Urbanistica INFORMAZIONI

Intervista a Vincent Fouchier

Parigi, 2 maggio 2011

Vice direttore generale dell’Institut d’aménagement et d’urbanisme dell’Ile-de-France et delegato alla Schema direttore regionale dell’Ile-de-France (SDRIF).

Rispetto alla recente conclusione del dibattito pubblico sui due progetti di trasporto (Arc Express e Métro Grand Paris), come pensa che i due progetti siano stati percepiti dagli abitanti? In particolare ci sembra che ci sia stato uno scarto piuttosto evidente tra le visioni degli urbanisti e degli amministratori, molto lontane nel tempo, e quelle degli abitanti, interessati più al quotidiano.
Credo sia importante specificare che non c’è un unico progetto Grand Paris, ma due visioni che sono ancora in discussione, e che non hanno la stessa relazione rispetto a quello che le persone si aspettano. Nel caso della regione Ile-de-France, il progetto si poneva a cavallo tra una risposta abbastanza rapida ai bisogni degli abitanti, in particolare per quanto riguarda la riabilitazione della rete esistente, e la preparazione di un progetto a medio e lungo termine. Tra gli abitanti c’era un’attesa che non era soltanto relativa alla creazione di una nuova infrastruttura, infatti il messaggio più forte che è emerso in modo chiaro è stato «Attenzione, non è sufficiente avere nuove infrastrutture se la rete esistente non viene migliorata” . La grande differenza tra i due progetti in dibattito mi sembra sia proprio che nel progetto proposto dallo Stato ci fosse soltanto una nuova infrastruttura. Nel progetto della Regione, Arc Express era una parte strutturante di un insieme di strategie di trasporto che comprendeva sia l’ammodernamento delle infrastrutture esistenti che la realizzazione di nuove.
Una delle conclusioni che sono state tratte sia dallo Stato che dalla Regione è la necessità di fare un grande investimento su questi due aspetti: l’ammodernamento e il nuovo. Il progetto che è in corso d’ufficializzazione di 32,4 miliardi di euro comporta questi due interventi, che vanno sempre insieme. Prendiamo un esempio, la nuova infrastruttura così come è immaginata, circolare, alleggerirà i trasporti esistenti. Oggi per andare da una periferia a un’altra bisogna passare per Parigi, utilizzando la rete centrale senza averne veramente bisogno. Quindi i nuovi trasporti contribuiscono anche al miglioramento di quelli esistenti.
Se restiamo ancora un attimo sul punto di vista degli abitanti, una cosa che mi ha molto colpito è che leggendo la stampa locale o nazionale, da quattro o cinque anni, ogni due mesi si trova sulla prima pagina un nuovo progetto di trasporto per il territorio regionale. Una volta è quello della Regione, un’altra quello degli architetti [dell’Atelier international du Grand Paris], un’altra volta ancora quello dello Stato. Oggi non si sa quello che veramente conoscono gli abitanti dell’Ile-de-France a proposito del progetto di trasporto. Tra l’altro, ad ogni tappa, la somma totale del finanziamento aumenta. Oggi la Regione e lo Stato si sono messi d’accordo, arrivando a una fattura di 32,4 miliardi. Ma i giornali ad ogni passaggio, ad ogni comunicazione, riprendono il messaggio e lo diffondono, cosicché il cittadino non riesce a ritrovarsi veramente. Mi sembra che tutto questo faccia venire il capogiro. Perché? Una riflessione che si può fare è che si tratta di una questione di governance. Alla fine molti si posso proclamare, o autoproclamare, come responsabili dei trasporti e comunicarli ai cittadini, ma i progetti non hanno tutti lo stesso valore. Dipende se sono definitivi, o quasi, se sono esito di una concertazione, se proposti da istituzioni che ne sono incaricate o se si tratta soltanto di un bel gesto intellettuale o tecnico.
Gli architetti, dopo la Consultazione internazionale, durante il dibattito pubblico hanno proposto un nuovo progetto di trasporto. Ma dopo averlo presentato, hanno detto che bisognava occuparsi degli aspetti tecnici e finanziari. Mi sembra che dal punto di vista della pratica professionale sia qualcosa di criticabile. Non si può gettare in questo modo, nelle mani del pubblico e degli amministratori locali, qualcosa che non è tecnicamente completamente testato. Anche questo partecipa ad una confusione che si produce nei confronti dei cittadini che forse un giorno verrà pagata. Quando il cittadino deposita il suo voto nell’urna e paga le tasse, si chiede per chi lo sta facendo.

