Il Veneto (come più in generale il Nord-Est) è conosciuto per le intense dinamiche di espansione edilizia e infrastrutturazione che, in particolare tra gli anni Settanta del XX secolo e i primi decenni del XXI secolo, hanno generato un dilagare scomposto di urbanizzazioni di tipo diffuso. Oggetto di molteplici e importanti dibattiti e riflessioni scientifiche (cfr. Indovina et al., 1990; Fregolent, Indovina e Savino, 2005; Secchi, 1996; Turri, 2000; Marson, 2001), i caratteri della dispersione insediativa veneta sono stati a lungo studiati per descrivere e comprendere il complesso intreccio di fattori storici, sociali, economici, politici e amministrativi che stanno alla base della sua origine.
La città diffusa veneta, intimamente legata al modello di organizzazione economico-sociale tipico di una piccola imprenditorialità organizzatasi in forma distrettuale (Bagnasco, 1977, 1988; Beccatini, 1989; Anastasia e Corò, 1993), è stata a lungo concepita come il prodotto di una situazione di laissez-faire amministrativo e urbanistico dominato da meccanismi di mercato. A una lettura più approfondita, tuttavia, essa può essere guardata in realtà come l’esito di una forte “intenzionalità” pubblica che, attraverso le proprie politiche e i propri strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, ne ha sostenuto in modo incrementale il consolidamento e l’evoluzione (Fregolent e Vettoretto, 2017).
Le conseguenze “formali” dell’urbanizzazione diffusa sono evidenti non solamente agli addetti ai lavori. Mentre gli spazi aperti, le aree agricole e naturali e, più in generale, il paesaggio sono stati erosi e frammentati (divenendo, di fatto, non più “leggibili” e “riconoscibili” anche nelle loro componenti storiche e identitarie), le trasformazioni insediative hanno quasi sempre prodotto un paesaggio urbano banale, ripetitivo, a bassa densità edilizia e dipendente dall’uso dell’automobile. In tale contesto, la qualità delle soluzioni progettuali, edilizie e urbanistiche è generalmente considerata scarsa.
Di fatto, mancando un disegno territoriale riconoscibile e organico, si è generata una situazione di in-between (un rurale senza più caratteristiche di ruralità, e un urbano senza più caratteristiche di urbanità) che rappresenta una sfida progettuale interessante per architetti e urbanisti, e che deve essere finalizzata a orientare le trasformazioni e gli interventi futuri verso maggiori obiettivi di sostenibilità e qualità (Marson, 2015).
Negli ultimi anni, alcuni Comuni del Veneto hanno avviato delle importanti riflessioni e sperimentazioni progettuali proprio sul “che fare” di quel sistema insediativo ereditato da un trentennio di crescita scomposta dell’urbanizzazione diffusa. I quattro casi proposti da INU Veneto per il ciclo di “passeggiate di rigenerazione” rappresentano in tal senso delle “eccezioni positive”. La selezione è caduta su progetti (realizzati o in corso di realizzazione) di recupero/riqualificazione urbana e qualificazione dello spazio pubblico in piccoli o medi Comuni “tipici” del contesto della dispersione insediativa, proposti da (e con) una forte regia pubblica, con una governance allargata, attraverso molteplici fonti di finanziamento, pubblico e privato.
Pur non essendo possibile procedere a una vera e propria generalizzazione a partire dai processi e dagli esiti delle quattro diverse situazioni progettuali indagate da INU Veneto, si proverà in queste brevi note a fornire una lettura trasversale sul senso delle attività di “riprogettazione” nei territori della città diffusa.
Come detto, le quattro esperienze si fanno portavoce di un importante (e convincente) sforzo progettuale del pubblico (in primis le amministrazioni comunali) nel costruire ex novo o rinnovare le centralità esistenti del Veneto diffuso. Di fatto, gli spazi pubblici ereditati dal passato – quasi sempre esito di una applicazione meramente quantitativa dello standard urbanistico e dunque privi di un vero e proprio valore identitario – sono qui fatti oggetto di una attenta riflessione sulle molteplici componenti che ne definiscono, oggi, la qualità.
I vari progetti non sono affatto “puntuali”, ma al contrario pongono una particolare attenzione alle relazioni (fisiche, percettive, ma anche identitarie) tra i luoghi degli interventi e il contesto. Di fatto, pur insistendo su un’area specifica del territorio comunale, essi provano a mettere a sistema l’insieme delle aree qualificanti gli insediamenti in termini ambientali, storici e sociali (le aree e gli elementi a prevalente connotazione naturalistica, il centro storico e le altre testimonianze ed emergenze storiche, le attrezzature e gli altri luoghi destinati alla fruizione sociale).
