Urbanistica INFORMAZIONI

Milano nel piano: città di quartieri e d’urbanistica paratattica

Il Piano di governo del territorio (Pgt) di Milano è un testo complesso. La sua interpretazione, talvolta banalizzata e ridotta nell’arena comunicativa e nella contingenza di formule di successo (come la ‘città dei 15 minuti’) è impegnativa e richiede un confronto con i meccanismi regolativi che il piano propone. Le linee d’azione molteplici che il Pgt promuove, per accostamento, trovano una chiave solo parziale nell’acquietante immagine della Milano dei quartieri.

In principio era la rigenerazione

Il nuovo Piano di governo del territorio (Pgt) di Milano è un piano di rigenerazione urbana. Nelle sue tavole non troviamo più la voce ambiti di trasformazione, bensì di rinnovamento urbano all’interno della sezione della legenda dedicata a “Una città che si rigenera” (Pgt 2019, Documento di piano. Progetto di piano, Tav. D.01).

Uno degli aspetti che più marca la distanza della stagione della rigenerazione (urban regeneration) da quella della riqualificazione (urban redevelopment) è che la distinzione tra luoghi della trasformazione ‘intensiva’ ed ‘estensiva’ si è fatta sempre più incerta e meno pregnante, la geografia della trasformazione più vaga e cangiante. L’attualità e l’efficacia stessa dello strumento del ‘grande progetto urbano’ – inteso come processo unitario proiettato in un tempo controllato di medio periodo per dar corso alle trasformazioni intensive – sono state quanto meno poste in dubbio. L’irrompere della ‘sostenibilità’, in tutte le sue declinazioni, e la natura pervasiva e ‘metabolica’ della sua sfida rimettono al centro la qualità diffusa dell’habitat urbano e la sua grana fine.

La rigenerazione si fa oggi reticolare. Raccoglie a sistema opportunità trasformative più eterogenee, di dimensioni variabili, spesso minute. È incrementale e aperta alla soluzione temporanea. Si articola nel coinvolgimento di una platea plurale di attori. Ammette la gradualità, l’incertezza, anche la parzialità della realizzazione. Ne è protagonista lo spazio pubblico, o le risorse che lo possono diventare. E così anche lo spazio dei servizi, o le strutture diffuse che possono divenire o ritornare a essere welfare space in modi nuovi e originali. Si sostanzia in operazioni di retrofitting del patrimonio abitativo e dei relativi contesti.

La performance ambientale e la dimensione

di prossimità sono tratti qualificanti della stagione della rigenerazione. Costituiscono sfere delle politiche urbane e dell’azione amministrativa (e delle sollecitazioni cui esse sono soggette), che assumono centralità in modo ubiquo. La crisi ambientale e la riappropriazione dello spazio da parte dei soggetti, nella dimensione del quotidiano, sono istanze prorompenti che travalicano i contesti e si impongono con caratteri di universalità, portati dagli imperativi dell’Agenda 2030 e dei suoi Sustainable Development Goals.

Strategia versus struttura

La rigenerazione, nel connubio tra sostenibilità e prossimità, cambia i contenuti del progetto urbanistico, e la forma stessa del piano. Ne mette in discussione, in particolare, il concetto di struttura, che ne ha invece segnato la tensione negli anni ’80 e ’90. Nel primo caso, perché le ragioni della prestazione ambientale si proiettano su un piano di necessità, per così dire di ordine superiore, eccedente ed estraneo a una spazialità accidentale e contestuale, a una particolare geografia: le ragioni della sostenibilità si dispiegano al livello dell’ambiente urbano, considerato nel suo complesso, entro un sistema di verifica e controllo che si sgrana quindi nelle sottoarticolazioni del quartiere, dell’edificio, dei singoli materiali urbani. Nel secondo caso, perché l’enfasi sulla dimensione di prossimità propone di fatto l’immagine di una città che si dispiega e riflette costitutivamente nell’aggregazione dei suoi ambienti locali.

Sotto la spinta di sostenibilità e prossimità, alla ricerca di una struttura urbana si sostituisce il perseguimento di una strategia per la città.

