Urbanistica INFORMAZIONI

Durazzo: storia di un quartiere abusivo

Durazzo è un’area urbana in forte crescita demografica ma la sua vicinanza con Tirana la relega ad un ruolo da comprimaria nella regione. La città è alle prese con il difficile compito di individuare il ruolo da assumere a livello nazionale e internazionale, poiché è ancora una delle più importati città portuali dell’Adriatico e testa di ponte di una futura area metropolitana. Questo suo ruolo strategico la rende un osservatorio privilegiato per le sorti del contesto regionale ed extranazionale nel quale le città dell’Albania post-Hoxha si collocano.
A testimoniare l’importanza strategica della città, da quello che emerge dai dati censuari del 2001–2011, Durazzo ha avuto un incremento di popolazione urbana del 49,9% e una diminuzione di quella rurale del 41%. Nella prefettura (Qark in albanese1) di Durazzo gli abitanti crescono del 9% dovuto a un importante flusso di migrazione interna. Interessante è la distribuzione della popolazione, il 75% si concentra nella città e solo la restante parte nel tessuto rurale, contribuendo ad amplificare il fenomeno dell’inurbamento della stessa negli ultimi dieci anni. Questi dati sono accompagnati da un incremento dell’attivata edilizia del 62% rispetto al 2001. Numeri che descrivono appieno quali siano state le dimensioni dello sviluppo della città e del suo intorno. A questo punto viene spontaneo riflettere su come questa espansione sia stata governata e che ruolo abbia avuto la pianificazione sia a livello locale sia nazionale.

