Sono già alcuni mesi che il nostro Paese ha ingaggiato una drammatica lotta contro il tempo, che è destinata a cambiare in profondità il funzionamento delle istituzioni, gli assetti socio-economici e territoriali e, non ultimo, il ruolo e il prestigio della disciplina urbanistica.
Già a partire dalla presentazione delle prime bozze del Recovery Plan era apparso infatti evidente che il successo di questo ambizioso disegno di rinascita del nostro Paese dipendeva in larga misura dalla capacità di rimuovere quei vincoli strutturali che avevano finora rallentato la sua crescita.
Nel caso del governo del territorio tali ostacoli riguardavano soprattutto l’incapacità di conseguire un sostanziale equilibrio tra la dimensione spaziale e quella temporale della pianificazione. E laddove la prima ha finito per prevalere sulla seconda, ne è conseguita in molti casi una sostanziale incomprensione delle dinamiche urbane, e di conseguenza la tendenza a rinunciare ad una riflessione sul futuro che avrebbe potuto indirizzare le politiche di lungo periodo.
Per effetto di questa abitudine a trascurare gli elementi di prospettiva, si è prodotta quella sorta di “fermo immagine” che ha sovente rispecchiato l’incapacità di adottare un approccio autenticamente riformista nei confronti della società, dell’ambiente, della città e della stessa economia di mercato. Il lungo periodo di stagnazione che ne è derivato – e che altrove ho già definito un interregno nel quale, secondo Gramsci, “il vecchio muore e il nuovo non può nascere” – ha dunque prodotto una accentuazione del gap tra l’Italia e i Paesi di punta dell’Europa. Ed ora che le condizionalità che tutti nell’Unione dovremo rispettare (almeno se vogliamo accedere ai fondi del Pnrr) ci impongono di ripartire senza esitazione, è molto probabile che i nuovi criteri imposti da Bruxelles ci costringeranno a cambiare le regole della governance e gli obiettivi del progetto urbanistico alle diverse scale.
Il nuovo punto di vista che saremo costretti ad adottare evidenzia peraltro profonde alterazioni nel frame metodologico al cui interno dovremo collocare le diverse alternative di intervento. In particolare, l’accelerazione dei processi decisionali che costituisce la più evidente innovazione di quest’ultimo periodo costringerà la cultura della pianificazione a sostenere una sfida particolarmente impegnativa, che prevede la necessità di rispondere in modo appropriato e convincente ad una domanda generalizzata e pressante di riduzione degli elementi di problematicità che sono presenti nell’iter procedurale cui è necessario sottoporre ogni nuovo strumento di pianificazione.
è abbastanza evidente che la disciplina urbanistica non si presenta a questa scadenza con le carte in regola. Dopo aver confidato nella disattenzione delle istituzioni, che non volendo impegnarsi in una riforma complessiva del governo del territorio hanno tollerato che le pratiche urbanistiche smarrissero progressivamente la propria efficacia, la cultura della pianificazione è oggi costretta a contrastare una richiesta diffusa di iniziative estemporanee e poco meditate di riduzione degli elementi di complessità tanto alla scala nazionale, quanto a quella regionale. Con l’effetto – è necessario esserne consapevoli – di mettere a repentaglio alcuni fondamentali strumenti di tutela dell’ambiente, del territorio e della stessa concorrenza tra le imprese che operano nel settore della trasformazione urbana e delle infrastrutture.
è difficile dubitare che una siffatta semplificazione dei processi decisionali e attuativi finirà per tradursi in una artificiosa compressione del livello di complessità che la committenza pubblica e privata è in grado di accettare. E che questa banalizzazione del progetto della trasformazione non potrà fare a meno di rappresentare un insostenibile fattore di contraddizione a fronte della ricchezza e della articolazione dei sistemi insediativi con cui le amministrazioni locali e gli urbanisti sono chiamati a misurarsi.
Ne consegue pertanto che, se si intende contrastare questa pericolosa deriva, sarà necessario puntare sul rafforzamento dei processi cognitivi, con iniziative che mirano al tempo stesso al potenziamento del capitale umano, al miglioramento della capacità di gestire stock crescenti di informazioni in tempo reale e ad una relativa standardizzazione dei contesti interpretativi e decisionali. Le risorse investite in conoscenza consentiranno in questo modo di alimentare la elaborazione di scenari (tendenziali, alternativi, ecc.), di ricorrere agli strumenti dell’Urban Intelligence per sostenere i processi partecipativi e di guidare l’elaborazione di previsioni di lungo periodo.
Nel tentativo di contribuire a questa riflessione critica in un modo più propositivo, l’Istituto Nazionale di Urbanistica ha recentemente organizzato un convegno internazionale dal titolo “Il ruolo del territorio e della pubblica amministrazione nella attuazione del Pnrr”, nel quale l’illustrazione dell’esperienza francese delle Agences d’Urbanisme ha consentito di considerare la possibilità che anche in Italia strutture di questo tipo possano fornire servizi di pianificazione di elevata qualità tecnica a supporto delle amministrazioni locali, soprattutto quando queste ultime, anche a causa di una insufficiente dimensione, non dispongono di uffici tecnici in grado di curare l’aggiornamento della strumentazione urbanistica vigente.
Ma questa iniziativa non può essere certamente sufficiente, e l’INU nelle prossime settimane proverà ad approfondire due ulteriori questioni, che mirano rispettivamente a una riforma delle procedure autorizzative e di controllo nel governo del territorio, e a un bilanciamento del rapporto tra temporaneità e continuità negli strumenti di pianificazione a carattere strategico.
Quanto al primo caso è legittimo pensare alla introduzione di norme atte a favorire il ricorso al riuso temporaneo, alla agevolazione degli interventi di rigenerazione urbana e di recupero degli immobili dismessi mediante la riduzione, o addirittura la completa esenzione, del contributo di costruzione. Senza dubbio più complesso appare invece il secondo obiettivo, tanto che sembra convincente una azione a due fasi che cerchi di preparare il terreno ad un rinnovamento radicale delle politiche di sviluppo e di governo del territorio, eventualmente da affidare ad una nuova legge di principi, ma che proponga nell’immediato di adottare dispositivi innovativi anche temporanei, che siano capaci di dettare regole rigorose, agili e performanti dal punto di vista della qualità urbana e del paesaggio. In questo modo è possibile auspicare il coinvolgimento di nuovi attori non più riconducibili a quelli tradizionali, con i quali sperimentare procedure innovative di progettazione e di gestione dei territori sensibili e degli spazi di uso collettivo.