Nel Pgt di Milano approvato nel 2019 la nuova dimensione strategica del piano urbanistico è chiara. Lo spazio occupato dalle Strategie nella relazione del Documento di piano è in tal senso rivelatore (Comune di Milano 2019). Così come è una strategia quella “di adattamento” – della città e dell’azione urbanistica stessa – di fronte alla pandemia, presentata nel documento elaborato nell’aprile 2020 dall’Amministrazione comunale e sottoposto alla consultazione cittadina (Comune di Milano 2020); vi si legge, tra l’altro, che “è importante riscoprire la dimensione di quartiere (la città raggiungibile a 15 minuti a piedi), accertandosi che ogni cittadino abbia accesso a pressoché tutti i servizi entro quella distanza” (ivi: 3; si veda Moreno et al. 2021).

In Emilia-Romagna questo passaggio dalla struttura alla strategia è esplicito e ‘per legge’. Dallo strumento urbanistico previsto dalla Legge regionale 20/2000, incardinato sul Piano strutturale comunale (Psc), si è passati al Piano urbanistico generale (Pug) della Legge 24/2017, col ritorno a uno strumento monocomponente imperniato sulla definizione di una “Strategia per la qualità urbana ed ecologico-ambientale”, da perseguirsi prioritariamente (art. 34).

Se la struttura invoca figure selettive che possano interpretarla e darle espressione, la strategia raccoglie temi e materiali entro cui questa possa trovare trattamento. La tensione ‘compositiva’ del piano non si esprime attraverso una rappresentazione sintetica nello spazio ma in un costrutto argomentativo per linee d’intervento prioritarie. In tal senso, il nuovo Pgt di Milano pare configurarsi anche come documento ‘a efficacia interna’ dell’amministrazione, nel definirne orientamenti e indirizzi, nel coordinarne le molteplici ‘centrali’ e strutture operative, nell’esplicitarne una prospettiva d’azione coerente e comunicabile. Il piano diviene un’interfaccia delle politiche per la città.

La dimensione locale del progetto

Nelle grandi città uno sguardo orientato al locale è diventato ormai consueto, quasi un luogo comune. Una tensione al coinvolgimento attivo degli abitanti, alla partecipazione alle decisioni relative ai loro ambienti di vita è ormai la regola – un impegno quantomeno da dichiarare – di ogni iniziativa di pianificazione urbanistica. Spesso questa attenzione si intreccia e dialoga con la stessa geografia amministrativa minuta. La città, infatti, vede oggi rafforzarsi il ruolo dell’articolazione in ‘municipi’ e ‘quartieri’, quali entità che offrono lo spazio – anche istituzionale – per lo sviluppo di politiche urbane radicate nel contesto locale. Nel piano urbanistico questo si riflette nello sviluppo di una sorta di sintassi ‘di secondo livello’ del progetto spaziale. I contenuti di disciplina e azione urbanistica si ridefiniscono, allora, in rapporto alle molteplici ‘microcittà’ che possono riconoscersi nell’insediamento urbano.

Questa espressione – microcittà – è stata utilizzata nell’elaborazione del piano di Roma adottato nel 2003 e definitivamente approvato nel 2008 (Aa.Vv [http://Aa.Vv]. 2001): circa 200 erano le diverse entità urbane che una ricerca condotta allora dal Cresme distingueva, nelle relazioni specifiche tra spazio e società, nei diversi contesti locali della capitale. In modo simile, a Bologna, nel Piano strutturale comunale del 2008 (Ginocchini e Manaresi 2007) quello spazio logico del progetto – la dimensione locale – era interpretato dal dispositivo delle “Situazioni”: 34 aggregazioni spaziali attraverso cui perseguire “l’obiettivo di migliorare l’abitabilità locale del territorio” (Quadro normativo, art. 37). Nel nuovo Piano urbanistico generale (Pug 2021) la stessa tensione si riflette ora nelle 24 tavolette delle “Strategie locali per la qualità” (Evangelisti 2019; Gabellini 2020).

A Milano sono i “Nuclei di identità locale” (Nil) a fondare un’analoga geografia per il progetto nel Piano di governo del territorio (Pgt) del 2012: “Ai Nil corrisponde una visione della ‘città lenta’, basata sulle relazioni di prossimità, sulla vivibilità dei luoghi dell’abitare e del vivere quotidiano” (Russi 2009: 136) (Figg. 1, 2).

Fig. 1. Milano, le centralità locali (fonte: Russi 2009).
Fig. 1. Milano, le centralità locali (fonte: Russi 2009).
Fig. 2. Milano, i nuclei di identità locale (fonte: Comune di Milano 2012).
Fig. 2. Milano, i nuclei di identità locale (fonte: Comune di Milano 2012).

