All’inizio di questo millennio la città di Trento è stata oggetto di progetti e di ripensamenti urbanistici. Una fase di grande espansione, iniziata negli anni Sessanta, è giunta al capolinea. I grandi comparti industriali di cui la città si era dotata a partire dagli anni Trenta sono entrati in crisi lasciando dismesse ampie porzioni di città. Inoltre, la fine della Guerra fredda e il mutamento del quadro politico europeo, ha reso meno strategica la presenza militare a Trento, con la conseguente chiusura di gran parte delle caserme militari presenti nel tessuto urbano fin dalla fine dell’Ottocento. Sia nel caso delle ex-caserme che in quello degli ex-aree industriali, si tratta di aree molto preziose dal punto di vista urbanistico. Nate fuori dalla città, si sono trovate ben presto circondate dalle espansioni disordinate e subitanee in cui Trento è crescita negli ultimi decenni. Aree che oggi possono essere considerate strategiche per il futuro del capoluogo.
Chi arriva a Trento in questo momento storico non può che osservare un grande fermento di cantieri, di gru, di impalcature edilizie. Questi, infatti, sono anni importanti dal punto di vista del cambiamento urbano, durante i quali stanno mutando sia l’immagine della città, sia la distribuzione sociale dei suoi abitanti. È un fenomeno che interessa ciclicamente tutte le città, se è vero, infatti, che esse sono costantemente in mutamento, essendo il frutto di una stratificazione incessante di lenta costruzione, è anche vero che esistono dei momenti nella loro storia nei quali tali mutamenti avvengono con maggiore intensità. Creando anche lacerazioni e discontinuità. Aprendo, in ogni caso, una nuova stagione. Anche la città di Trento ha vissuto alcuni momenti di grande cambiamento: fin dalla costruzione del castrum romano nel I secolo avanti Cristo in quella selvaggia valle percorsa dalle ampie anse dell’Adige e che generò quella “Tridentum” che in pochi decenni sarà apostrofata dall’imperatore Claudio Augusto in persona come uno «splendidum municipium». Da quel «dramma nella storia» che rappresenta la sua fondazione, la città di Trento ha avuto altre significative rivoluzioni architettoniche ed urbanistiche. Fra le mutazioni più importanti va sicuramente annoverata la costruzione della turrita e compatta città medievale chiusa dalle mura duecentesche, con una forma «a foggia di cuore». Un altro momento di grande sviluppo coincise con la costruzione della città rinascimentale grazie all’opera del principe-vescovo Bernardo Clesio e al genio di molti artisti provenienti da tutta Italia e chiamati nel capoluogo per preparare la città ad ospitare quel Concilio che la renderà famosa nel mondo. L’industrializzazione, l’arrivo della strada ferrata con la conseguente deviazione (e regimazione) dell’Adige lontano dalla città, aprirono la strada alla dispersione urbana che da un nucleo compatto dove le mura dividevano lo spazio urbano da quello territoriale, si trasformerà in poco più di cent’anni in un’ampia regione urbanizzata estesa per una ventina di chilometri dal sobborgo di Mattarello a sud fino al Comune di Lavìs a nord.
Quello che ha caratterizzato la storia della città di Trento non è ovviamente costituito solo da fenomeni di natura urbanistica, politica ed economica. Trento è cambiata anche dal punto di vista sociale. La fondazione dell’Università, nel 1963, ha emancipato un tessuto sociale culturalmente fermo al Concilio tridentino e lo ha proiettato, nel giro di quarant’anni, ad essere parte di una città che punta sull’innovazione, avendo fatto del “terziario avanzato” una delle principali risorse economiche.
In questo complicato e stimolante contesto ha preso forma all’inizio del millennio una nuova stagione di pianificazione, anche urbanistica: sull’impianto urbano delineato e non contraddetto del “Piano Vittorini” del 1989, due varianti al Piano Regolatore Generale si sono succedute tra il 2004 e il 2005 e contengono la “vision” del Comune esplicitata da un’equipe di docenti universitari (Renato Bocchi, Alberto Mioni e Bruno Zanon) ma soprattutto dal contributo dell’urbanista catalano Joan Busquets. Proprio quest’ultimo è stato l’indiscusso protagonista della stagione del dibattito sulle trasformazioni di Trento, tornando a proporre un piano disegnato, una città futura trasmessa con rappresentazioni grafiche di grande potenza comunicativa.
Un altro aspetto di questa stagione è la scelta operata dall’amministrazione di procedere mediante una pianificazione integrale, riferita agli ambiti culturale, sociale, per le politiche giovanili oltre che ad un piano strategico che sondasse le finalità delle scelte e costruisse una forma diffusa di condivisione.
Sotto l’aspetto urbanistico, in prospettiva, si nota che da questo impegno di approfondimento e di programmazione sono stati esclusi o introdotti con superficialità due temi, proprio quelli sui quali il disegno complessivo della città faceva affidamento con scelte forti e strutturali: mobilità e verde.
