K.T. Ravindran, professore e direttore del dipartimento di Urban Design alla School of Planning and Architecture di New Delhi, è stato fondatore e presidente dell’Institute of Urban Designers, vice-presidente della commissione istituita dal governo indiano per controllare l’impatto ambientale dei progetti architettonici di grandi dimensioni, nonché ex-presidente del Duac (Delhi Urban Art Commission), il corpo istituzionale incaricato di prendersi cura dell’equilibrio urbano tra estetica, rispetto dell’ambiente, conservazione e nuovi sviluppi architettonici.
Il governo di Delhi dopo il periodo della partizione, ha stilato un primo Master Plan, seguito da due nuove stesure. Quali sono le differenze tra i tre piani?
Innanzi tutto dopo la partizione tra l’India ed il Pakistan il governo ha deciso di creare un corpo addetto alla supervisione della pianificazione; più precisamente nel 1956 è stata creata la Delhi Development Authority e a qualche anno di distanza è stato stilato il primo Master di Delhi, esattamente nel 1962. Per essere più precisi, ciascuna edizione del piano prevede una durata ventennale nella realtà poi l’estensione del primo è entrata in vigore soltanto nel 1991 e la seconda estensione nel 2007. Questa ultima è quella attualmente in vigore e che sarà valida ipoteticamente sino al 2021. Il piano è chiamato infatti New Delhi Master Plan 2021.
In realtà le nuove stesure non sono altro che degli ampliamenti del primo senza che gli errori o le imprecisioni siano stati corretti o segnalati nelle nuove politiche di gestione urbana.
A che si riferisce?
Mi riferisco alle trasformazioni economiche che si sono susseguite negli ultimi anni, causando cambiamenti nelle politiche e negli assetti urbani. Il primo Master Plan è stato uno strumento, generato da un approccio alla governance urbana di stampo ideologico socialista. Il governo ha infatti istituito un sistema di regolamentazione e gestione del territorio, assumendo un ruolo molto forte rispetto alla gestione dell’uso e del valore della terra, nonché nell’ottica dell’intero sviluppo della città.
Purtroppo, però questo primo Master Plan ha permesso la proliferazione di situazioni di illegalità a latere degli sviluppo pianificati e legali. Attitudine che si è andata aggravando dopo l’estensione del secondo piano, stilato nel 1988 ed entrato in vigore nel 1991; questo sostanzialmente perché tutti gli errori, commessi durante il periodo di validità del primo non sono stati corretti nelle successive estensioni, ma piuttosto ampliati dai riverberi conseguenti la liberalizzazione del mercato e l’ingresso degli investitori privati nella gestione economica di capitali investiti per lo sviluppo della città. Tutto ciò ha fortemente polarizzato, ampliato ed aggravato il binomio già forte nella città di presenza tra legalità ed illegalità.
Può fare qualche esempio?
Se per esempio nelle prescrizioni del primo Master Plan, la Dda aveva la responsabilità del controllo delle terre, potendo decidere dell’intero sviluppo della città, in un‘ottica nerhuviana sul modello delle repubbliche socialiste, promettendo perciò più attenzione nei confronti dell’housing sociale e della politiche comunitarie; in realtà poi il governo non ha tenuto fede a nessuna delle promesse, ingenerando risposte di occupazione dei suoli illegali da parte dei poveri che si sono trovati costretti ad inventarsi soluzioni alternative di fronte all’assenza di proposte reali da parte delle istituzioni.
Il piano è stato molteplicemente violato: azione che si è andata aggravando con il passare del tempo a causa dell’incuria della seconda estensione che non ha provveduto a correggere l’errore del primo, ma è andato ad ampliarne gli effetti aumentando la forbice tra legale ed illegale. Binomio da considerare in maniera molto seria sopratutto valutando: come la terra ed il suo uso possano avere pesi e considerazioni diversi se a commettere la violazione illegale siano i poveri o i ricchi.
Ovvero: se i poveri prendono possesso di un’area in maniera illegale, costruendo con i loro materiali di recupero e la lamiera ondulata sono sempre e costantemente sotto pericolo di sfratto e di allontanamento forzato se invece i ricchi compiono gli stessi abusi, ma usando altri materiali ovvero marmi di lusso e rifiniture pregiate, il governo al contrario si preoccupa di accelerarne i processi di legalizzazione perché fortemente interessato ad una politica di espansione economica, sempre pensando che il potere della crescita sia la scelta migliore connessa allo sviluppo.
Sostanzialmente sono andati aumentando i divari tra quella che era la precedente volontà governativa e quella che è la nuova politica economica di liberalizzazione.
Lo stato e la Dda, sono stati paragonati ad un elefante troppo lento per arrivare a carpire le trasformazioni conseguenti al nuovo boom economico.
Il ministro dello sviluppo urbano, Mr. Khamal Nath, sostiene che l’idea del Master Plan nonché delle sue successive riedizioni, non siano altro che un documento assolutamente insignificante e senza alcuna validità in termini di sviluppo sostenibile per la città e per i suoi abitanti, sostenendo inoltre che sarebbe assolutamente necessario poterlo ri-progettare tenendo in considerazione l’attuale carattere ed essenza della città. Effettivamente la nuova economia e lo stampo socialista di gestione della governance dalla quale era stato generato non sono assolutamente in grado di dialogare in maniera costruttiva e propositiva tra loro.
