Rispettivamente a capo della Direzione dell’urbanistica e responsabile della comunicazione della Société du Grand Paris
Partiamo dalla recente conclusione del dibattito pubblico sui due progetti di trasporto (Arc Express e Métro Grand Paris), quali sono state le vostre impressioni rispetto a questo grande momento di partecipazione e di dibattito? Come pensate che i progetti siano stati percepiti dagli abitanti?
C.B. - Ogni volta che ho partecipato a dei dibattiti pubblici, ho potuto constatare che i bisogni degli abitanti sono immediati e che essi hanno difficoltà a capire, e perfino ad immaginare, che un progetto possa durare così a lungo. È normale, ed è importante che l’intervento pubblico non si riduca semplicemente ai bisogni a breve termine degli abitanti. Altrimenti non ci sarebbe la politica, non ci sarebbe strategia. Fare dei grandi interventi vuol dire confrontarsi a un futuro lontano e cercare di fare capire che questo futuro è necessario; che non è solo la manutenzione delle infrastrutture esistenti che è necessaria, ma che bisogna anche proiettarsi in un futuro lontano se si vuole accompagnare la metropoli in uno sviluppo territoriale e ambientale di qualità. È difficile ma credo sia il ruolo del potere pubblico.
Quindi il dibattito ha anche un ruolo didattico rispetto agli abitanti?
C.B. - Sì, è questo l’interesse, di riuscire a fare della pedagogia. Non sono sicura che il dibattito pubblico sia sufficiente. È un lavoro a lungo termine che bisogna declinare sul campo, ed è quello che faremo nei prossimi due anni, ancora prima delle procedure di enquête publique, che nel XX secolo erano le uniche procedure d’informazione degli abitanti e che oggi sono considerate dalla società civile come insufficienti. In tutto questo tempo bisogna trovare il modo di continuare questo dialogo e approfondirlo, di fare questo lavoro pedagogico; di aiutare a capire che bisogna aspettare.
O.C. - Il dibattito non si ferma con la chiusura del débat public. Il dialogo continua sul territorio con gli amministratori e gli attori socio-economici. Abbiamo attivato dei comitati di pilotaggio per i progetti delle stazioni con i politici, ma è un’esperienza che continueremo con gli abitanti.
C.B. - Questo sarà anche un modo di chiedere agli abitanti, tramite l’intermediazione degli amministratori locali, cosa attendono dalle nuove stazioni, tanto in termini di mobilità che di prestazioni. Spero che riusciremo a sviluppare questo dialogo nei prossimi anni perché arricchirà il progetto e ci permetterà di fare delle stazioni migliori.
Come si farà questo dialogo a livello operazionale?
C.B. - Improvviseremo. Partiremo comunque dai comitati di pilotaggio per le stazioni in ogni comune interessato. Dipenderà anche dai territori, dai politici locali e dai loro metodi di dialogo con la popolazione, dai livelli di benessere socio-economico e dalla disponibilità degli abitanti. Non ci sarà un modello unico. Anche le varie stazioni sono differenti, alcune sono semplici stazioni di metro altre sono stazioni multimodali.
Questo vorrà dire operare su una scala locale che fino ad oggi è stata poco considerata rispetto ad una visione metropolitana e globale?
C.B. - Non sono d’accordo. Molti dibattiti pubblici si sono svolti ad una scala locale. Gli abitanti sono venuti ad ascoltare i progetti delle loro stazioni; ad ascoltare i sindaci, esprimendo i loro timori e le loro preoccupazioni.
O.C. - In generale queste riunioni hanno ben funzionato quando c’è stato un forte coinvolgimento innanzitutto dei sindaci e degli amministratori. Se gli amministratori sono coinvolti, gli abitanti partecipano di conseguenza.
C.B. - In realtà il più delle volte i partecipanti sono implicati in associazioni e nell’amministrazione, raramente sono dei semplici cittadini. Ma benché non siano per forza rappresentativi di tutti gli abitanti, sono una parte importante delle popolazione.