Trento è una città lunga 18 chilometri e che in qualche punto è larga solo 1 chilometro e mezzo. In questa “strettoia” passa l’autostrada A22, il fiume Adige, la tangenziale, la linea ferroviaria, e almeno due strade minori di collegamento nord-sud. Tutto questo fascio di infrastrutture, che raccoglie i flussi che dall’Italia vanno in centro Europa e viceversa, si concentra in uno spazio molto limitato, occupato anche dalla città fisica. Non a caso, la mobilità è un tema ancora da risolvere. La stagione della pianificazione dell’inizio degli anni 2000 non ha affrontato questo tema se non marginalmente, anzi peggio, poggiando il disegno complessivo della città su di una visione tanto affascinante quanto irrisolta tecnicamente e finanziariamente: l’interramento della ferrovia che attraversa la città per ricavare un elegante boulevard, tanto accattivante nell’immaginario cittadino quanto capace di aggregare sensibilità urbanistiche diverse.
Ora che è assodato che il boulevard non si farà, e che il Piano della Mobilità è stato licenziato (2010) non solo si fanno i conti con i condizionamenti dati da altre nuove visioni prodotte questa volta dalla amministrazione provinciale, che nell’ambito di un programma generale di mobilità su ferro (Metroland) ha previsto per la città capoluogo una metropolitana leggera di superficie (VAL), ma ci si interroga su quale possa essere il futuro modello di crescita della città, ove le scelte di densificazione devono necessariamente fare i conti con un modello di mobilità coerente.
Analogamente il tema del verde, che è stato altro elemento di forte struttura per il disegno della città e per la valorizzazione di un patrimonio ambientale già ricco ma mai organicamente interpretato, sta in parte disperdendo il suo potenziale urbanistico ed ambientale perché non supportato da strumenti attuativi adeguati (per esempio per la concretizzazione di previsti corridoi verdi urbani) o da una forte volontà progettuale (per esempio per dare forma al previsto verde fluviale di connessione urbana).
Ma la stagione delle trasformazioni dei comparti di riqualificazione è partita, senza quasi sfiorare i temi che in questo caso si pongono come cruciali altrove: quello delle risorse e quello delle tipologie di strumentazione attuativa. Nel primo caso contribuisce senza dubbio la possibilità di investimento della Provincia Autonoma e delle sue società di investimento satelliti. Nel secondo caso il dibattito non serviva: si è semplicemente fatto ricorso alla strumentazione tradizionale (piani attuativi) oppure, quando la tipologia dell’intervento lo consentiva, a concessioni edilizie.
Se l’assenza di novità o dibattito rivela la mancanza di un problema, reale o percepito, va anche osservato che a questa scala l’urbanistica ha forse rinunciato a sollecitare parternariati pubblico-privato, ma anche a sperimentare strumenti di coinvolgimento e condivisione così come di redistribuzione della rendita, perdendo senza dubbio una occasione di crescita anche per la città.
A ben guardare, tra tante gru in azione, si colgono anche altre urgenze, legate ad uno sguardo più ampio, che abbracci anche le belle colline che circondano il fondovalle, coperte da colate residenziali o che osi spingersi a ragionare e programmare alla scala sovra comunale, ora che il pendolarismo è, anche grazie agli alti costi della casa, un fenomeno in fortissima crescita.
Il tema della casa non trova infatti risposta in questa stagione di interventi di trasformazione: residenze per il livello medio-alto nel caso della ex Michelin, o residenze studentesche per gli interventi dell’Opera universitaria. Il resto è tutto terziario, in prevalenza pubblico. Questioni che possono destare preoccupazioni, e che si spera possano entrare in agenda, anche se il furore per questa ricomposizione della scacchiera e delle caselle vuote non si sta (fortunatamente) ancora placando.
Un fenomeno nuovo per la città di Trento è l’arrivo di molti progettisti appartenenti allo stars-system dell’architettura mondiale. Si è iniziato proprio con il catalano Joan Busquets chiamato dal Comune di Trento per redigere il Piano Regolatore Generale. Poi è stato il turno di Renzo Piano, genovese, chiamato a redigere il progetto della ex-Michelin dalla società Iniziative Urbane spa in accordo con l’amministrazione comunale. Lo svizzero Mario Botta frequenta il Trentino da circa vent’anni, grazie alla progettazione e costruzione della sede roveretana del Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (Mart). A lui l’Università di Trento ha affidato prima il progetto della Facoltà di Giurisprudenza e successivamente il progetto della Nuova Biblioteca d’Ateneo. Sempre per l’Università lavora l’equipe Ishimoto Architectural & Engineering che progetta la Facoltà di Lettere e i Poli universitari sulla colline a est della città. Poco fuori dal centro storico lavora Pierluigi Nicolin, vincitore di un concorso internazionale, che realizza il nuovo Polo Giudiziario sul sedime del Carcere austro-ungarico. C’è poi da segnalare la presenza dell’architetto milanese Vittorio Gregotti che sta progettando, per conto di privati, un grande intervento sulle aree dismesse di Trento Nord. Il fenomeno ha senza dubbio forzato non solo un rinnovamento dell’immagine della città ma anche la dimensione professionale dell’attività progettuale: le accuse di colonialismo progettuale hanno però spesso offuscato gli interventi di rilievo di progettisti locali, spesso vincitori di concorsi di progettazione, spesso per interventi ai margini delle zone centrali.