Lei pensa che si possa parlare di una vera e propria strategia da parte dello Stato?
Credo si tratti di un insieme di cose… non penso ci sia uno spirito brillante che abbia previsto tutto questo. Si tratta di un’accumulazioni di decisioni e alla fine non c’è più qualcuno che ne sia veramente responsabile. Il sistema attuale di governance è sufficientemente complesso perché più nessuno sia veramente responsabile dei trasporti.

Ritornando ai due progetti, l’immagine che è emersa in questi mesi nel corso del dibattito e sulla stampa, è una distinzione tra una visione più locale, proposta da Arc Express, e una più globale, proposta dalla Société du Grand Paris.
Se guardiamo concretamente di cosa parliamo, il progetto Arc Express è valido tanto rispetto alla competizione internazionale che rispetto alla coesione sociale. Si tratta di un progetto globale, ma non bisogna prenderlo come un progetto di infrastruttura. Arc Express era la chiave di volta dello Schema direttore della regione Ile-de-France. C’era la prospettiva di una città compatta, di riequilibrare i poli economici e sociali, di stabilire una coerenza tra attività economiche, residenza e trasporto. Il progetto di trasporto aveva tre obiettivi: servire dei territori che non lo sono ancora, connettere tra loro i trasporti esistenti e favorire la densità urbana.
Il progetto dello Stato è di natura totalmente differente: un progetto di trasporto che collega dei poli economici e degli aeroporti. Non credo si possa definire questo un progetto globale. Tra l’altro vorrei discutere dell’equazione tra la competitività internazionale e la rete di trasporti. Non è facendo un progetto di trasporto che mettiamo in moto un processo economico. La stampa ha veramente contribuito a questa semplificazione che vede nei trasporti un generatore di sviluppo economico. Ci sono i cluster, luoghi di cristallizzazione dello sviluppo economico, che dovrebbero costituire i poli in cui sviluppare l’occupazione, ma è difficile pensare che si possano realizare così come è scritto nel progetto di legge sul Grand Paris. L’ipotesi fatta nel dossier preparato per il dibattito pubblico è di un milione di posti di lavoro in quindici anni. Non è possibile. Anche dal punto di vista storico non c’è mai stata una tale crescita. Un milione di posti di lavoro sono molti, e sono molti anche perché non abbiamo neanche gli abitanti. Senza contare che ci vorrebbero anche le qualificazioni corrispondenti ai nuovi impieghi. Cosa vuol dire questo in termini di progetto globale? L’equazione tra un milione di posti di lavoro e la popolazione attiva, alla fine fa 13,3 milioni di abitanti in totale nell’Ile-de-France. È questo quello che si vuole? Attualmente, a livello nazionale, non c’è un trend di crescita demografica e occupazionale, quindi se accettiamo questa ipotesi per l’Ile-de-France, vuole dire che le altre regioni saranno svuotate. Vuol dire far partire l’immigrazione in senso opposto. Oggi le persone abbandonano l’Ile-de-France per andare altrove. Come fare per far ritornare queste persone? Si tratterebbe di una vera politica di pianificazione del territorio che prevede un milione di posti di lavoro alla scala regionale, quando si tratta della stessa cifra prevista a livello nazionale in quindici, venti anni. Il che significa crescita zero dell’occupazione nelle altre regioni... Dov’è la coerenza? Dov’è il progetto globale? Questo è fumo negli occhi per gli abitanti. Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto durante il dibattito pubblico per far valere il nostro punti di vista, ma non è stato semplice. Ma bisogna dirlo, perché effettivamente le persone credono che si tratti di un progetto globale. Oggi alla radio sentiamo che il ministro dell’Interno organizza dei charter per rimpatriare gli immigrati, ma è il contrario che bisogna fare se si vogliono raggiungere gli obiettivi che sono fissati dalla legge sul Grand Paris!
La Regione ha ricevuto la competenza della pianificazione del territorio a scala regionale. Non dovrebbe esserci un dibattito su chi è responsabile. Mi sembra che lo Stato vada troppo lontano nella pianificazione del territorio regionale. Non spetta a lui decidere dove passa un’infrastruttura di trasporto, può dare delle indicazioni generali, ma non può entrare nel merito delle cose a questo livello di dettaglio. Mi sembra che questo sia un periodo di passaggio, durante il quale non sono state ancora definite le diverse competenze, e quindi sono tutti bloccati. Lo Stato non può procedere autonomamente, non può credere di imporre il suo progetto e di farlo senza l’accordo delle collettività locali. D’altra parte, né la Regione, né i dipartimenti posso intervenire senza l’accordo dello Stato. Tutti sono in attesa, gli accordi prendono mesi, e intanto non succedono grandi cose.