Per riprendere un’espressione usata da Jean-Claude Prager (Direttore degli studi economici della Société du Grand Paris) in uno degli ultimi dibattiti, il Métro Grand Paris è «un’infrastruttura fuori norma” che si distingue dagli altri progetti di mobilità proposti. In che modo il protocollo firmato tra Stato e Regione ha coniugato i due progetti?
C.B. - Non so se abbiamo veramente coniugato i due progetti, si potrebbe piuttosto dire che abbiamo completato il progetto Arc Express che aveva il grande difetto di servire soltanto dei territori già densamente abitati. Il che è sicuramente più apprezzato dagli abitanti ma non permette di sviluppare un approccio più strategico di competitività metropolitana. Il progetto Arc Express infatti non serviva gli aeroporti e in più non permetteva di aprire la prospettiva di nuove urbanizzazioni e di nuove densificazioni. Il progetto di sintesi, adottando il tracciato est, mantiene una caratteristica importante del Grand Paris: far uscire dall’isolamento i territori più poveri dell’agglomerazione, che allo stesso tempo sono portatori di nuove potenzialità. Arc Express è stato quindi completato dal Grand Paris. Inoltre bisogna dire che il progetto Arc Express non serviva Parigi, fatto abbastanza sorprendente. Come se questo antagonismo storico tra la città intra-muros e l’istituzione regionale si fosse concretizzata incoscientemente nel progetto di trasporto.
Quali sono state le ragioni che hanno portato, dalla Consultazione internazionale, alla costituzione della Société du Grand Paris?
C.B. - Io l’ho vissuto da un punto di vista esterno. C’è stata sicuramente una volontà del Presidente della Repubblica (una cosa che in generale aiuta molto in Francia), anche se la Consultazione internazionale è stata affidata al Ministero della cultura e poi, qualche mese dopo, il Presidente ha proposto di istituire un Segretariato di Stato dedicato allo sviluppo della regione capitale, che di fatto ha elaborato delle riflessioni un po’ in parallelo rispetto a quelle della Consultazione. Ma rimane il fatto che, al di là dei meccanismi politici a volte complessi, quello che mi ha colpito è che tutti gli studi proposti dai progettisti della Consultazione hanno identificato i trasporti come un elemento centrale dello sviluppo futuro, facendo invece poche proposte per quello che riguarda la questione abitativa, un altro tema sicuramente importante. D’altra parte mi sembra che la competitività delle metropoli e il loro sviluppo abbiano come dominante in tutto il mondo la questione della mobilità.
E quale relazione avete voi oggi con l’Atelier international du Grand Paris (AIGP)?
C.B. - Mi sembra sia un po’ come le grandi maree, ci sono dei momenti in cui la marea monta, perché hanno delle idee, e poi i membri del consiglio scientifico, che hanno comunque molte altre cose di cui occuparsi, sono meno disponibili e quindi non se ne sente più parlare. Mi sembra divertente notare che ci sono molte istituzioni nuove create un po’ nel disordine. Non sembra molto comprensibile dall’esterno, ma allo stesso tempo mi sembra che incontestabilmente questo faccia avanzare il dibattito. Ad esempio, sulla questione dei trasporti, l’AIGP ha organizzato una conferenza stampa molto partecipata, in cui ha presentato un progetto alternativo [ai progetti Arc Express e Métro Grand Paris]. Questo ci spinge ancora a riflettere su delle possibili soluzioni architettoniche, come quella di realizzare in alcune parti del tracciato una metropolitana aerea. Concretamente è difficile da realizzare, ma quando si può fare, perché no? Il dibattito pubblico è stato molto fertilizzato da tutti questi interventi quindi cercheremo di continuare su questa linea. Si nutre il dibattito, i media ne parlano, e così anche le persone che non hanno il tempo di seguirlo ne leggono comunque attraverso i giornali distribuiti gratuitamente e quando si parla di Grand Paris e di metropoli, questo fa muovere le idee, che è quello di cui abbiamo principalmente bisogno.