Questo dispositivo interpretativo e progettuale ha assunto rilievo ulteriore nel nuovo Pgt del 2019: la Relazione generale del Documento di piano ne sottolinea la centralità nella Visione, adottando lo slogan “Una città, 88 quartieri da chiamare per nome”. La loro mappa ‘normalizzata’ (cioè ricondotta dalle sue forme esplorative iniziali – per ‘areali’ – a un mosaico di zone in cui scomporre l’intero territorio comunale) è restituita all’inizio della sezione dedicata alla “Milano dei quartieri” e al relativo “Atlante” degli interventi, pensato come “lo strumento utilizzato dal PGT per confrontarsi con il tema dell’abitabilità, all’intersezione tra la scala minuta degli spazi urbani, gli abitanti e le loro istanze” (Comune di Milano 2019: 104, 105) (Fig. 3).

Fig. 3. La Milano dei quartieri, i Nuclei di identità locale. (fonte: Comune di Milano 2019).
Fig. 3. La Milano dei quartieri, i Nuclei di identità locale. (fonte: Comune di Milano 2019).

Nuclei di identità locale

Tornando al Pgt del 2012, nella relazione del Documento di piano si sottolinea l’operazione di “descrizione capillare […] attraverso la lente di ingrandimento delle diverse zone della città” (Comune di Milano 2012: 38), che quel piano ha inteso promuovere. “Per fare ciò, si è costruita una mappa che suddivide la città […] in aree che corrispondono alle varie identità culturali e sociali, secondo una logica di appartenenza al quartiere e al riconoscimento in una centralità” (ivi: 39). A queste parole si accompagnano le raffigurazioni (ivi: 39, 41) di una geografia – quella dei Nil – che ha costituito la base di rilevamento per l’“ascolto della città […] fondamentale nella definizione della cosiddetta ‘domanda di servizi’”, e che del Piano dei servizi ha agito, appunto, come matrice (ivi: 40).

Se tutto questo è parte di un capitolo significativamente intitolato “Un racconto inedito. La genesi del progetto”, in verità la Milano dei quartieri descrive tratti e caratteri ben presenti nell’immaginario della città. Un immaginario che è stato sondato e ‘detto’ anche attraverso operazioni strutturate di ricerca, come quella intrapresa da Giorgio Fiorese negli anni ’80 del secolo scorso, e restituita nella serie di volumi monografici, rimasta incompiuta, dedicata alle (allora venti) zone del decentramento amministrativo di Milano: MZ5 Ticinese (1982); MZ7 Bovisa-Dergano (1984); MZ10 Loreto-Monza-Padova (1986); MZ2 Centro direzionale (1987). Fiorese presentava quell’impresa come “lo sforzo di identificare, nella storia e nell’attualità, ciascuna delle parti di Città prese in esame; il tentativo di esaltarne le individualità, non di omologarne pregi e difetti a partire dalla comune appartenenza alla ‘grande Metropoli’” (Fiorese 1984: 10).

Analogamente, i Nuclei di identità locale parlano del territorio urbano osservato attraverso i modi di nominare e riconoscere i luoghi della città nello spazio e nel tempo (per toponimi radicati nel contesto e nell’immaginario locale), definendo ambienti che rivelano la loro distinzione e ‘densità’ di significati, e ai quali il piano intende ancorare la politica distributiva dei servizi.

Tuttavia, l’idea di organizzare nell’insediamento urbano un sistema diffuso di welfare intorno al riconoscimento/costruzione di un complesso di centralità locali non costituisce certo un tema inedito dell’urbanistica. Anzi, esso è profondamente radicato nella storia della progettazione e pianificazione della città. Già a metà ’800, la maglia regolare della Barcellona del Plan Cerdà aveva declinato un principio di equipollenza territoriale e di equidistribuzione dei servizi (Pallares-Barbera et al. 2011). Lo caratterizzava una precisa metrica nella dislocazione delle attrezzature, per aggregazioni progressive di isolati. La scuola, insieme alla chiesa e alla caserma, rappresentava la dotazione di base della più minuta di queste aggregazioni, costituita da 25 isolati (Spagnoli 2012: 101). Altrettanto paradigmaticamente, con riferimento a un altro caposaldo della storia del progetto urbanistico, nel disegno della neighborhood unit, alle soglie degli anni ’30 del secolo scorso, sul centro civico si impernia il compasso che ne definisce la dimensione spaziale e l’orizzonte di prossimità, con un raggio di un quarto di miglio (Di Giovanni 2010: 143-163).