Tra l’altro in questi mesi alcuni degli attori implicati hanno chiesto alla Regione di rivedere lo SDFRIF appena terminato, e mai approvato dallo Stato.
Certamente se ci sarà un nuovo progetto di trasporto saremo obbligati a una nuova revisione dello SDRIF, ma rispetto al suo tracciato non mi sembra ci siano molti cambiamenti. Quello che sarà difficile, e non è ancora chiaro, è come si potranno coniugare, al di là dello schema di trasporto, le due visioni differenti, ovvero l’equilibrio tra occupazione e popolazione. Bisogna far rientrare il milione di posti di lavoro nello Schema direttore o no? Io credo che nessun servizio dello Stato serio può imporre di far rientrare delle ipotesi così irrealistiche in uno schema direttore, benché tecnicamente si possa fare. Ho giusto un esempio da proporvi. La rete stradale prevista dallo SDRIF del 1994 è stata in parte cancellata dallo SDRIF del 2008. Si può fare la stessa cosa: inserire dei progetti di trasporto in ogni direzione, e poi faremo il punto tra vent’anni di quello che è stato veramente fatto. Ma la questione è capire se la pianificazione è fatta per guidare l’azione in un’ottica di coerenza, con delle ipotesi credibili, discusse e condivise tra tutti gli attori, o qualcosa di completamente diverso. Il punto mi sembra questo, quale posto dare alla pianificazione. Per il momento nelle ultime settimane la pianificazione è la risultante. Ci si mette d’accordo politicamente, e poi si domanda alla pianificazione di dimostrare che le decisioni hanno una coerenza.
La legge del Grand Paris è scritta in questo modo, soprattutto a proposito dei Contratti di sviluppo territoriali che sono sia dei contratti che dei documenti urbanistici che si impongono quelli locali e sullo SDRIF. E quindi ci saranno delle parti del territorio regionale che potenzialmente possono mettere in discussione lo schema d’insieme. Credo che nei prossimi mesi questo sistema sarà messo in discussione dagli stessi amministratori locali, quando si renderanno conto che non ci sono i finanziamenti previsti. Gli attori locali sono disposti anche a cambiare i documenti urbanistici se davvero ci sono dei finanziamenti. Ci sarà una disillusione se lo Stato non porta nulla per garantire e finanziare i progetti. Ma allo stesso tempo mi chiedo come potrà essere garantita una coerenza, considerando che i prefetti hanno la libertà di fare ciò che vogliono e che la Regione non è associata ai contratti territoriali stipulati. Ad esempio questo fatto che la legge non citi la Regione tra i partner dei contratti territoriali lo trovo particolarmente antidemocratico. La Regione ha una competenza e qui abbiamo l’impressione che la si voglia scavalcare.

