistente incapacità istituzionale, Maputo assumerà progressivamente la forma di una città duale, divisa fra un mercato immobiliare speculativo riservato alle classi superiori e le vaste estensioni informali che registreranno ancora alti tassi di espansione (Jenkins, 2012).
Secondo dati delle Nazioni Unite, l’80% della popolazione del Mozambico viveva nel 2005 in aree considerabili quali slum (UN-Habitat, 2007). Le Nazioni Unite definiscono slum aree nelle quali non si verificano almeno due delle seguenti condizioni: accesso all’acqua potabile, disponibilità di un sistema fognario, spazio abitativo sufficiente, durevolezza dell’abitazione e certezza dei titoli d’uso (security of tenure) (UN-Habitat, 2003). Il ritorno della definizione slum, soprattutto in occasione della definizione dei cosiddetti Millenium Goals, nel campo dello politiche per lo sviluppo conferma molti dei temi sviluppati nell’ambito della riflessione sull’urbanizzazione informale. Tuttavia, è stato sottolineato come nel caso delle città dell’Africa sub-sahariana l’opposizione formale/informale abbia una capacità euristica molto parziale. Nella realtà, “le aree urbane dell’Africa Sub-Sahariana presentano un’enorme varietà di livelli intermedi fra l’informale ed il formale”, mentre “le stesse popolazioni coinvolte nell’urbanizzazione informale vedono le proprie pratiche come socialmente legittime” (Jenkins, 2002; Jenkins e Andersen, 2011).
Fra gli anni ‘90 e i duemila emergono a Maputo nuovi tentativi di pianificazione che culminano nel Piano Strutturale del 2008-09 che, fra gli obiettivi prioritari, prevede il risanamento e lo sviluppo di 3750 aree definite quali slum ad un costo stimato di oltre 950 milioni di dollari in dieci anni.
Fra i programmi più importanti introdotti con il nuovo piano strutturale figura il Maputo Municipal Development Program, cofinanziato dalla banca mondiale e da altri donatori, che punta “all’incremento della copertura e della qualità dei servizi municipali per l’insieme degli abitanti della città” per mezzo di una strategia multidimensionali di institution building, consolidamento finanziario e intervento infrastrutturale (Conselho Municipal de Maputo, 2010).
Anche in Mozambico, le politiche d’intervento nelle aree “informali” portate avanti dallo stato e dai donatori internazionali hanno progressivamente incluso la questione dell’accessibilità e riconoscibilità dei titoli di proprietà, già richiamata nell’articolo di apertura, nella propria agenda. La formalizzazione dei titoli di proprietà su immobili e suoli detenuti “informalmente” è stata considerata funzionale all’avviarsi dei processi di accumulazione capaci di generare sviluppo anche fra le popolazioni più marginali. In questo caso, a essere perseguita, per mezzo della “formalizzazione dell’informale”, è la mobilitazione diretta – quale merce – e indiretta – quale garanzie per l’accesso ai capitali - del “dead capital” rappresentato dagli immobili e dai suoli negli “slum” (De Soto, 1989; 2000).
Nell’ambito di ricerche condotte negli anni 2000 in diversi ambiti di urbanizzazione informale dell’area metropolitana di Maputo si sottolineava come la pur evidente crescita degli scambi – di immobili e di suoli – si accompagnasse spesso a un mercato dalle dimensioni ancora embrioniche e da un forte radicamento delle transazioni in reti sociali relativamente chiuse. Complessivamente, il valore d’uso di suoli e immobili – per i propri familiari e discendenti - sembrava ancora largamente prevalere nelle percezioni degli abitanti sui valori di scambio (Jenkins, 2012).
Alla scarsa penetrazione dei Duat nei cosiddetti “barrios informais” corrispondeva quindi la diffusione di modalità consuetudinarie di riconoscimento dei diritti d’uso del suolo che privilegiano il ruolo dei cosidetti “chefes de quarteirão” posti a capo delle rappresentanze di quartiere introdotte dal Frelimo con l’indipendenza (Nielsen, 2009). Contestualmente, in aree in cui il valore dei suoli risultava più elevato sul mercato informale, si rilevava una maggiore crescita degli scambi ed una tendenza all’espulsione dei gruppi sociali più marginali – un processo per il quale si richiamava la categoria di “gentrification” – con effetti importanti sulla qualità di vita di questi ultimi, a partire dall’effettività del loro accesso alla terra (Jenkins, 2012).