I grandi progetti di rigenerazione urbana giocano un ruolo fondamentale nel costruire una immagine di sviluppo: sia per la capacità che gli si attribuisce di farsi veicoli di significati condivisi, sia, più concretamente, per i nuovi spazi di investimento che creano nelle città.
Evans (2009) definisce questo diffuso interessamento verso l’uso della cultura come leva di sviluppo e rigenerazione urbana come un “movimento”, in cui politiche e pratiche sono promosse a livello internazionale da alcuni specialistichiave, centri di ricerca e network socio-politici, che fanno largo uso della presentazione di casi considerati di successo. Il rischio più evidente è quello di analisi in parte superficiali e mono-dimensionali, che raramente tengono conto delle difficoltà di comparare contesti istituzionali e locali, nonchè i specifici trascorsi storici. È proprio questo ricorso frequente alla presentazione di casi che spinge a riflettere sull’evidente convergenza delle strategie e delle soluzioni di policy adottate in moltissime città del mondo.
La conurbazione di Newcastle- Gateshead, nel Nord-Est dell’Inghilterra, ritenuto oggi un esempio quasi paradigmatico per le città in transizione post-industriale, veniva definita già negli anni Ottanta come un “laboratorio di politiche pubbliche” (Robinson, et. al., 1986), e come una “archetipica regione di declino industriale” (Amin, Tomaney, 1991): una regione considerata un “modello”, dunque, da oltre due decenni.
Oggi, diversi autori (Miles, 2005; Comunian R., Sacco P.L., 2006) sottolineano il successo dei processi di riqualificazione che hanno interessato in particolare il water-front delle due principali municipalità, quella di Newcastle upon Tyne, e quella di Gateshead. Nonostante alcune ovvie considerazioni sulla natura in parte esclusiva delle iniziative culturali proposte e dello sviluppo residenziale sulle sponde del Tyne, e sulle difficoltà di misurare gli effetti socio-economici a medio e lungo termine della cultureled re generation (Evans, 2005), viene messa in luce la capacità dei grandi progetti architettonici di allacciarsi alle identità-comunità locali, fornendo nuovi strumenti per una autorappresentazione positiva, di successo, coerentemente con l’enfasi sulle “comunità” posta dal governo neolaburista (Imrie, Raco, 2003).
Tre grandi progetti architettonici sono considerati icone del cambiamento: il Baltic Centre for Contemporary Arts (fig. 1 e 2), uno dei maggiori musei di arte contemporanea della Gran Bretagna ricavato da un edificio che ospitava un mulino industriale; il Gateshead Millennium Bridge (fig. 2), un ponte mobile di forma ellittica sul fiume Tyne, esclusivamente pedonale e ciclabile; e l’auditorium Sage Gateshead, progettato da Norman Foster (fig. 3 e 4). I tre progetti sono stati realizzati a partire dalla fine degli anni Novanta sulla riva del fiume Tyne, nella municipalità di Gateshead.
Il cambiamento che la città ha conosciuto negli ultimi dieci anni viene attribuito sia agli ingenti finanziamenti pubblici per la costruzione delle principali infrastrutture culturali, sia ai processi di riqualificazione fisica dei waterfront delle due principali municipalità, sia alla capacità di queste azioni di veicolare significati identitari nuovi, e riconosciuti come positivi.
Ad accomunare queste letture vi è un’idea del declino industriale come fenomeno essenzialmente inevitabile, strettamente associato all’immagine negativa della regione nel suo complesso, mali rispetto ai quali la cura culturale sembrerebbe aver posto rimedio, sia dal punto di vista urbanistico, sia rispetto alle successive ricostruzioni di una identità locale.
Il processo di deindustrializzazione non rappresenta però una netta soluzione di continuità. Byrne (2002) lo definisce come un “cambiamento stabile” (Byrne 2002) in cui il localismo, il forte legame tra sindacati e governo locale, l’idea di sviluppo come progetto collettivo di ampio respiro - tutti identificati come caratteri del periodo industriale - indietreggiano a favore di una concezione di sviluppo legata a dinamiche globali, e in cui il capitale privato guida le traiettorie del cambiamento urbano, e le politiche locali hanno principalmente il compito di favorire questo processo.
L’industrialismo rappresenta dunque non solo un sistema economico e sociale, ma anche quella che viene definita da Williams come una “structure of feeling” (1958), ossia una costruzione identitaria complessa, che consente ad una collettività di orientarsi nel mondo. Nel passaggio da un sistema all’altro non si realizza dunque una sostituzione, ma fenomeni di più complessa sovrapposizione, permanenza, intreccio, difficilmente prevedibili. Un esempio è messo in luce nella descrizione della vita notturna di Newcastle, in cui la presenza di nuove popolazioni (come gli studenti universitari o i giovani professionisti), si intreccia con la tradizionale propensione alla socialità della regione, ma anche con le forme del consumo di alcol e con una matrice identitaria fortemente maschile, che si traduce anche nei fenomeni di violenza e nel clima complessivamente aggressivo delle notti di Newcastle (Hollands, Chatterton, 2002).
Allora, più che l’esito lineare di un processo di deindustrializzazione ben riuscito, l’immagine attuale della nuova conurbazione risulta dal prodotto temporaneo e visibile di cambiamenti in cui si mescolano spinte globali e caratteri locali, precisi orientamenti politici e declinazioni particolari. In cui le diverse forze in gioco seguono traiettorie e tempi diversi. In altre parole, percorsi di cambiamento così profondi non seguono strade determinabili a priori, nè tantomeno replicabili: la ricostruzione di un percorso coerente si realizza sempre a valle, cercando consequenzialità e linearità in processi segnati piuttosto da fratture e logiche eterogenee.
Il cambiamento più visibile e celebrato - in particolare, il recupero urbanistico dei waterfront e l’elaborazione di una immagine della città completamente nuova - ha le sue radici, come accenneremo nel paragrafo seguente, in un sodalizio tra l’azione del governo centrale, sostanzialmente ostile ai governi locali almeno all’inizio, e da capitali privati e statali; ma anche da organi interamente pubblici nati con scopi di gestione di un settore ben preciso, quello culturale, e che hanno poi in certa misura colmato la mancanza di una strategia più complessiva.
Per tracciare un percorso di sviluppo urbano, appare quindi importante considerare non solo i processi che hanno portato alla valorizzazione di alcune parti della città, ma anche quali siano stati i principali attori, e quali sistemi di relazioni si siano prodotti e affermati nel tempo; intendere l’esito come punto di partenza e pretesto.
L’obiettivo diventa quindi la comprensione di un “contesto interattivo, al quale vengono riconosciute complessità ed instabilità elevate” (Crosta, 2003).