O.C. - La Consultazione ha aperto un gran dibattito pubblico e mediatico. Sicuramente con un certo disordine ma l’importante è che se ne parli, che si faccia avanzare la discussione. Se si domanda a un qualsiasi abitante dell’Ile-de-France del Grand Paris, può darsi che non sappia di preciso di cosa si parli, soprattutto rispetto agli attori coinvolti, per alcuni si parla di trasporti, per altri di edilizia, ma tutti ne hanno sentito parlare. L’essenziale è continuare ad occupare questo spazio mediatico.
C.B. - E questo serve più agli amministratori. D’altra parte resta il fatto che gli abitanti sono più metropolitani dei loro stessi amministratori, loro si sentono parigini o gran parigini e le loro rivendicazioni sono delle rivendicazioni di mobilità a scala metropolitana, mentre gli amministratori sono ancora molto attaccati a delle rivendicazioni molto locali.
Il processo aperto dalla Consultazione internazionale e l’istituzione della Société du Grand Paris in che modo dialogano con le procedure e gli strumenti urbanistici esistenti?
C.B. – È sorprendente. Abbiamo avuto una riunione di lavoro con l’ufficio tecnico di un’amministrazione locale in cui io chiedevo se il regolamento edilizio permettesse la realizzazione del progetto della stazione prevista, e mi hanno risposto che il regolamento sarebbe stato adattato di conseguenza. C’è una tale voglia di accogliere il Grand Paris, di beneficiarne in termini d’immagine, di offerta di lavoro e di accelerazione nella creazione di nuovi progetti, che per loro è evidente che il PLU [Piano locale di urbanistica] poteva essere modificato senza problemi. Mentre nei giornali e tra gli specialisti si discute delle rigidità dei piani locali, che non permettono di costruire né di densificare abbastanza e che gli amministratori non si prendono il rischio di modificare, nella realtà invece, quando c’è un catalizzatore come un progetto di grande scala, gli amministratori sono assolutamente pronti a muoversi di conseguenza. Quindi penso che i regolamenti urbanistici si possano adattare, tanto più a seguito della legge del 3 giugno [relativa al Grand Paris] che ha creato un particolare oggetto giuridico: il Contratto di sviluppo territoriale, che si sta costruendo in questo periodo e che produrrà degli impegni comuni, dei nuovi accordi tra gli attori e attirerà dei nuovi finanziamenti. Quindi il progetto smuove il regolamento. Vedremo, ma per il momento mi sembra che questo funzioni.
Queste procedure costituiscono un nuovo modello per la pianificazione a scala metropolitana?
C.B. - Quello che so per esperienza, ed è anche quello che ha guidato gli autori della legge sul Grand Paris, è che il progetto crea molta più dinamismo della discussione sulla governance. Un progetto mobilita le energie, l’abbiamo visto durante l’Expo Universale di Shangai che ha trasformato la città in una vetrina; per i giochi olimpici a Pechino fatti qualche anno prima; e a Londra che ha ottenuto la candidatura ai giochi olimpici dell’anno prossimo e il sito è già quasi costruito. È incredibile questo rinnovamento urbano così rapido. A Parigi, il solo fatto di aver presentato la candidatura ai giochi olimpici ha accelerato lo sviluppo urbano. Un progetto fa sognare, mobilita gli attori politici e in maniera piuttosto positiva gli abitanti, ma anche gli investitori. È divertente vedere come ogni attività commerciale oggi abbia istituito il suo delegato speciale Grand Paris. Le grandi imprese dell’ambiente, i grandi costruttori, i promotori di housing sociale, hanno tutti messo nel loro organigramma un responsabile Grand Paris, quello che tre anni fa si chiamava il delegato allo sviluppo sostenibile. Questo significa che tutti hanno voglia di partecipare a questa dinamica. Non sono sicura che sia un modello, ma sono sicura che sia sempre così quando c’è un grande progetto, un expo universale o dei giochi olimpici.
Ma non pensa che in questo modo manchi una visione più generale, capace di coordinare lo sviluppo del territorio?