Sull’incontinente ascesa della prossimità

D’altra parte, la mappa dei Nuclei di identità locale nei suoi modi di rappresentazione – una ‘colonia di bolle’, sorte di inviluppi di

arealità alluse e relative centralità (Russi 2009: 137, 139; Comune di Milano 2012: 39-41, 132, 134) – richiama esplicitamente quanto sperimentato ottant’anni fa nel County of London Plan (1943), con le mappe intitolate “Social and functional analysis, central area” e “London social and functional analysis”, e nel Greater London Plan (1944), nella tavola “Social groupings. Diagrammatic analysis of the centre of the region” (Forshaw and Abercrombie 1943; Abercrombie 1945) (Fig. 4).

Fig 4. Greater London Plan (1944), Social groupings. Diagrammatic analysis of the centre of the region (fonte: Abercrombie 1945).
Fig 4. Greater London Plan (1944), Social groupings. Diagrammatic analysis of the centre of the region (fonte: Abercrombie 1945).

Nel County of London Plan si legge (la traduzione è mia): “Il riconoscimento della struttura di comunità esistente a Londra deve essere implicito in qualsiasi proposta di ricostruzione” (Forshaw and Abercrombie: 21). “Il piano che presentiamo prevede la conservazione o la creazione di comunità locali da suddividersi in più piccole unità di vicinato di 6-10.000 persone, in relazione alla scuola elementare e alla zona che questa serve. [...] Ogni unità necessiterebbe di un centro di quartiere” (ivi: 9). E ancora: “Le comunità locali consistono in una serie di sottounità che le compongono, generalmente dotate di loro negozi e scuole, e corrispondenti a unità di vicinato” (ivi: 26). Ma anche, significativamente: “La proposta è di rafforzare l’identità delle comunità esistenti, di aumentare il loro grado di distinzione e, se necessario, di riorganizzarle come entità separate e definite” (ivi: 28).

Assunti a riferimento per la pianificazione dei servizi nel piano del 2012, nel Pgt di Milano del 2019 i Nuclei di identità locale si caricano di una valenza progettuale ulteriore, divenendo forse l’immagine compositiva principale – anche nella comunicazione pubblica – per ‘dire’ la città. Nell’avvicinamento all’appuntamento elettorale dell’autunno 2021, la ‘Milano dei quartieri’ costituisce un argomento veicolato con insistenza.

Milano è una città che sfugge a (o rifugge da) un’ipotesi strutturale circa la sua organizzazione. “Milano non ha mai avuto una vera visione”, ha affermato recentemente Alessandro Balducci, che di Milano è stato assessore all’urbanistica (Balducci 2021: 264). Più precisamente, Milano ha disatteso qualsiasi tentativo di trovare un’immagine efficace – una raffigurazione strutturale – per una sua rappresentazione selettiva nello spazio. Un’immagine – rassicurante – che oggi, invece, i Nil paiono fornirle: il mosaico

paratattico dei suoi quartieri.

Non si tratta di contestare la ragionevolezza e lo spirito progressivo di un’azione urbanistica orientata al locale e con finalità (re)distributive del welfare. Tuttavia, quella cui oggi assistiamo potrebbe definirsi (parafrasando il titolo di un celebre saggio di Giancarlo De Carlo del 1985) una “incontinente ascesa della prossimità” o, se si vuole, ancora in parafrasi, un vero e proprio “entusiastico canto della prossimità” (De Carlo 1989: 15). La nuova retorica della città dei 15 minuti proietta la declinazione del progetto urbanistico su quest’unica dimensione (peraltro cangiante e variamente interpretabile), mettendo in ombra altre più complesse articolazioni del progetto e della sintassi spaziale della città.

Non è necessario richiamare la storica parzialità (Caniglia Rispoli e Signorelli 2001) dei modi d’implementazione dell’idea di quartiere (autonomo), e di quanto questo talvolta si sia rivelato una gabbia, un costrutto di segregazione anziché di integrazione, per argomentare che oggi “la città non è solo vicinato” (Peverini e Chiaro 2020). Se radicalizzata, è l’idea stessa di quartiere e di comunità locale ad apparire sdrucciolevole, in una fase storica delle società urbane che, nonostante la contingenza pandemica, ha ormai introiettato la ‘disgiunzione’ tra spazio e società (Pasqui 2008), nelle pratiche di vita dei soggetti rispetto alla varietà delle traiettorie ed eterogeneità dei luoghi in cui esse quotidianamente prendono corpo e forma nel campo urbano. Nel nuovo senso comune del quartiere e della prossimità, ambiguo e infìdo appare il concetto di identità, che spesso vi si trova associato come obiettivo da abbracciare o valore da difendere: “parola avvelenata [eppure] così nitida e bella, così fiduciosamente condivisa, di uso pressoché universale” (Remotti 2017: xi-xii).