Keneta, una realtà informale

Per descrivere appieno la storia di questo brano di città, un tempo palude, bisogna risalire alla metà degli anni Sessanta, quando il regime comunista decise di portare a compimento la bonifica di questo territorio paludoso. In pochi anni, tra il 1964-1967, l’area fu bonificata ma su di essa non fu realizzato nessun tipo di infrastruttura urbana (strade, rete idrica, rete fognaria ecc.). Per più di un quarto di secolo,
Keneta non è stata altro che una sterminata scacchiera rurale (con bassa intensità produttiva a causa di un alto tasso di salinità nel terreno) a ridosso della città di Durazzo. Il suo ruolo nelle politiche locali era pressoché inesistente, così come l’interesse che gli abitanti della città le mostravano. Con la caduta del regime comunista, iniziata gradualmente e conclusasi nei primi anni ’90 con l’apertura dei confini nazionali, è cominciata una nuova era per Keneta. Le condizioni sono cambiate molto velocemente: la popolazione, presa dal panico e dalla voglia di evadere da un passato opprimente, si è ammassata nelle grandi città (Tirana, Durazzo), mentre intere regioni del paese sono andate spopolandosi. Questo processo migratorio interno, accanto al più noto flusso di emigrazione verso l’occidente (Italia, Grecia, Svizzera), ha portato nelle zone periferiche di Durazzo una massa di popolazione in cerca di casa e mezzi di sostentamento. In un primo momento, questi flussi erano eventi sporadici (poche famiglie), tanto insignificanti da non impressionare l’opinione pubblica. Le condizioni geologiche e la necessità di avere una soluzione abitativa immediata hanno spinto i nuovi abitanti a costruire delle strutture di emergenza. Queste baracche (in albanese Kolibe, il cui significato letterale è capanna adibita al riparo degli animali) dovevano essere soluzioni temporanee, ma di fatto non lo sono state. L’invasione è passata inosservata sino alla metà degli anni ’90.
Le condizioni sono cambiate tra il 1995-96, quando si è registrato un flusso di migrazione decisamente superiore. Keneta stava diventando un punto di riferimento nazionale, tanto che gli abitanti venivano da svariate regioni e si iniziava a sentire una moltitudine di dialetti. Le aree di origine erano differenti: si registrava, infatti, la presenza di nuclei familiari provenienti dal nord (Mirdita, Kukes, Shkoder) e altri originari del sud e delle montagne (Libraxhd, Bilisht ecc.).
Il principio di insediamento era semplice: si occupavano i territori nelle vicinanze della città, non per una questione di comodità o posizione, ma perché ci si poteva allacciare abusivamente alla rete idrica, alla rete dell’energia elettrica e a quella fognaria. Dal punto di vista tipologico, esistevano sole le baracche fatte in legno, lamiera e blocchi di cemento prodotti in loco.
Gli abitanti si sono resi presto conto, a loro spese, che il terreno occupato non era adatto a sostenere strutture di due o tre piani in cemento, perché era un terreno con scarse proprietà statiche. Non di rado si verificano allagamenti nei periodi invernali, dovuti al mal funzionamento del sistema della bonifica alterato dalla popolazione (molti canali sono stati chiusi ed altri tombati, compromettendo il sistema).
Con i disordini sociali che si sono registrati nella prima parte del 1997 e che sono continuati anche nel 1998, l’avvento di nuove famiglie si è ridotto notevolmente. Questo fatto era legato principalmente alle condizioni di caos ed anarchia in cui la nazione era precipitata. Insieme al graduale ritorno alla normalità sono ripresi i flussi migratori con maggiore vigore rispetto al passato. In questo periodo, a essere invasa non è stata solo Keneta, ma l’intero territorio urbano della città. Luoghi come Shkozet, ex area industriale, e Porto Romano, attuale porto industriale della città, sono stati interessati anch’essi da questo fenomeno.
Il processo di appropriazione del suolo è avvenuto con relativa facilità sebbene, dal punto di vista normativo, esistesse una legge, la n. 7051, la quale attribuiva al nucleo famigliare il diritto d’uso del suolo per un periodo di 99 anni (una superficie di 2-3.000 mq in titolo ad ogni componente familiare) ma non il diritto di proprietà. Questo aspetto non è stato colto dalla nuova popolazione di Keneta, la quale, ignara del particolare, sosteneva di essere titolare del diritto proprietà, non riscontrabile, però, in nessun documento ufficiale.
Le particelle su cui si andavano a costruire le prime abitazioni erano di circa 200 mq, altre di 500 mq e, solo in casi particolari, di estensione superiore (quando la proprietà era in capo a più nuclei familiari imparentati ). Con l’avvento del nuovo millennio, nei primi anni del 2000, si è avuto un considerevole boom economico in tutto il paese, compreso nel quartiere di Keneta. In questo periodo la popolazione ha affrontato, a proprie spese, tutte le opere che erano necessarie per evitare le inondazioni e migliorare la capacità statica del terreno. Solo dopo ingenti opere di movimento di terre e macerie si è riuscito a evitare, in parte, il fenomeno delle inondazioni. Da quel momento, con una disponibilità economica importante (si valuta che il 98% degli investimenti siano provenuti dall’emigrazione), si sono iniziate a vedere le prime case in mattoni di due o tre piani, fatti con materiali di buona qualità, impiegando manodopera locale (auto-costruzione).
Il fenomeno è stato talmente imponente che l’80% delle costruzioni è iniziato in questi anni. Non tutte sono state concluse, infatti, si può notare la presenza di una moltitudine di strutture incomplete. Fondazioni, telai strutturali in cemento armato, strutture incomplete, ferri di ripresa nei piani superiori rappresentano gli elementi dominanti del panorama urbano, nonché affascinanti spunti di riflessione. L’abusivismo e l’auto-costruzione non hanno impedito che nascessero regole insediative precise e seguite da tutti gli abitanti: una sorta di patto informale con contenuti ed efficacia che spesso le leggi nazionali non hanno raggiunto. Distanze, dimensioni, altezze, orientamenti erano, e lo sono in parte ancora oggi, stabiliti dagli abitanti locali.

