Urbanistica INFORMAZIONI

Il racconto della città

Livorno è la città d’Italia dove, dopo Roma e Ferrara, mi piacerebbe più vivere. Lascio ogni volta il cuore sul suo enorme lungomare, pieno di ragazzi e marinai, liberi e felici. Si ha poco l’impressione di essere in Italia. Intorno, nelle fabbriche dei quartieri verso il Nord, ferve un lavoro che non ha un’aria familiare, e per questo è tanto più amica, rassicurante. Livorno è una città di gente dura, poco sentimentale: di acutezza ebraica, di buone maniere toscane, di spensieratezza americanizzante. I ragazzi e le giovinette stanno sempre insieme. Il problema del sesso non c’è, ma solo una gran voglia di fare l’amore. Le facce, intorno sono modeste e allegre, birbanti e oneste. Pei grandi lungomari disordinati, grandiosi, c’è sempre un’aria di festa, come nel meridione: ma è una festa piena di rispetto per la festa degli altri
Pier Paolo Pasolini

Come Pier Paolo Pasolini, in molti, poeti, scrittori, artisti, e grandi personaggi, hanno lasciato nel tempo appunti, poesie, sensazioni di questa città e della sua gente. Ora quelle Livorno non esistono più, ma ne rimangono le memorie. Memorie diverse perché diverso è il come si osserva e il come si ricorda. La città è figlia del passato, ma immagine del presente.
Livorno prima della sua fondazione nel 1577 era un piccolo, povero villaggio, infestato dalla malaria a sud del Sinus Pisanus di Triturrita, il porto extra-urbano di Pisa. A Livorno era demandato il lavoro pesante: carico e scarico merci e a Pisa il commercio. Fatica e miseria da una parte, prestigio e ricchezza dall’altra. Non è che, forse, la rivalità tra le due città sia nata da questo?
Il Granducato aveva estremo bisogno di un porto, il Sinus stava interrandosi. I Medici dovevano realizzarne un altro ex novo. Per un nuovo grande porto occorreva una nuova città e per fondarla dovevano essere trovati innanzitutto i cittadini. Vengono così promulgate leggi che favoriscono l’insediamento di mercanti: quella del 1591 detta “Livornina” rivolta principalmente agli Ebrei, prevede privilegi a «tutti i mercanti di qualsivoglia natione, Levantini e Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci, Todeschi et Italiani, Hebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani et altri…»
I privilegi erano volti ad assicurare il condono dei reati commessi nel passato, l’eliminazione di ogni limitazione alla libertà degli Ebrei: nessun ghetto, nessun segno di riconoscimento, libertà di culto e di intrapresa. Gli Ebrei considerano Livorno la nuova Gerusalemme. Per le altre confessioni religiose, specialmente i protestanti, ortodossi e mussulmani, a dispetto dei proclami di legge, qualche problemino fu posto. Ma grande era la possibilità di intraprendere attività commerciali e produttive godendo di notevoli agevolazioni. La gestione stessa della città avveniva attraverso organi di autogoverno specifici di ciascuna “comunità-nazione” e con la partecipazione, alle magistrature comunali, degli stranieri cattolici in possesso dei requisiti di censo. Un interesse economico, politico-strategico, aveva fatto si che fossero introdotti alcuni grandi principi di libertà e di convivenza tra genti diverse. Non si commetta, però, l’errore di pensare che Livorno fosse un luogo paradisiaco, era una città piena di contraddizioni, con diversi privilegi per i suoi abitanti, ma comunque figlia del suo tempo. Grazie a queste leggi, al porto franco, nel XVII e nel XVIII secolo, Livorno fu il più importante emporio del Mediterraneo. Alla metà XVI sec. Livorno, il villaggio, aveva circa 600 abitanti, alla fine dello stesso secolo, la città, ne contava 9700. La città si ampliò verso ovest, sia rubando spazio al mare che riducendo le dimensioni della Fortezza Nuova, creando un nuova pezzo di città, la “Venezia Nuova”. Quartiere che doveva rispondere, con la massima efficienza, alle funzioni di deposito e movimento merci. Attività così riassumibili:
- le navi in avvicinamento al porto, iniziano a comunicare attraverso segnali alle sedi dei mercanti che hanno i loro osservatori sulle torrette presenti sopra i tetti dei palazzi;
- le barche dei risicatori (gli scaricatori) avvistata la nave si lanciano in una violenta corsa verso la stessa nave. La barca che prima si accosterà e riuscirà a gettare una ciabatta a bordo avrà diritto a scaricare la nave. Il premio della “regata” è la sopravvivenza, da qui il detto “chi non risica non rosica”;
- le merci vengono scaricate nei magazzini e da qui mediante barconi, attraverso il Canale dei Navicelli e poi l’Arno, le merci raggiungono Pisa, Firenze e attraverso il porto fluviale di Empoli e l’Elsa, anche la Val d’Elsa e quindi Siena, così come molti altri centri attraverso il Padule di Bientina; mentre attraverso il Canale di Ripafratta: Lucca;
- con carovane di muli, le merci raggiungono i luoghi più interni non raggiungibili via acqua;
- con il trasbordo su altre navi, le merci raggiungono altri porti.
Il quartiere di “Venezia Nuova”, ultimato agli inizi del ‘700, attraversato da una fitta rete di strade e di canali comunicanti con il porto, dotato di numerosi fondaci e magazzini, divenne sede dei più facoltosi mercanti e dei più importanti consolati. Nel quartiere erano presenti contemporaneamente: residenza di tutti i ceti, botteghe artigiane, magazzini, negozi, teatri, accademie e servizi, compresi quelli che indicheremmo come attrezzature sociali, costituivano un insieme unico fortemente integrato. Ogni “Nazione” aveva in città le proprie accademie, talvolta anche ospedali come quello ebraico. Di grande importanza erano anche le diverse confraternite, prima tra tutte quella della Misericordia, alla quale aderivano anche diversi corsari inglesi e olandesi “convertitisi” al cattolicesimo. Primo fra tutti l’inglese sir Robert Dudley (1594-1649), sua la monumentale opera “L’arcano del mare” (1616).