Rispetto a questo che lei dice, un aspetto interessante su cui soffermarsi è come la legge sul Grand Paris interviene sulle leggi urbanistiche esistenti, modificandole. Un esempio può essere il Codice dell’Ambiente.
Sì, interviene per accorciare i tempi di concertazione, poiché questa è vista come un peso morto che pone problemi e rallenta; come un impedimento piuttosto che come una facilitazione del processo. Il bilancio che possiamo fare rispetto alla pianificazione è che questa può sicuramente prendere del tempo all’inizio, ma non solo aiuta in seguito ad accorciare determinati tempi, ma facilita il processo di costruzione. È un tempo che si allunga all’inizio ma non alla fine. Ma non solo, è anche che una volta fatta la concertazione il progetto è sicuramente diverso da quello concepito in origine ed ha un supporto collettivo che facilita enormemente la costruzione e l’appropriazione da parte degli abitanti.
Oggi abbiamo bisogno di garantire l’appropriazione da parte degli abitanti attraverso il dialogo e non attraverso l’imposizione. È la grande differenza tra il processo dello Schema Direttore rispetto a quello che ha fatto lo Stato. Noi oggi siamo forti del fatto che abbiamo discusso e negoziato tutto ciò che è stato fatto. Tutto questo supporto offre una legittimità al documento che va ben al di là del suo valore giuridico. Nonostante tutto quello che sta succedendo, oggi ciò che è stato prodotto rimane e resiste fortemente anche rispetto alla Consultazione Internazionale. Andate a vedere cosa c’è nello SDRIF, sinceramente non mi sembra che siamo stati presi in contropiede. Anche gli architetti della Consultazione ammettono che non c’è nessun conflitto sulle questioni di fondo.

Qual è il rapporto attuale della Regione con i nuovi attori che sono emersi negli ultimi anni, al di là della Société du Grand Paris, come ad esempio Paris Métropole o l’Atelier international du Grand Paris?
Paris Métropole, con l’APUR (Aterlier parisien d’urbanisme), sono nell’equipe che fa vivere tutto il processo, e anche noi ne siamo all’interno. L’Atelier international è in fase di formazione quindi per ora non c’è un legame ufficiale ma saremo nel Comité de programme in cui il direttore dell’Atelier, assieme all’APUR, stabiliranno il programma di lavoro dell’Atelier stesso. In termini di governance il potere sarà sicuramente molto condiviso. E poi ovviamente saremo a lavoro assieme all’equipe di architetti della Consultazione internazionale.
C’è un processo di lavoro che si sta costituendo, che non è facile, perché ognuno ha le sue sfere di conoscenza e di competenza e sicuramente gli obblighi e le limitazioni sono diverse tra noi e gli architetti. Fare uno Schema direttore non è la stessa cosa che fare un’esposizione per il grande pubblico senza limitazioni di tipo amministrativo, politico e finanziario. Anche loro hanno bisogno di cambiare i loro punti di vista se vogliono impegnarsi in un lavoro come quello dello Schema direttore. Non saranno i soli a decidere e dovranno avere un realismo che non hanno preso in considerazione finora. Io non critico affatto il loro lavoro, ma è vero che all’inizio hanno mosso molte critiche, salvo poi rendersi conto, quando sono entrati nel concreto, che è facile criticare la rappresentazione, la carta generale, i simboli di rappresentazione grafica… Ma quando bisogna fare un piano, rispettando il codice dell’urbanistica con tutti gli attori implicati, il campo di possibilità è molto più ridotto. C’è un passaggio alla realtà che per loro è difficile in questo senso. Del resto non sono neanche sicuro che sia necessario che loro ci arrivino, probabilmente fanno bene a restare nelle riflessioni più distanti perché aiuta enormemente avere la voce di persone che non sono nel nostro stesso ruolo di tensione tra ciò che sappiamo e quello che gli amministratori locali possono fare. Abbiamo bisogno anche di questo tipo di libertà di pensiero.

