Questi interrogativi sono stati posti a Rita Justesen, Direttrice del settore di Pianificazione di BY&Havn (Port and City Development Corporation) nei primi mesi del 2011.
Si considera comunemente l’Atto del 1992 come l’inizio della storia di Ørestad. L’uso di quest’area ha tuttavia una storia centenaria, e i piani di costruzione dei distretti residenziali risalgono agli anni ’60. Secondo lei, quali sono gli aspetti chiave che hanno impedito a questi piani di realizzarsi negli anni ‘60, e che al contrario hanno consentito ai progetti degli anni ’90 di attuarsi?
Negli anni ’60 Copenhagen si caratterizzava da una molteplicità di progetti molto ambiziosi, in conseguenza di un rapido incremento della popolazione. i decision-makers dovettero pertanto fare i conti con un complessivo incremento delle opportunità a riguardo, e i politici arrivarono alla decisione che lo sviluppo sarebbe stato concentrato in Køge Bay, nel sud di Copenhagen. Questa è la ragione per la quale la riqualificazione di Copenhagen negli anni ‘60 e ‘70 consistette prevalentemente nel rinnovo e nel restauro di grandi edifici residenziali localizzati nei distretti urbani più vecchi. Questa è anche una delle ragioni che spiegano perche Copenhagen è una città con molti edifici storici così ben conservati.
All’inizio degli anni ’90 i politici realizzarono però che Copenhagen mancava del dinamismo e attrattività necessari affinché la città potesse funzionare come una forza trainante al fine di competere con altre città metropolitane europee.
Di conseguenza, venne deciso di estendere l’aeroporto; di costituire un “fixed link” con la Svezia per far crescere la regione; e di sviluppare un nuovo distretto urbano, Ørestad, vicino all’aeroporto. Inoltre, venne introdotto un nuovo sistema di metro, considerato come il modello del trasporto pubblico del futuro.
La strategia ebbe grande successo, dato che investitori privati risultarono fin da subito molto interessati.
I nuovi quartieri d’Europa, incluso Ørestad, sono spesso considerati come progetti in itinere, ancora alla ricerca del raggiungimento di una piena maturità. Riconosciuti come ambientalmente sostenibili e architettonicamente artistici, in termini di vita sociale sono tuttavia problematici. Secondo lei, cosa risiede al cuore del dibattito sulla “vita sociale”, e quali sono le soluzioni possibili?
Ci sono almeno due dimensioni da considerare a proposito.
La vita sociale può essere intesa in termini di città per tutti, dove la diversità è la parola chiave e dove esiste un mix di famiglie, persone singole, giovani ed anziani, ma anche di dimensioni, tipologie e prezzi degli appartamenti, forme di proprietà, spazi di lavoro e di abitazione.
In qualche misura è possibile assicurare una buona vita sociale attraverso il modo con cui si organizzano i nuovi distretti urbani. La vita urbana – in termini di buone condizioni per pedoni, buoni posti nei quali trascorrere il tempo e offerta di attività ed eventi – è anche in questo senso di enorme importanza.
Ma passare dal nulla a qualcosa richiede uno sforzo, se non hai il tempo o la pazienza di aspettare “un centinaio d’anni” affinché la vita urbana cresca e il quartiere si stabilizzi: si tratta di inserire strati urbani.
In Ørestad stiamo lavorando per creare una “infrastruttura mentale” utilizzando edifici e luoghi per eventi e progetti temporanei di vita urbana. Uno dei più ambiziosi e popolari progetti è costituito da un parco di sport urbano chiamato PLUGNPLAY in un sito costruito appositamente. Qui puoi fare parkour (una “corsa libera”), pattinaggio di velocità, dirt jumping, beach volley, calcio, pallacanestro, street basket. È incredibilmente popolare ed utilizzato dalle associazioni sportive e scuole da tutta la città ed ovviamente dai giovani del quartiere.
A proposito dei parchi e della aree verdi, la questione è decidere se – come promotore – devi stabilire tutto tu oppure se devi aspettare affinché i residenti si muovano e prendano la responsabilità per queste aree comuni ricreative.
L’esibizione “Q&A: Urban Questions_Copenhagen Answers” presso la Biennale di Venezia – Mostra Internazionale di Architettura, ha presentato i progetti di sviluppo di Copenhagen fino all’anno 2047. Secondo lei, quali sono le sfide future per lo sviluppo di Ørestad? Sono queste condivise con altri progetti europei di nuovi quartieri?
Mi aspetto che i progetti di sviluppo urbano in generale incontreranno le stesse difficoltà, dovute all’incremento di persone che vivranno in città, alla necessità di attivarsi contro la segregazione, di ridurre l’energia, il cambiamento climatico e di dar risposta ad una domanda di distretti urbani con caratteristiche distinguibili, di diversità e qualità urbana.
Per quanto riguarda Ørestad, alcune delle sfide riguarderanno il mantenimento delle qualità complessive del progetto originario e il supporto di una distintiva identità urbana; allo stesso tempo, dovrà esserci una certa adattabilità alle nuove e per certi versi imprevedibili tendenze dello sviluppo urbano.
Infine, è molto importante “mantenere le cose in movimento” fin d’ora, e quindi avviare nuove iniziative al fine di rendere il distretto cittadino vibrante e mantenere l’interesse per il luogo, ad esempio avviando nuove competizioni relative ad uno degli spazi urbani di Ørestad, come abbiamo fatto la settimana scorsa.