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Città nel Covid-19: alcune prospettive

La crisi del Covid-19 ha avuto un impatto significativo sulla vita e sulle prospettive di milioni di persone. I commenti nella stampa si dividono equamente tra il timore dell’apocalisse e la negazione del problema. La rassegna di studi scientifici offre invece alcuni suggerimenti più pertinenti (Feem 2020): alcuni cambiamenti saranno permanenti, ma non tutti e forse non i più auspicabili; le città sono la risposta e non il problema, nonostante l’ulteriore vulnerabilità alle quali la crisi le ha esposte; il ritorno alla normalità sarà graduale, la pandemia potrebbe tornare nei prossimi due o tre anni (l’Ocse 2020 invita a pensare non il dopo, ma il durante). Gli esperti insomma invitano alla prudenza: né il dirigismo né la liberalizzazione sono inevitabili, ma la crisi non innesca neanche una transizione virtuosa dal consumismo alla frugalità.

Un nuovo assetto geopolitico

A livello generale, gli scambi, i flussi internazionali, il turismo, sono destinati a ridursi, anche a causa della crescente (ma già registrata) tensione delle relazioni internazionali, in particolare tra Stati Uniti e Cina. Una nuova geografia del mondo si sta delineando: a partire dagli eccessi della globalizzazione, ci si domanda se il processo di globalizzazione sia davvero inarrestabile.

Evidentemente il Covid ha rappresentato un brusco atterraggio, e la domanda resta aperta: si tratta di una battuta d’arresto o, al contrario, si assisterà a un’inversione di tendenza che potrebbe decretare la fine del mondo globale così come lo abbiamo conosciuto? Alcune risposte sono chiare: il mondo si fa più ‘regionale’ (Feem 2020). Le catene di produzione saranno più brevi, il turismo riscoprirà i luoghi vicini e le città assumeranno un maggior ruolo di coordinamento.

Se le perdite del Pil sono stimate intorno al 10 % (Ocse 2020), le città subiranno flessioni molto più rilevanti, registrando circa il 5% di occupati in meno. Per quanto sembri banale ricordarlo, è più resiliente una struttura economica differenziata di una mono settoriale (l’Ocse porta ad esempio negativo le città minerarie in Polonia). L’aspetto è importante se si considera che di solito le città sviluppano accanto al terziario direzionale, settori come la ristorazione e lo spettacolo, proprio i più colpiti dal Covid-19.

I settori ‘urbani’, legati alla popolazione mobile (pendolari, visitatori...) saranno più colpiti. In città turistiche, Firenze e Parigi per esempio, la cultura, lo spettacolo, l’ospitalità, ma anche il commercio e i servizi personali, perderanno fino al 40% dei posti di lavoro.

Fuga in campagna?

La città sembra invece rappresentare il colpevole ideale per autorevoli archistar (tra cui Boeri, Koolhaas, Fuksas) che hanno elogiato il ritorno alla campagna, reso peraltro possibile dalle nuove connessioni telematiche.

Al di là del brusco cambiamento di atteggiamento, poco comprensibile visto che le tecnologie e le condizioni erano disponibili già da molto tempo, gli studi odierni non convalidano questa posizione. Le statistiche sulla prima ondata (Hamidi et al. 2020) mostrano che le agglomerazioni non sono necessariamente maggiormente aggredite dalla pandemia (con la notevole eccezione di Madrid in Europa) e che molto dipende dalla capacità di informazione, controllo e risposta (come dimostrano a titolo diverso Singapore, Seul o il Kerala).

Al massimo, la densità è correlata alla presenza di un maggior numero di focolai (Carozzi et al. 2020), ma non necessariamente al radicamento e alla radicalizzazione del contagio. Nature, l’Ocse e numerose indagini geografiche, nonché le rassegne della letteratura, escludono un legame diretto tra densità e contagio, e indicano in modo più fine una relazione con affollamento, povertà e congestione dei mezzi di trasporto (anche privati). Insomma, esistono densità diverse per ricchi e poveri, per stanziali e mobili. L’attacco alla metropoli è dunque influenzato da generalizzazioni rischiose e conclusioni affrettate.

Disuguaglianze crescenti

I gruppi sociali ed economici più fragili e marginali sono colpiti in modo certamente più rilevante. Soprattutto il lavoro informale è pesantemente colpito. Anche la distanza fisica non è possibile negli slum del Sud del mondo come nei quartieri popolari del Nord, spesso abitati da famiglie numerose in case sovraffollate.

Le rassegne internazionali mostrano l’importanza delle vecchie così come delle nuove disuguaglianze, come di quelle territoriali. Il rischio pendente di confinamento renderà più attraenti i sobborghi, e va incontro alla tendenza alla dispersione urbana ben radicata e storicamente sostenuta da importanti investimenti pubblici (autostrade e circonvallazioni urbane, per esempio). Invece, le città dense hanno saputo reagire in modo rapido e flessibile, per esempio con nuove corsie per le bici (ma ricevono meno investimenti).

La somma di vantaggi e svantaggi di centro e periferia non dà un risultato univoco e gli esperti non temono l’abbandono dei centri urbani da parte delle famiglie o delle imprese, così come non prevedono significativi cambiamenti sull’utilizzo delle auto (almeno fino all’introduzione dei veicoli a guida automatica), soprattutto per quanto riguarda il pendolarismo da e verso la periferia. Insomma, il Covid-19 avrà un impatto, ma il destino di ogni città resta inevitabilmente modellato da disuguaglianze, shock bellici, sanitari o climatici, insomma dagli eventi che già le hanno caratterizzante in passato.