Cosa pensa di questi nuovi tipo di collaborazioni all’interno di questo processo? Le sembra possibile che questo possa creare una specie di modello di rinnovamento degli strumenti urbanistici?
La mia opinione in questo caso è estremamente personale. Io sono perplesso su tutto ciò che sta avvenendo da diversi mesi nell’Ile-de-France in termini di governance. In tutte queste creazioni, la Société du Grand Parsi, l’Atelier international, Paris Métrople, l’Institut des métropoles durables [1], eccetera, si ritrovano sempre più o meno gli stessi attori che sono poi nei comitati di pilotaggio. Ad esempio, le persone che fanno parte a livello istituzionale di Paris Métrolope si ritrovano anche nell’Atelier international e una parte di loro fa parte anche della Société du Grand Paris. Anche se non sono mai esattamente le stesse. Tuttavia mi sembra che più di una questione di conflitto d’interessi sia un problema di illegibilità del sistema.
Quello che sogno è una legge fondatrice di una nuova governance in Ile-de-France, ma sono molto minoritario. Io sono convinto che ce ne sia bisogno anche alla luce dell’iter intellettuale che mi sono costruito su questa questione. Quando lavoravo alla Delegazione interministeriale per la pianificazione del territorio e l’azione regionale (DATAR), mi occupavo della questione metropolitana, un soggetto che all’epoca era completamente sconosciuto. Mi era stato affidato il compito di riflettere su una politica di governo per le metropoli dandomi carta bianca ma con due sole eccezioni: non avevo il diritto di scrivere leggi e non potevo intervenire sull’Ile-de-France. Quello che abbiamo fatto con un po’ di soldi e molto lavoro è stato spingere le collettività a raggrupparsi alla scala metropolitana, ben più larga di quella delle intercomunalità [2], sotto forma di associazioni o forum, per sviluppare un tipo di governance, elastica, senza passare per una legislazione. Ed ero molto entusiasta, vi credevo fortemente. Ma il bilancio dopo sei, sette anni è stato che sicuramente si tratta di operazioni valide in una fase intermedia, per dare una sensibilizzazione sull’importanza di governare alla scala metropolitana, ma di certo non servono a trasformare realmente la governance. Per trasformare la governance c’è bisogno di una legge, di un’istituzione. Senza di questo, ogni attore finisce per agire come faceva precedentemente. Può darsi che abbiamo capito qual è la posta in gioco ma non abbiamo cambiato le pratiche e nessuno è incaricato di prendere le decisioni, di arbitrare. Una strategia metropolitana non è la somma delle volontà dei singoli, non è il consenso debole. È un soggetto che abbia il potere di concepire una visione della metropoli e ne debba rendere conto davanti agli elettori. Eletto per il suo programma, finanziato attraverso le tasse e con delle competenze specifiche. Ecco di cosa abbiamo bisogno, nell’Ile-de-France, come altrove.
E quindi non mi entusiasmo affatto per la fase in cui ci troviamo ora nell’Ile-de-France, poiché è una fase di proliferazione. Sicuramente da prendere come un segno positivo, ma io voglio sperare che non sia una tappa unica, quanto piuttosto una fase di transizione verso qualcosa di molto più istituzionale. Ma perché ci sia qualcosa d’istituzionale ci vuole una legge, e per fare la legge bisogna che lo Stato prenda una decisione. Di certo può essere qualcosa di concertato con le collettività locali ma non saranno mai Paris Métropole o l’Atelier international che faranno governance al posto degli altri. Bisogna passare per una fase molto più difficile, come quella della concezione della legge Paris-Lyon-Marseille [3] che circa vent’anni fa ha ripensato il sistema degli arrondissement di Parigi intra-muros. Bisogna fare un esercizio di quello stesso tipo ma alla scala della regione Ile-de-France per creare un nuovo modello.
Non penso per forza ad una sola istituzione di tipo centralizzato, quello che penso è che semplicemente ci sia bisogno di un’istituzione che si occupi della questione strategica, che sia pronta ad occuparsi di qualsiasi tipo di tematica nel momento in cui ci sia una necessità di carattere strategico. Non sarà un’istituzione che dovrà lavorare ad una scala di dettaglio, ne potrebbero far parte diversi tipi di agenzie, ma l’importante sarebbe che ci siano alla base delle istanze di tipo metropolitano. Per me la scala di intervento non si allontana troppo da quella della regione attuale. Credo che da questo punto di vista l’Ile-de-France abbia già una buona scala rispetto ad altre metropoli in Francia. Abbiamo questa fortuna in Ile-de-France di avere un territorio che abbraccia contemporaneamente dei soggetti estremamente urbani e gli spazi naturali ad essi interconnessi. Questo è un valore che non bisogna perdere. Quando guardiamo le proposte di alleanze di comuni di vario tipo, che prendono solo il cuore dell’agglomerazione, penso che questo costituisca un errore fondamentale perché la sfida di domani è di trattare l’interfaccia tra tessuto urbano e tessuto rurale. L’alimentazione urbana, gli spazi agricoli e naturali sono dei soggetti molto metropolitani quindi bisogna sfruttare di avere un’istituzione che gestisca le due dimensioni allo stesso tempo.
Se pensiamo anche alla legge Grand Paris, da questo punto di vista è stata estremamente distruttiva. Spero che un giorno qualcuno ne proponga una revisione. Avremmo sicuramente potuto pensare ad un diverso posizionamento dello Stato. Si sarebbe potuto prendere atto del progetto della Regione e decidere un processo di accompagnamento attraverso dei finanziamenti e la messa a disposizione di nuovi strumenti. Se nella legge Grand Paris si sostituisse la parola “Stato” con la parola “Regione” e si dessero alla Regione i mezzi per gestirla, improvvisamente la situazione cambierebbe completamente ed il progetto Arc Express diventerebbe la chiave di volta, sicuramente con degli aggiustamenti, anche per gli interessi dello Stato. E a guardare bene i poli di sviluppo economico previsti dallo SDRIF sono globalmente in accordo con quanto previsto dallo Stato. È piuttosto sui volumi che c’è disaccordo.
In questo senso avremmo potuto avere tutt’altro atteggiamento da parte dello Stato che, come in altre situazioni, accelera, semplifica. Per quanto riguarda l’Ile-de-France invece vuole decidere al posto di altri. Christian Lefevre, un ricercatore che ha recentemente fatto un rapporto sulla governance nell’Ile-de-France, dice a questo proposito che siamo in un periodo post-coloniale [4]. È un’espressione terribile. Di certo lo Stato prima o poi cederà una parte dei suoi poteri. Già in parte l’ha fatto, salvo poi riprenderli. Ma qual è il senso di avere una regione incaricata della gestione del territorio quando tutte le decisioni possono essere prese dallo Stato? Mi sembrava che fossimo in una Repubblica decentralizzata e che avessimo addirittura modificato la Costituzione da qualche mese per metterlo nero su bianco. E giusto pochi mesi dopo questa modifica alla base democratica dello Stato, arriva la legge sul Grand Paris a ricentralizzare i poteri.
Certo si tratta di polemiche in corso, e quindi non posso che darvi un’opinione personale. Quello che è certo è che si tratta di un vero dibattito su questioni di fondo che va ben al di là dei colori politici. Io concepisco il mio lavoro anche nel senso di poter portare delle opinioni basate sull’esperienza professionale anche passata. Come vi dicevo rispetto alla mia esperienza sulle cooperazioni metropolitane alla DATAR, senza quadro istituzionale non si trasforma radicalmente la governance. Cos’è cambiato in Francia negli ultimi dieci anni in termini di governance? Le intercommunalités, che hanno funzionato perché c’era una legge e un ingente investimento. E le collettività, quando si impegnano in un’intercommunalité, sanno che avranno un finanziamento per la gestione doppio rispetto a prima, ed è per questo che lo fanno. Lo fanno anche perché sanno che globalmente dà una maggiore coerenza alle loro decisioni. Non vedo perché questo sistema di legge e di finanziamento non dovrebbe funzionare anche per le grandi città. Immaginiamo che lo Stato, invece di mettere dieci miliardi per i trasporti, investa questi soldi per la creazione di una governance metropolitana. Credo che questo potrebbe essere molto più interessante. Ma non si tratta sicuramente di fare prima il progetto e poi la governance, viene prima la governance e poi il progetto.
C’era una questione di scale d’intervento dei due progetti che avete evocato all’inizio. Vorrei ritornare su questo punto. Quando parliamo della metropoli parliamo di una scala più o meno ridotta, ma mi piacerebbe abbordare la questione del bacino parigino [5] che ho particolarmente a cuore. Per me quella è una delle scale alle quali bisogna ragionare. Una coordinazione degli attori al livello del bacino mi sembra sicuramente fondamentale. La metropoli parigina deborda i limiti amministrativi e pur essendo gestita al 99% all’interno della Regione, rimane il fatto che ci sono degli impatti sulle regioni confinanti che vanno al di là di questi limiti e vice versa. Bisogna arrivare a coordinarsi tra regioni limitrofe e questo fa parte delle scale fondamentali sulle quali bisogna lavorare. La Regione a questo proposito due anni fa ha costituto un quadro strategico che coinvolge altre regioni del bacino parigino. Per la prima volta si è lavorato assieme su un territorio di venticinque milioni di abitanti, pari alla metà di tutti gli abitanti del nord della Francia. È un’idea che abbiamo lanciato, di certo non ha l’ambizione di essere un mega SDRIF, ma dà un’idea di cosa succede alla scala interregionale. Sono state proposte delle orientazioni, quindi non è un documento di urbanistica, ma di certo dà un senso alla trasformazione del territorio e dimostra che l’Ile-de-France non può ragionare su se stessa indipendentemente dai suoi vicini. E le scale di governance devono anche riguardare questo tipo di scala. Per un numero di «Cahiers” abbiamo, a seguito dello studio, ripreso la questione usando il termine di «mega regione” [6]. In questo senso il bacino parigino non è che una delle scale della mega regione, questa dovrebbe infatti andare al di là delle scale di prossimità. Abbiamo tante relazioni funzionali con la vicina Normandia, ma anche con Lione o Lille che non sono nel bacino. Bisogna quindi riuscire a decostruire i limiti amministrativi, per quanto sia molto complicato.