In che modo, questo si riflette sula crescita organica della città?
Come si può parlare di crescita organica? Nel concetto di crescita organica è sempre implicito il riferimento ad una tipologia di sviluppo non direttamente governabile da regole superimposte quanto piuttosto ad una crescita informale e non controllata, ma non per questo priva di logica interna. La città dopo gli anni Novanta è stata completamente assoggettata dallo sviluppo degli interessi economici delle banche, dei nuovi ricchi indiani e degli investitori esteri, fautori del suo sviluppo attraverso azioni non realmente corrispondenti agli sviluppi descritti nelle formalità del piano. Nella capitale, l’80% dello sviluppo urbano è costituto da organizzazioni e sistemi di aggregazione non formale, sottolineando in maniera evidente come sia forte la contraddizione tra l’idea futura immaginata dallo stato e quella invece realizzata dalla maggior parte degli abitanti. Il ruolo dello stato tout court e della sua capacità deterministica è sempre più ridotto e sempre meno influente nelle possibili evoluzioni urbane.
A proposito di questo, può essere portato come esempio un caso ben rappresentativo di come il governo con il passare del tempo abbia ridimensionato le sue azioni volte al miglioramento ed il benessere collettivo: si pensi al Factory Act del 2005, un atto che ha comportato la chiusura di piccole industrie informali perché emanazioni di illegalità provvedendo a sostituirle con sistemi di regolamentazione dell’uso della terra assolutamente sbilanciato dalla parte dei ricchi e senza nessuna considerazione delle conseguenze che queste misure avrebbero apportato all’equilibrio di intere parti di città. In Bhavana, zona a sud della città, hanno perso il lavoro più di due milioni di persone, seguendo le prescrizioni dell’atto che dichiarava la necessità di vendita di appezzamenti minimi di cento metri quadrati da utilizzare alle industrie con la conseguente chiusura delle fabbriche, localizzate in aeree segnalate dal piano come abitative ma in realtà adibite a posti di lavoro illegali.
L’esempio è un cammeo, di come il governo stia muovendosi in direzione di investimento capitalista, approfittando di quelle che sono le opportunità regalategli da una sua politica iniziale di stampo socialista: rilevate le terre a sfavore dei precedenti occupanti, le aree sono state infatti cedute a ricchi investitori che hanno elargito molti più soldi di quelli dati ai suoi precedenti occupanti. Il controllo e la gestione delle terre sono perciò deviati totalmente a beneficio dello sviluppo economico filtrato da decisioni governative.
Sempre nel Factory Act, laddove invece le previsioni siano state rispettate, gli standard relativi ai benefici infrastrutturali sono completamente a discapito dei lavoratori: si pensi infatti che per 100 mq. di area industriale sono considerati solo nove operai e sono previste abitazioni e servizi minimi in relazione a questo numero di lavoratori, è invece frequente che le zone siano occupate da ben più di dieci persone che non sono tutelate né protette da servizi adeguati.
Come si può spiegare la dimenticanza del bene collettivo e della good governance da parte del governo?
È un esempio che può essere avvalorato da mille altri: per esempio il fatto che siano previste sempre meno case per i poveri e che invece siano dati ampi spazi ai quartieri per la alta e media borghesia in un orientamento totale dominato dal potere economico. I cittadini qualunque non beneficiano di nessun potere reale: i palazzi si moltiplicano ed il prezzo dei pomodori raddoppia senza che ci sia un’effettiva tutela dello stato sociale.
Molte ingiustizie sociali sono state commesse nei confronti dei cittadini prima e dopo i Giochi del Commonwealth. Qual è la situazione oggi?
Effettivamente non è stato fatto nulla di veramente significativo. Non c’è poi tutta questa libertà di poter esprimere la propria opinione a proposito: il governo non apprezza molto che siano espressi giudizi negativi sul suo operato. Per esempio: per la costruzione delle linee della metro sono stati tagliati moltissimi alberi; ne sono stati ripiantati quattro al posto di ogni singolo albero espiantato, ma nella foresta. Ovviamente questo è costantemente giustificato da false statistiche in grado di mistificare la realtà.
La città sta rischiando di acquisire un volto di città delle multinazionali, senza nessuno spazio pensato per i bambini, le donne, le persone anziane, le persone disabili o gli animali, tutte necessità completamente fuori dal concetto di sviluppo del piano.
I poveri e le persone comuni non fanno assolutamente parte della immaginazione globale.
A risposta di questo, quale città immagina per il 2021? Quali soluzioni possibili per una città migliore?
Immagino case per tutti, un lavoro decente... L’immaginario globalizzato sta producendo spazi come Gurgaon, nuove periferie pensate per gli investimenti globali.
Vorrei che non ci fosse un controllo capitalistico della gestione della governance, che si ritornasse ad una concezione più socialista del welfare state. Non continuare con questo genere di economia, figlia di una crescita sempre più insostenibile. Piuttosto cambiare il corso delle tendenze contemporanee provando a pensare a case ed opportunità lavorative migliori e a servizi ed opportunità sociali per tutti gli abitanti di Delhi.