Costruendo una “rete” che connette questi elementi, tali progetti favoriscono così una più complessiva ri-organizzazione del sistema della mobilità, puntando in primis sull’accessibilità e la permeabilità pedonale e ciclabile. Emblematico è in tal senso il caso di Montebelluna (31.380 ab. in Provincia di Treviso), il cui progetto di riqualificazione urbana dell’intero centro storico parte dalla chiusura al traffico automobilistico (grazie alla costruzione di un anello perimetrale) e dalla pedonalizzazione di Corso Mazzini, il cui esito tangibile è la “ricucitura” pedonale Nord-Sud di un centro città prima separato da un importante asse di scorrimento di rango sovralocale. Similmente, Quinto di Treviso (9.957 ab. in Provincia di Treviso) sottrae alle auto e alla destinazione di parcheggio pubblico Piazza Roma antistante al Municipio, progettandone un rinnovato affaccio e relazione col fiume Sile. La costruzione di un percorso ciclo-pedonale lungo il fiume di connessione tra la piazza e gli spazi aperti circostanti trasforma altresì Piazza Roma nel nuovo ingresso pubblico al Parco Naturale Regionale del Fiume Sile. Peschiera del Garda (10.705 ab. in Provincia di Verona) promuove la riqualificazione di Piazza Ferdinando di Savoia, pedonalizzando l’area in cui insistono gli edifici storici e militari della città fortificata (la Rocca, la Chiesa di San Martino, la caserma XXX maggio), riscoprendo anche qui l’affaccio al Canale di Mezzo.
Interessante è poi osservare come il processo progettuale ponga una certa attenzione anche alle molteplici popolazioni che useranno gli spazi pubblici, e quindi alle future domande sociali di uso dello spazio. In tal senso, tutti gli interventi analizzati promuovono una pluralità di usi e funzioni, al fine di garantire una certa “vitalità” di queste centralità nel tempo. Vigonza (23.035 ab. in Provincia di Padova) sostiene un restauro degli edifici (destinandoli a usi molteplici, tra cui botteghe artigiane, appartamenti e un teatro) e una riqualificazione degli spazi centrali (oggi pedonalizzati) del Borgo Rurale realizzato dall’architetto Quirino Di Giorgio negli anni ’30 del XX secolo. La grande area verde di connessione tra il Borgo Rurale e il centro città non è pensata per la sola fruizione di pedoni e biciclette, ma è altresì un importante giardino “resiliente” con funzioni di mantenimento dell’invarianza idraulica.
Come anticipato, i quattro casi selezionati da INU Veneto per le “passeggiate di rigenerazione” non hanno alcuna pretesa di generalizzazione. Essi, tuttavia, consentono di esplorare gli orientamenti (verso i temi della qualità urbana e della sostenibilità) che alcuni interventi in corso stanno cercando di promuovere.
Da una lettura trasversale di queste esperienze, in conclusione, emerge la volontà di superare una concezione degli insediamenti come semplice aggregato di edifici collegati da strade percorse da automobili, per guardare e organizzare le città a partire dalle centralità (gli spazi pubblici), dalle aree verdi e dagli assi della mobilità pedonale e ciclabile. In breve, facendo propri quei “principi” dell’urbanistica – da sempre alla base della costruzione della città pubblica – che il Veneto, forse più che altri contesti, ha spesso dimenticato a favore di una crescita edilizia veloce e incontrollata.
* Anastasia B. e Corò G. (1993). I distretti industriali in Veneto. Portogruaro: Ediciclo.
* Bagnasco A. (1977). Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano. Bologna: il Mulino.
* Bagnasco A. (1988). La costruzione sociale del mercato. Bologna: il Mulino.
* Becattini G. (1989). Sectors and/or districts: some remarks on the conceptual foundations of industrial cconomics. In: Goodman E. e Bamford J., a cura di, Small firms and industrial districts in Italy. London: Routledge: 123-135.
* Fregolent L., Indovina F., Savino M. (2005) (a cura di). L’esplosione della città. Bologna: Editrice Compositori.
* Fregolent L. e Vettoretto L. (2017d). Land use regulation and social regulation: an unexplored link. Some reflections on the origins and evolution of sprawl in the Veneto “città diffusa”. Land Use Policy, 69: 149-159.
* Indovina F., Matassoni F., Savino M., Sernini M., Torres M. e Vettoretto L. (1990). La città diffusa. Venezia: DAEST-IUAV.
* Marson A. (2001). Barba Zuchòn Town: una urbanista alle prese col Nordest. Milano: Franco Angeli.
* Marson A. (2015) (a cura di). Riprogettare i territori dell’urbanizzazione diffusa. Macerata: Quodlibet.
* Secchi B. (1996). Veneto e Friuli Venezia Giulia. In: Clementi A., Dematteis G., Palermo P.C., a cura di, Le forme del territorio italiano. Vol. II - Ambienti insediativi e contesti locali. Roma-Bari: Laterza.
* Turri E. (2000). La megalopoli padana. Venezia: Marsilio.