Il digitale “aumenta” la città

La principale preoccupazione per la vita delle città è naturalmente rappresentata dalla riduzione di eventi pubblici e dall’aumento dell’interazione sociale su Internet. Ne approfitteranno le città più ricche che aumenteranno più facilmente le attività on line.

Il fallimento, per ora, delle app e del tracing in Europa (altrove è andata meglio) è significativo, e accentua i dubbi su tutti i sistemi elettronici di controllo, che sembrano funzionare solo se fortemente repressivi. Viceversa, app e reti sociali sono state utilizzati in modo innovativo da iniziative di solidarietà cittadine, alcune totalmente informali ed altre promosse da associazioni di volontariato (a Johannesburg, Londra, Roma). Il suggerimento (non nuovo) è di combinare la smart city (che non è tanto smart) con l’interazione sociale (che non è per niente dumb). La tendenza di lungo periodo, che la pandemia sta accelerando, è l’integrazione tra la l’infrastruttura digitale e l’organizzazione degli spazi. Gli alloggi diventano posti di lavoro grazie a internet, la logistica e la distribuzione commerciale diventano più complesse, i luoghi pubblici saranno più controllati da sensori. Si tratta di evoluzioni incerte e ancora contradditorie, ma le città potrebbero diventare le responsabili di una nuova «alleanza» tra territorio e reti.

Governance multiscalare

D’altra parte, questa crisi ha messo in evidenza l’incapacità degli stati di prevedere, nonostante dispongano dei mezzi e delle risorse; ma anche la debolezza delle città nel prevenire, per mancanza di strumenti. Gli stati controllano le frontiere e le tasse, le città mobilitano le conoscenze locali, elaborando strategie sempre più ambiziose.

Spesso i governi delle città hanno dovuto oltrepassare ruoli e responsabilità per rispondere alle esigenze sociali; e lo hanno fatto con risorse chiaramente insufficienti (umane, materiali, tecnologiche e finanziarie) - in molti casi beneficiando di forti dosi di impegno, di creatività e capacità innovative.

Paesi più decentralizzati hanno avuto una maggiore capacità di coordinare le risposte specifiche al contesto: Berlino, Buenos Aires, Vienna e Zurigo mostrano che la cooperazione tra divere sfere di governo è fondamentale. Invece «in paesi dove la leadership è offuscata dal negazionismo, come gli Stati Uniti, il Brasile e l’India, la decentralizzazione ha agito come un firewall» (De Losada 2020). In generale, la governance decentrata ha bisogno di più chiarezza sulle rispettive competenze, di risorse adeguate e dialogo multilivello.

I limiti del nostro sistema di governance, ed in particolare di questa crisi sanitaria, suggeriscono la necessità di ripensare le istituzioni di prevenzione: le opinioni divergono, alcuni aspetti del sistema sanitario sono meglio gestiti a livello nazionale ma alcuni sistemi decentrati hanno dato buona prova (Veneto, Germania). Le comunità locali dovrebbero tenerne conto e intraprendere il necessario processo di adattamento. In controtendenza rispetto a queste riflessioni, riprende il braccio di ferro tra stati e città che già era apparso durante la recente fase di globalizzazione.

Una nuova pianificazione?

Un compito della pianificazione fisica (Baganz 2020) sarà prevenire sia l’affollamento che l’isolamento. Per esempio, l’affollamento nei trasporti pubblici in tempi di pandemia va affrontato cambiando la ripartizione modale tra tipi di trasporto (più piste ciclabili, per esempio). La riduzione degli spostamenti è un’altra opzione permessa dal trasferimento del posto di lavoro dentro o in prossimità dell’alloggio. In questo caso, però, va affrontato il problema del crescente isolamento, ridisegnando lo spazio pubblico. Questa appare a molti una grande opportunità, che permetterà di organizzare lo spazio aperto lungo i corridoi di mobilità e le reti ambientali.

Il messaggio conclusivo è che l’abbandono o la rinascita della città non sono scenari garantiti: dipendono dalle scelte politiche che verranno fatte nei prossimi tempi e da come questi si tradurranno in strumenti realizzabili e attenti alle specificità locali.

Riferimenti

- Baganz, G., Baganz, D., Kloas, W., Lohrberg, F. (2020) Urban Planning and Corona Spaces – Scales, Walls and COVID-19 Coincidences, REAL CORP 2020, 15-18 Sept.
- Carozzi F. (2020) Urban Density and Covid-19, IZA Discussion Paper No. 13440, 7 Jul.
- De Losada A. F. (2020) Cities on the Frontline: Managing the Coronavirus Crisis, CIDOB REPORT Barcelona.
- FEEM-Fondazione Eni Enrico Mattei (2020) Which Future for Cities after COVID-19. An International Survey, Milano, Sept.
- Hamidi, S., Sabouri, S., Ewing, R. (2020). Does density aggravate the COVID-19 pandemic? Early findings and lessons for planners. Journal of the American Planning Association, 1-15.
- Sharifi, A., & Khavarian-Garmsir, A. R. (2020). The COVID-19 pandemic: Impacts on cities and major lessons for urban planning, design, and management. Science of The Total Environment, 142391.

Data di pubblicazione: 5 giugno 2021