Devo confessare che ho letto quasi per caso il contributo di Campos Venuti.
Da studente mi ero abbonato ad Urbanistica Informazioni per alcuni anni e seguivo il dibattito tra tecnici. Proprio quando l’INU stava preparando la sua proposta di riforma urbanistica, partecipai in preparazione delle tesi di laurea in architettura alla 3˚ RUN (rassegna urbanistica nazionale) organizzata a Venezia nel 1994.
In quella settimana potei trovare quel livello di discussione critica sui temi propri della nostra disciplina che cercavo e che in università (Politecnico di Milano) non era possibile trovare, salvo pochi volenterosi insegnanti che cercavano di resistere al processo di destrutturazione dell’intervento pubblico (nel senso di collettività) condotto in nome del tabù dell’iniziativa imprenditoriale privata.
Sui mass media, nel dibattito politico spicciolo o meno, l’emergenza del momento era introdurre meccanismi agili per variare a piacimento gli strumenti di pianificazione, vissuti come impicci burocratici di fatto inutili, necessari solo perchè imposti dalla legge.
Da studente iniziai anche a fare volontariato politico in uno dei tanti piccoli comuni italiani. La pianificazione comunale veniva volutamente relegata ad un “affare da tecnici” e solo pochi politici se ne occupavano … per spirito di sacrificio.
Molto difficile far capire ai concittadini che da quelle carte sarebbe passata grande parte della politica locale, anche perchè, come riconosce Campos Venuti parlando delle poche amministrazione che vollero volontariamente andare oltre le prescrizioni legislative che a partire dalla legge del ’42 sono state confezionate, vi erano gli spazi per attuare l’importante compito di pianificazione e programmazione dell’ente pubblico non solo in campo edilizio.
Pultroppo ieri come oggi, parlo della terra lombarda, i piani sono rimasti ancora dei piani di fabbricazione. Punto e basta. Sono dei piani di fabbricazione mascherati.
I tecnici servono solo per questo, mascherare e giustificare scelte fatte a priori.
Queste amare considerazioni mi allontanarano dalla discussione disciplinare per affrontare il tema più da un punto di vista politico lavorando dal basso: creare consapevolezza sulla necessità della pianificazione, sui contenuti da proporre, sulla necessità di partecipazione, del confronto, della trasparenza. Temi posti nel 1994 anche nella rassegna citata di Venezia.
Senza la giusta consapevolezza non ci sarebbe mai stata ne una riforma del settore, ne tanto meno una corretta applicazione della legge.
Quando Campos Venuti afferma che l’urbanistica non interessa più nessuno, direi che da molto tempo, forse nella maggior parte dei casi, non è mai interessata a nessuno, nel senso che in Italia non si crede nella necessità della pianificazione.
Questo è nei fatti: piani scritti e mai applicati o stravolti il giorno dopo, piani che rimangono in gestazione per anni, strumenti mai venuti alla luce perchè “non si doveva”. Preferiamo avere le mani libere: di chiedere e di dispensare.
Questa è una sconfitta politica prima ancora che disciplinare.
Potremmo dire se mai che troppi tecnici si sono piegati ad un mondo e ad modo di fare da cui avrebbero dovuto prendere le distanze con fermezza.
Mi permetto di proporre altre tre sollecitazioni.
Il problema della qualità dei processi di pianificazione.
Come possiamo difenderci da strumenti di pianificazione che rispondono solo formalmente, spesso al limite, alle prescrizioni di legge?
Non sono forse gli obiettivi, le finalità delle stesse che dovrebbero essere perseguite e non tanto il rispetto di alcuni passaggi formali?
La legge regionale lombarda dal 2005 pone degli obiettivi molto importanti, la sostenibilità ambientale tra gli altri. Per attuare questi obiettivi sono stati previsti processi di pianificazione con livelli d’attenzione maggiore rispetto la legislazione precedente, si pensi alla VAS.
Non esiste però alcuna possibilità di contestare la qualità di quanto viene fatto.
Alcuni esempi spiccioli. In un PGT di un comune di zona, redatto da un noto studio, ho verificato la predisposizione di cartografie di analisi palesamente “addomesticate” alle previsioni di piano assunte a priori.