Non trascurabili, per l’economia del granducato, erano i “traffici” attinenti l’attività dei corsari, solitamente inglesi e olandesi. L’unica condizione posta ai corsari consisteva nel fatto che i loro carichi non fossero stati catturati a navi cristiane. Le opere pubbliche, la loro manutenzione e la nettezza urbana erano effettuate con il concorso essenziale dei forzati, per la maggior parte pirati barbareschi. I forzati avevano un regime di “semilibertà”, potevano anche pescare sulla costa qualche pesce per cibarsene e aggiungendolo al pane e le cipolle, che passava loro il Bagno Penale, ottenevano un piatto nutriente: il cacciucco (dal turco kuçuk: piccolo, pezzettino), questo piatto, poverissimo ma gustoso, fatto per lo più di pesci di scarso valore, entrò anche nella cucina dei pescatori e della povera gente . Tra la seconda metà del XVII sec. e i primi del XIX sec. Livorno vive un periodo di grande prosperità economica, di vivacità intellettuale e di mode. Nasce la moda della villeggiatura, Goldoni scrive tre commedie su tale fenomeno, tutte ambientate nei dintorni della città, dove i ricchi mercanti costruiscono le loro ville estive. La città è un crogiolo di culture diverse che si incontrano. Le idee illuministe circolano e si affermano nei ceti borghesi. Grande è l’attività delle tipografie labroniche, favorita dal clima di libertà. Di particolare interesse e valore politico-culturale, è la stampa della prima edizione “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria e la terza edizione dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert.
Il declino dell’attività portuale ebbe inizio sul finire del ‘700 e fu determinato dalla crisi del commercio di deposito e aggravato dall’occupazione napoleonica e il conseguente allontanamento degli inglesi. L’800 è un secolo che segna l’inizio di grandi trasformazioni sia in campo urbanistico che politico e socio economico. Si abbattono le mura buontalentiane. La città si amplia, si costruisce, su progetto di Poccianti, il nuovo acquedotto che traccia con il suo percorso urbano, l’asse centrale dello sviluppo della città. I piccoli borghi, fuori dalle mura, si espandono, nascono nuovi assi viari, nuove piazze. on l’unità d’Italia e la fine del porto franco nel 1868 si concluse un capitolo importantissimo della storia di Livorno. L’inadeguatezza delle attrezzature portuali e dei collegamenti determinò una profonda crisi delle attività portuali e in parallelo, un lento ma costante sviluppo delle attività industriali. In questo secolo fino ai primi del ‘900, si assiste anche allo sviluppo della villeggiatura in funzione della talassoterapia. Il turismo balneare portò all’ampliamento della via litoranea e molti palazzi, ville sorgono sul lungomare. Vennero realizzate strutture dedicate espressamente ad accogliere i villeggianti e gli alberghi, due edifici, antesignani dei moderni residence: il palazzo Caprilli, in viale Italia e i Casini di Ardenza. Di questi anni sono le prime esperienze di edilizia popolare, le case dei ferrovieri, il quartiere Stazione dello stesso architetto Angiolo Badaloni, che firma i progetti di altre importanti opere come le Terme della salute, l’albergo Corallo, il Mercato delle vettovaglie.
Livorno è sempre più una città industriale, operaia. I cantieri navali e le attività legate alla meccanica hanno un notevole sviluppo. Il piccone demolitore del ventennio fascista non risparmia Livorno: il centro viene sventrato per far posto a uffici direzionali e banche, i ceti popolari che vi abitavano vengono “ trasferiti“ in un nuovo quartiere a nord della porta San Marco, un luogo lontano: “Shangay”. Un terribile progetto di Piacentini imperversa sul centro, creando non pochi danni e purtroppo ispirerà anche la ricostruzione postbellica.
Durante il fascismo il porto viene trasformato da commerciale a industriale, un errore gravissimo: un progetto che taglia in due il porto. Nella ricostruzione postbellica del porto, per i limiti della legge sui danni di guerra, fu persa l’occasione per ammodernare la struttura, superare gli errori compiuti. Questo lo stiamo ancora scontando.
A partire dal dopoguerra la città ha una forte espansione: grandi complessi industriali si insediano a nord della città; vengono realizzati: molti quartieri popolari: Corea; Colline; Coteto; La Rosa; Salviano e a partire dagli anni ‘80 Leccia e Scopaia.
I traffici portuali si sono espansi, per poi calare in questi ultimi anni. La città, oggi, soffre di una crisi generale e di una riconversione che stenta ad affermarsi.
I bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno distrutto circa l’80% del centro della città, si sono salvati solo i borghi sette-ottocenteschi e la Nuova Venezia. Questi rappresentano, oggi, la parte storica della città. Il centro storico non esiste più, è stato ricostruito tra mille difficoltà e ha l’aspetto architettonico di una periferia. I fossi rappresentano l’itinerario urbano più interessante insieme al lungomare. In questi luoghi si trova l’essenza di Livorno e della sua gente ed è bello bighellonare lungo queste vie, osservarne la vita, le memorie, pensare che l’acqua che vediamo, è una grande strada che unisce tutto il mondo, da sempre, basta percorrerla.
Per una più puntuale descrizione storica della città si rinvia a "Storia della città" di Cecilia Testa.

Data di pubblicazione: 28 marzo 2011