Un lungo processo di integrazione ancora in atto

I primi passi verso un processo di integrazione, oramai improrogabile, sono stati mossi nel 2004 da parte dell’amministrazione comunale, quando sono stati avviati i lavori per la realizzazione di una strada situata nel limite urbano tra la città ed il quartiere. E’ da registrare che l’amministrazione si è posta il problema dell’esistenza del quartiere solo dopo 12-14 anni dai primi insediamenti. A questo periodo risale la realizzazione della prima scuola elementare/media del quartiere, mentre precedentemente i bambini dovevano registrarsi presso le scuole della città.
Con la nascita dell’istituzione ALUIZNI (legge Nr. 9482 del 3.4.2006) si è intrapreso il processo di riconoscimento, legalizzazione, urbanizzazione ed integrazione delle aree informali e degli edifici abusivi. Questa struttura, parallela agli organi locali di amministrazione rappresentati dal ZRPP (ufficio di registrazione delle proprietà immobile), aveva il compito di portare a compimento il processo di legalizzazione individuando i proprietari degli singoli immobili.
Questa fase non ha impedito che continuasse la prassi dell’abusivismo iniziata agli inizi degli anni ’90. Il secondo step di interventi da parte della pubblica amministrazione è iniziato nel 2007 con la realizzazione di una strada a doppia corsia per senso di marcia che divide in due il quartiere di Keneta. La strada, seppur necessaria per ottimizzare la viabilità della città e del quartiere stesso, è stata realizzata sul sedime di uno dei canali di bonifica più importanti di tutto il sistema. Questo modo di operare, ed in genere la sottovalutazione da parte della popolazione del sistema di canalizzazioni, fanno sì che, per l’opinione pubblica, i problemi del quartiere si risolvono solo attraverso la chiusura dei canali rimasti ancora scoperti.
Questa indicazione viene portata avanti anche dagli strumenti urbanistici: infatti, nella sezione del piano strutturale che riguarda Keneta, sono previste ulteriori opere di chiusura del sistema dei canali per fare spazio a strade asfaltate. Altri investimenti sono stati fatti a seguito di un’intensa collaborazione tra l’amministrazione, il governo austriaco e lo studio di pianificazione Co-Plan.
Questi investimenti sono stati utilizzati per la realizzazione di canalizzazioni e strade urbane. Sotto le indicazioni e le responsabilità dello studio di Co-Plan è stato realizzato il primo studio sociale sul quartiere, anche se riguarda effettivamente solo una piccola parte del medesimo. Nel 2008, grazie a fondi stanziati della Banca Mondiale e dalla Svizzera, sono partiti i lavori per la realizzazione di un depuratore per il filtraggio delle acque nere. Nel frattempo l’amministrazione ha proseguito il processo di legalizzazione, completando nel 2011 il censimento delle strade e del numero civico delle abitazioni. Un processo doveroso ma considerata dalla popolazione come inutile, viste le condizioni reali del quartiere a cui non servivano i nomi delle strade ma degli investimenti sui servizi sociali.
Dopo circa vent’anni, nel 2011, si può constatare che nelle abitazioni di Keneta è arrivata l’acqua potabile, non in tutte le zone del quartiere e non a tutte le ore. L’ultima opera di interesse generale, una scuola superiore, l’unica del quartiere, è stata completata verso la fine del 2012. Questa e la scuola elementare e media sono, a oggi, gli unici servizi nell’area. Per il futuro i progetti che riguardano il quartiere sono, come detto, la realizzazione di strade asfaltate ed interventi sulle opere di urbanizzazione primaria, mentre è ancora enormemente sottovalutata la necessità di spazi sociali, all’aperto o al chiuso, di cui il quartiere è sprovvisto. Fino ad ora, il processo di integrazione ha messo in secondo piano la questione sociale di cui parla Besnik Aliaj nell’intervista, che indica come obiettivo principale il superamento dell’approccio legale all’integrazione, quando invece rappresenta una questione culturale.

Data di pubblicazione: 21 giugno 2014