In un’altro ho assistito a questo incredibile ragionamento: un’area agricola non coltivata è da considerarsi area degradata, permettere la sua edificazione per realizzare villete lo strumento di recupero potendo imporre la manutenzione del verde tramite convenzione. Non è uno scherzo … è agli atti.
La norma è assumere decisioni e poi inquadrarle e giustificarle in un piano, porre delle finalità e dei principi di fondo per poi contraddirli nelle scelte finali.
Si assiste a VAS in cui l’enorme quantità di dati preliminari, spesso vecchi e di seconda mano, sono fini a se stessi, ove la valutazione ambientale e strategica del piano si riduce a generiche considerazioni, senza svolgere la necessaria ricerca e verifica delle alternative nella soluzione dei problemi individuati, ecc.
In tema di VAS basterebbe leggere la fonte della normativa, la Direttiva Europea, e i manuali esplicativi della stessa per capire il divario tra teoria e prassi.
Insomma, siamo specialisti nell’aggirare le norme, nel piegarle agli interessi di turno.
Come mettere un freno a tutto questo?
Il Consumo di Suolo.
Parliamo di consumo di suolo, finalmente riconosciuto come emergenza nonostante da molti anni se ne parli con forza.
Se ne parla però come se il problema sia a venire, come se si dovesse solo fare prevenzione.
Il dramma è che il limite, se un limite vogliamo immaginare, lo abbiamo già superato.
Se non vogliamo immaginarlo e fissarlo con precisione, vuol dire che siamo in cattiva fede, perchè la fisicità e le risorse dei nostri territori e determinata, non espandibile come una tela elastica.
Di fronte a questo dato di fatto come facciamo a rincorrere riforme legislative che puntino tutto sulla perequazione o sulla compensazione?
Queste erano politiche necessarie nella fase espansiva del nostro sistema territoriale. Non stupisce che ai tempi non se ne fece nulla. Non dimentichiamoci le sorti della proposta di legge di riforma urbanistica, e dell’onorevole Fiorentino Sullo che la fece, nel lontano ’63.
Gli anni che seguirono, fino ad oggi, furono lo scempio del nostro territorio.
Dobbiamo dichiarare chiusa la fase espansiva. Dirlo con chiarezza, senza equivoci.
La necessità oggi è la riqualificazione, in molti casi la ristrutturazione urbanistica. Demolire e, se necessario, ricostruire. Solo così si può portare qualità ove manca (spazi verdi, servizi, ecc, ecc). Il tutto senza generare fratture sociali.
Il grosso problema diventa quindi il frazionamento della proprietà, l’attaccamento ad essa di noi italiani, della carenza delle risorse economiche e di un sistema normativo pensato per costruire nuove città, non per trasformarle radicalmente.
Ora il compito è veramente arduo, i margini di manovra concreti sono molto risicati.
Le aree dismesse non sono sufficienti per rinnovare i nostri territori sformati da capannoni costruiti a caso, da quartieri insignificanti e senza servizi, da una connurbazione che ha distrutto le identità dei nostri luoghi.
L’ attività edilizia non deve essere concepita al solo fine di essere fonte di occupazione
Questo è un altro tabù da demolire.
Dobbiamo ricondurre l’attività edilizia alle sue funzioni di servizio per l’attuazione di progetti, come risposta a necessità e non come un’entità autonoma di puro interesse produttivo e occupazionale.
Siamo di fronte ad un sistema sovradimensionato che a prescindere dalle necessità reali del paese chiede in continuazione di poter divorare territorio e risorse per continuare a macinare profitti e … garantire occupazione.
Anche se doloroso si deve ribaltare il rapporto riportandolo a quello di servizio alle esigenze del fare.
Forse tutto questo è un sogno (o un incubo) di mezza estate, ma sono convinto che abbiamo bisogno di un forte ripensamento di molti aspetti del nostro fare quotidiano, come comunità, a partire dalla pianificazione a cui riconosco un ruolo fondamentale, e alla base di questo ripensamento stanno ancora i valori che hanno animato l’agire di persone come Compos Venuti, valori che non sono per nulla superati.
E’ la massa che ha sbagliato strada, non i pochi che indicavano la via giusta.