C.B. - Bisogna che gli attori responsabili della scala metropolitana rientrino in questo sistema. Lo Stato nel 1995 ha trasferito la competenza dello Schema direttore alla regione Ile-de-France (SDRIF), ora bisognerebbe che la Regione entri in questo circuito e che modifichi lo SDRIF per integrare non soltanto il progetto di trasporti Grand Paris (ed è per questo che il Consiglio di Stato non ha ancora approvato lo SDRIF), ma anche tutti i progetti che questo genera. Perché nello SDRIF approvato dalla Regione nel 2008 non sono previste molte delle cose che nella realtà stanno già avvenendo. Credo sia più interessante trovare una coerenza ex-post piuttosto che ex-ante. Per esempio, molto concretamente, io credo che il Grand Paris sarà un grande strumento di rinnovamento su molte aree dimesse. Semplicemente, se non c’è qualcuno, un prefetto o la Regione che da coerenza a questo sviluppo, ci troveremo tra una decina d’anni ad avere centinaia di milioni di metri cubi di uffici che verranno gettati sul mercato, tutti allo stesso tempo, e che senza una strategia non potranno avere valore. Spero che ci metteremo tutti a lavorare in questo senso, magari quando le cose si saranno calmate. Sennò finirà per essere controproducente.
Questo ruolo di coordinamento potrà essere ancora svolto da un’unica istituzione o piuttosto di una collettività di attori territoriali?
C.B. - Credo che tutti dobbiamo contribuire, e anche la Société du Grand Paris può contribuire a questa messa in coerenza. E’, d’altra parte, quello che si è conciato a produrre con la firma del protocollo tra lo Stato e la Regione.
In questo contesto, qual è il ruolo di Paris Métropole?
C.B. - Paris Métropole è un’iniziativa lanciata dal Sindaco di Parigi nel 2001 ed è vero che dopo dieci anni c’è un percorso allo stesso tempo molto piccolo e molto consistente. È stata un’iniziativa che ha messo in movimento la realtà delle collettività locali. Credo che lo Stato ne abbia preso atto, e abbia compreso che doveva anch’esso intervenire. Si tratta di un intervento differente ma credo che sia comunque positivo il fatto che lo Stato abbia deciso di rinvestirsi nella regione capitale, comprendendo che era la locomotiva dell’economia nazionale. Ma Paris Métropole è un’iniziativa differente, piuttosto dal basso, ma credo che servano entrambi le iniziative. Il percorso della gouvernace metropolitana è molto, molto lungo e quindi Paris Métropole, anche se apparentemente non sembra fare molto, in realtà credo giochi un ruolo centrale e lo si vedrà apparire all’improvviso, com’è stato per le rivoluzioni del mondo arabo.
La cosa interessante è che nel 2001 anche la Regione non apprezzava l’iniziativa di Paris Métropole, perché si trattava di un’altra organizzazione del territorio metropolitano che avrebbe potuto limitare le competenze regionali. In realtà la Regione ha delle competenze molto limitate, anche se è responsabile dello SDRIF e presiede lo STIF [Sindacato di trasporti dell’Ile-de-France]. Molti sono gli attori che hanno un ruolo importante, tra cui lo Stato che controlla settori importanti dell’organizzazione metropolitana, come la sanità, l’istruzione, le autostrade – cose che sono molto strutturanti a livello metropolitano – e ora il progetto di trasporto. La Regione non ha competenze sullo sviluppo delle strade, né vere competenze urbanistiche, ha lo SDRIF ma non il PLU.
Riprendendo ciò che diceva all’inizio, ovvero che, rispetto all’esperienza di un abitante, lei è abituata a confrontarsi ad un futuro più lontano, come lei immagina il Grand Paris nel 2030?
C.B. - Credo che ci saranno talmente tanti trasporti pubblici che non ci saranno più automobili nella prima periferia! No, a parte gli scherzi, spero che ci saranno molti più abitanti nella prima corona e che la crescita demografica, che penso continuerà, si concentrerà lì. Rispetto a degli scenari catastrofici, come l’esplosione dei prezzi del carburante, ci saranno delle persone che non potranno più permettersi economicamente di vivere in zone peri-urbane, o saranno troppo anziane per condurre un’automobile. Sono molti gli aspetti che potrebbero migliorare aumentando la densificazione della prima periferia e i trasporti collettivi.