Come si vede anche dei due video di presentazione dei progetti presentati durante il débat public, la relazione con territori a scale differenti, anche non legati da un rapporto di contiguità geografica, è un aspetto centrale. Tuttavia, rispetto al video presentato dalla Société du Grand Paris che parla di un’apertura verso il mondo (Tokyo, New York e Londra), ci sembra che siano molto meno note le esperienze e le sperimentazioni fatte dalla Regione in questi anni.
La Regione non è in grado di competere con la potenza imbattibile dello Stato in materia di comunicazione. C’è tutta la comunicazione anche invisibile e la gerarchia amministrativa delle differenti sfere dello Stato, anche diplomatiche, nei rapporti tra ambasciate, che costituiscono una potenza di fuoco enorme. Noi non ne siamo in grado ed è per questo anche che avremmo bisogno che la posizione dello Stato fosse diversa in questa situazione, che ci sia un accompagnamento del progetto delle collettività per dare un colpo di accelerazione. Di certo non saremmo ancora così fermi oggi se da cinque anni lo Stato avesse assunto questa posizione. Staremmo già facendo le perforazioni per i tunnel della metropolitana. Ho molti rimpianti per questi ultimi cinque anni che avremmo potuto guadagnare e che invece sono stati sprecati a causa di lotte intestine tra istituzioni e uomini politici e per delle ragioni politiche che, per quanto comprensibili, lasciano l’interrogativo su ciò che alla fine viene prodotto.

