Quali termini descrivono meglio la realtà post comunista albanese: transizione, informalità, integrazione?
Queste tematiche sono senz’altro centrali nel definire la realtà albanese degli ultimi vent’anni. Inoltre, aggiungo che esistono, a mio parere, altri due pilastri; il primo è il vacuum delle istituzioni. In breve, con il rovesciamento del sistema si è registrata un’assenza delle istituzioni nei territori sotto il punto di vista del controllo e delle indicazioni di cui la comunità ed il sistema pubblico necessitavano. Le ragioni di tale assenza possono essere tante. Indubbiamente, il cambiamento radicale delle istituzioni e la relativa mancanza di esperienza sono aspetti importanti, principalmente nel primo periodo degli anni novanta. In seguito, il radicamento del dibattito politico, spesso ideologico, non ha creato le condizioni necessarie per uno sviluppo maturo. Queste condizioni testimoniano come la società non abbia raggiunto una consapevolezza ed una maturità in grado di far fronte ai cambiamenti che si prospettavano e che tutt’ora si prospettano. In seguito al rovesciamento dello status quo, bisogna recuperare un equilibrio ed una normale attività sociale che permetterà di poter affrontare le sfide in un’ottica positiva.
E quale sarebbe il secondo pilastro?
L’energia “esplosiva” della popolazione sprigionatisi dopo la caduta del regime. Per questo, bisogna risalire alla volontà della popolazione di liberare le idee imprigionate dalle cinque decadi del regime comunista e dalla sua economia centralizzata. Questo stato palpabile di eccitazione sociale, fondata sulla volontà di rivalsa verso il passato ed un’idea di autoaffermazione proiettata nel futuro, ha contribuito ad creare una tensione sociale spesso non controllata. La compresenza di questi due fattori ha dato luogo a un sistema di caos, un continuo conflitto tra il sistema informale e quello istituzionale. Questo chiaramente non è una caratteristica esclusivamente albanese, ma ha riguardato, in aspetti differenti, altre realtà nazionali e tutt’ora interessa il mondo occidentale.
Cosa significa allora informalità in un contesto di sviluppo incontrollato come quello albanese?
L’informalità va vista come un concetto non esclusivamente riferito all’attività edilizia, in quanto espressione culturale legata al background politico, sociale, economico e culturale. L’informalità è un fenomeno che può essere trasversale, a partire dal sistema del crimine organizzato, traffico illecito e in generale le attività illegali, fino all’abusivismo edilizio. Questa condizione è riscontrabile in tutte le società, anche in quelle occidentali e non è una specificità locale. Nel frattempo esistono altre espressioni di informalità imposte da una condizione di necessità economica e che riguardano una larga parte della società. Questa condizione di urgenza costante, dimostra come lo Stato non sia stato in grado di porvi rimedio né applicando politiche di housing sociale, né attraverso un controllo dell’attività edilizia illegale. In questo contesto, la causa principale è indubbiamente il fallimento del sistema Stato e di conseguenza, a mio parere, questa seconda definizione di informalità merita un’attenzione ed una sensibilità maggiore sia nell’interpretazione della realtà sia nei rimedi. Nella nostra realtà nazionale, il processo di integrazione, riconoscimento e legalizzazione, a cui è stato dato avvio nel 2006, seppur incompleto, perfettibile, e sottoposto ad un dibattito politico acceso, è un esempio indicativo di una possibilità reale di individuare strade percorribili per cui si possano tutelare le esigenze economiche della popolazione con l’applicazione ed il rispetto della legge.
Quali sono le condizioni di sviluppo futuro della città di Durazzo ed il suo rapporto con il quartiere di Keneta?
In un contesto di sviluppo metropolitano, Durazzo ha una posizione strategica, da un punto di vista geografico, rappresentando una delle porte, non solo per l’area metropolitana di Tirana-Durazzo, ma per l’intera nazione. La città di oggi non è più quella di vent’anni fa. Lo sviluppo di cui essa è espressione continua, determina la nascita di nuovi settori urbani con caratteristiche uniche. Possiamo, infatti, notare come la città sia suddivisibile nelle sue componenti urbane; il centro storico e lo sviluppo fino agli anni ‘90, il quartiere informale di Keneta, la città costiera situata nel golfo di Durazzo ed infine l’ex area industriale di Shijak. In questo contesto la realtà urbana informale di Keneta rappresenta un problema a cui porre rimedio attraverso la realizzazione di servizi ed infrastrutture urbane. A differenza di altre aree della città, Keneta, in prospettiva, potrebbe essere trasformata in un quartiere verde, sulla falsa riga delle garden cities, considerando la sua bassa densità abitativa e la sua conformazione geografica. In una più ampia visione strategica della città possiamo considerare il quartiere come enorme potenzialità di sviluppo ed un punto di forza nelle politiche urbane, occasione per dimostrare come l’informalità possa essere una ricchezza. Diversa è la situazione di tutta l’area costiera che interessa il golfo della città. Qui si concentra una fetta importante dell’attività turistica di tutto il paese e che vede nell’infrastruttura urbana un problema molto difficile a cui porre rimedio. Contrariamente a quello che è accaduto a Keneta, qui, la maggior parte degli edifici sono stati realizzati in conformità alla normativa, ma questo non ha impedito la formazione di un pezzo di città in totale caos, dove è impossibile intervenire per la realizzazione di spazi pubblici e dove la qualità delle strutture turistiche è relativamente bassa. Per quanto riguarda invece l’ex area industriale (Shkozet) della città di Durazzo e quell’ area che si estende verso Shijak-Sukth nella direzione di Tirana, possiamo constatare una realtà in continua mutazione a tal punto da trasformare quest’area in una nuova realtà suburbana. Tutte queste identità urbane hanno bisogno di una strategia di coesione ed integrazione che possa connetterle e sviluppare un processo di trasformazione unitaria. La città ha delle grandi potenzialità e margini di crescita, serve solo una buona dose di creatività da parte dell’amministrazione locale.
Dopo questi vent’anni è arrivato il momento di parlare di politiche efficaci di pianificazione e non solo di politiche di legalizzazione?
La legalizzazione è un atto giuridico e amministrativo necessario per attribuire alla popolazione che vive in situazioni di informalità un riconoscimento dal punto di vista legale e politico. Il processo di legalizzazione è un processo doveroso, ma non è la soluzione definitiva dei problemi. Per andare oltre a questo fenomeno bisogna che ci sia un salto in avanti da parte della popolazione. Questa precisazione riguarda in primo piano la questione della proprietà privata ed il valore economico del suolo che viene attribuito alle aree informali. Accade di frequente che, in un mercato immobiliare non del tutto trasparente, non avvenga una valutazione paritetica del valore di mercato dell’immobile. Questo fattore di discriminazione, tollerato dalle amministrazioni ed operato dalle banche, crea immobili di fascia A e B, contribuendo ad ampliare ulteriormente la forbice che tutt’ora esiste tra gli abitanti dei quartieri informali e quelli riconosciuti come formali, ma che spesso si trovano nelle stesse condizioni qualitative dei primi. Una volta superata questo fase, il sistema politico centrale e quello locale dovrebbero trovare i compromessi per cui attivare una serie di azioni che abbiano come obiettivo l’integrazione, in tutti gli aspetti sociali, degli abitanti dei quartieri informali. Solo procedendo con misure specifiche si possono creare le condizioni per cui il fenomeno dell’abusivismo si controlli e, nei casi più positivi, lo si elimini.