Differenti sono i principi di alterità ed apertura (Rieniets 2012) per un progetto urbanistico temperato nelle ragioni storico-geografiche delle differenze configurate nello spazio, secondo un approccio ‘sintattico’ alla trasformazione spaziale (si vedano, ad esempio: Brand and Dávila 2011; Anelli 2018).

Il ritorno discreto della regolazione

Tuttavia, per abbandonare una riflessione astratta, e tornare invece a considerare il testo dello strumento urbanistico, e i suoi più concreti meccanismi, la Relazione del Documento di piano del Pgt di Milano del 2019 (a cominciare dalla premessa dell’assessore, che adotta l’enumerazione come logica e strategia di comunicazione) moltiplica i punti d’attacco, in una rassegna di temi e questioni che si affiancano gli uni agli altri secondo ordini del discorso plurimi: la centralità dello spazio pubblico; un’offerta abitativa espansiva, ‘sociale’, ma non solo; la sostenibilità, sostanziata nella previsione di nuovi parchi; l’individuazione di aree di densificazione intorno ad alcuni fuochi urbani (capilinea del metro, stazioni ferroviarie, piazze semiperiferiche); ma anche scali ferroviari (oggetto di un accordo di programma ‘anticipatore’ del 2017) e ‘grandi funzioni urbane’; e poi rigenerazione minuta, facilitazione dei cambi d’uso e indifferenza funzionale tra attività economico-produttive; scala di quartiere e spazi di prossimità ma, al contempo, dimensione metropolitana e proiezione internazionale.

Secondo modalità invalse nel progetto di città di questi ultimi anni in Europa, Visione è il capitolo che enuncia gli obiettivi di bandiera, gli slogan di Milano 2030: “Una città connessa, metropolitana e globale”; “Una città di opportunità, attrattiva e inclusiva”; “Una città green, vivibile e resiliente”; “Una città, 88 quartieri da chiamare per nome”; “Una città che si rigenera”.

La Visione e i suoi slogan si legano e si sciolgono nel trattamento che ne danno le Strategie, oggetto della terza parte del documento, le quali individuano e tematizzano le linee d’azione qualificanti del piano: “Connettere luoghi e persone. I nodi come piattaforme di sviluppo”; “Trasformare, attrarre, eccellere. L’occasione dei vuoti urbani”; “Innovare e includere. Emanciparsi attraverso il lavoro”; “Rendere equa Milano. Più case in affitto sociale”; “Fare spazio all’ambiente. Progetti per suolo e acque”; “Progettare una nuova ecologia. Gli standard di sostenibilità”; “Adattarsi ai cambiamenti sociali. Servizi vicini a tutti i cittadini”; “Riavvicinare i quartieri. Lo spazio pubblico come bene comune”; “Rigenerare la città. Le periferie al centro”.

Tra Visione e Strategie si intercala Costruzione. È il capitolo che restituisce lo sfondo conoscitivo e interpretativo del nuovo strumento urbanistico ma che, in particolare, ne situa l’azione in rapporto a una valutazione circostanziata del lascito del Pgt 2012 (Comune di Milano 2019: 36-39), e soprattutto ne definisce il contenuto tecnico originale. E lo fa in maniera ‘dura’: abbandona il registro narrativo e comunicativo, per adottarne uno che diviene progressivamente più ‘esperto’ attraverso i paragrafi “Approccio: come operare” e “Obiettivi quantitativi: dove andare”. Qui si ha solo lo spazio per richiamare questo intendimento espresso: “La proposta è intenzionalmente mirata a marcare un (ulteriore) passaggio dal piano predittivo a un modello incrementale e adattivo” (ivi: 40).

Epperò, la comprensione dell’azione urbanistica sulla Milano dei quartieri, e della stessa opzione generale di rigenerazione, richiede la disamina minuta del dispositivo di disciplina urbanistica predisposto dal piano e del relativo supporto cartografico in cui esso trova riferimento. E questo è forse un ultimo paradosso, quasi un ossimoro: il piano urbanistico della strategia e della prossimità è anche molto tecnico. Capire il Pgt di Milano 2019 – la possibilità di capirlo davvero – passa solo attraverso lo studio attento delle sue norme e dei suoi meccanismi di regolazione.

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Data di pubblicazione: 16 aprile 2023