[1Si tratta di una nuova istituzione promossa dal Comune di Parigi e della Regione, in corso di formazione, pensata come un luogo di discussione internazionale attorno ai temi dello sviluppo metropolitano.

[2In Francia le intercommunalités sono raggruppamenti di comuni e municipalità in una struttura legale (istituzione pubblica o società privata) che ha come fine la cooperazione su uno più domini comuni come l’acqua, i rifiuti, i trasporti o le strutture pubbliche, lo sviluppo economico e le questioni urbanistiche.

[3La legge n. 82-1169 del 31 dicembre 1982 relativa all’organizzazione amministrativa di Parigi, Lione e Marsiglia e degli établissements publics de coopération intercommunale s’inserisce in una più ampia politica di decentramento, prevedendo l’elezione diretta dei rappresentanti locali delle tre maggiori città francesi.

[4Christian Lefevre, Le système de gouvernance de l’Ile-de-France: entre décentralisation et globalisation, Paris, 2009 - http://ddata.over-blog.com/xxxyyy/0/54/07/70/PM4/RAPPORT-FINAL-LA-GOUVERNANCE-DE-L.pdf

[5Le Bassin parisien è la più grande regione naturale della Francia e comprende cinque regioni amministrative, oltre all’Ile-de-France, e due dipartimenti. Nel 2009, la Regione Ile-de-France ha promosso lo studio Perspectives Bassin parisien. 7 engagements des Régions pour un Bassin parisien attractif, durable et solidaire (http://www.iau-idf.fr/fileadmin/Etudes/etude_622/perspectives_BP-10-11.pdf).

[6Rivista dell’Institut d’aménagement et d’urbanisme, n. 153, febbraio 2010: Le Bassin parisien, une méga-région?

Data di pubblicazione: 7 novembre 2011