Urbanistica INFORMAZIONI

Verso un nuovo progetto urbanistico per Torino

A partire da Torino, Urbanistica Informazioni avvia un ciclo di dialoghi con gli amministratori dei capoluoghi metropolitani per comprendere quali prospettive si aprano per il governo di città caratterizzate da una vasta complessità di tematiche, anche in vista della nuova stagione della programmazione europea (Next generation EU), delle potenzialità offerte dal PNRR e soprattutto in relazione alla macrotematica della sostenibilità che racchiude molteplici questioni specifiche tra cui quelle che attengono a rigenerazione urbana, mobilità e trasporti, contenimento del consumo di suolo, transizione energetica. Dialogando con l’Assessore Paolo Mazzoleni, abbiamo affrontato tre principali nodi cruciali rispetto ai quali abbiamo sollecitato la sua riflessione e l’illustrazione dei principali intendimenti di governo del territorio per Torino. Essi riguardano:

- la legacy del Prg vigente, uno strumento di pianificazione paradigmatico di una passata generazione dell’urbanistica italiana e che mostra, oggi, punti di forza e di debolezza che chiedono di essere interpretati in senso innovativo;
- i caratteri del nuovo piano urbanistico di Torino, in riferimento a natura, forma e contenuti e a partire dalla consapevolezza delle sfide imposte dalle multiple e concomitanti crisi globali dei mercati finanziari, dei cambiamenti climatici, delle fragilità socio-sanitarie;
- il ruolo dell’attore pubblico e privato per la rigenerazione urbana, la costruzione della città pubblica ed il rilancio di Torino e del suo territorio.(CG)

Torino oggi

Torino si trova in una condizione non rara nei cicli pianificatori delle grandi città, ma nondimeno di non facile gestione. Il Piano regolatore generale vigente – progettato da Augusto Cagnardi, Pierluigi Cerri e Vittorio Gregotti a partire dal 1986 e approvato nel 1995 – è un piano eccellente che ha traghettato la città oltre il paradigma fordista sul quale si era costruita fino agli anni ’80. Se si misurano gli esiti spaziali prodotti, è forse il piano migliore della sua generazione: Torino è oggi una città ordinata nella sua spazialità e coerente nel modo in cui garantisce una qualità urbana tanto negli ambiti storici quanto in quelli più recenti. In termini di tecnica urbanistica il piano ha inoltre contribuito a formare una struttura tecnica interna alla Città di grandissima qualità, capace anche di far fronte alla scarsità di risorse umane che caratterizza gli enti locali in questo frangente. Oggi però la concezione di fondo di questo strumento risulta del tutto inattuale: le esigenze di governo della città contemporanea, prodotto di molti cambiamenti e di tre crisi capitali succedutesi nell’ultimo decennio, e delle sue dinamiche trasformative paiono sostanzialmente incompatibili con l’approccio metodologico del piano stesso.

Anche per evitare che questa discrasia diventasse causa di degrado del tessuto urbano, negli anni passati si è fatto ricorso con una certa frequenza a varianti parziali del Prg e, soprattutto, allo strumento del permesso di costruire in deroga. In questa logica, già nel febbraio 2013 il Consiglio Comunale approvava una delibera di indirizzi e criteri per l’istruttoria e l’approvazione di questa fattispecie di permessi, delibera che ha permesso di operare in questi anni con ragionevole linearità e nel pieno interesse della Città. Sebbene questi siano strumenti indispensabile di contrasto al degrado e di promozione della riqualificazione, ogni tentativo di governo restituisce l’immagine di una città fragile, dove da almeno un decennio le trasformazioni di una qualche rilevanza sono inevitabilmente affrontate al di fuori di grandi strategie condivise. Questa modalità preclude infatti una forma organizzata di pianificazione della città, passando di fatto dalla grande accuratezza del Prg del 1995 a una sua sostanziale deregolazione. Operativamente, questo aspetto gioca inoltre un ruolo primario nel carico di lavoro che l’amministrazione si assume, dal momento che l’istruttoria di una trasformazione in variante o in deroga è un’impresa impegnativa e per di più senza riferimenti di carattere politico o strategico. Concretamente, rispetto agli esiti prodotti, procedere per varianti delega completamente la definizione della forma della città al processo negoziale con il privato. A trentacinque anni dall’inizio dei lavori, le limitazioni operative e strategiche di questo approccio ne impongono una radicale revisione.

Governare la città caso per caso vuol dire di fatto ridefinire ogni volta un campo operativo: è chiaro come l’unica vera soluzione a questa anomalia non possa che essere il completamento della procedura di radicale revisione del piano, affinché le regole di trasformazione convergano nuovamente sulle esigenze e sulle strategie di uno sviluppo di lungo respiro.

Un nuovo Prg

Da una prospettiva culturale, oltre che tecnica, Torino ha dunque bisogno di un nuovo piano che possa dilatare il proprio quadro operativo in un tempo più lungo e su più fronti disciplinari. Un piano al quale agganciare una ripartenza, della quale oggi si intravedono tutte le condizioni, a partire anche da un investimento pubblico straordinario.

Una visione di cui è urgente dotarsi, costruita individuando coordinate culturali e tecniche chiare per occuparsi di tutti i livelli di pianificazione, da quella territoriale e strategica a quella più puntuale. In luogo della monoliticità che contraddistingue il piano in vigore, il nuovo piano dovrà contemplare la coesistenza di vettori a velocità molto diverse: la trasformazione fisica, le infrastrutture, gli orientamenti legati alla sostenibilità ambientale, all’impatto sociale, la resilienza. La conferma dei fondi stanziati dal MIMS per la linea 2 della metropolitana di Torino, ha reso plastico come i cambiamenti che investono le città avvengono a velocità e tempi diversi, spesso non direttamente controllabili ma pianificabili se inquadrati nella giusta prospettiva temporale. È in primo luogo il tempo polifasico delle trasformazioni a rendere necessaria una riscrittura delle politiche e della loro ricaduta sul territorio, in un sistema di strati che consenta di operare secondo i vincoli di libertà e i tempi di maturazione di ognuno di essi. In secondo luogo, un piano transdisciplinare è oggi indispensabile per il modo in cui sono accelerate le competenze e i requisiti in gioco. Pensiamo al dibattito che interessa la resilienza o i caratteri idrogeologici delle città, o le questioni che intercettano la mobilità urbana e l’evoluzione del sistema dei trasporti: aspetti di complessità sempre maggiore che forzano un ripensamento delle strategie con le quali sono affrontati. In ultimo, vi è un tema di flessibilità, ineludibile per la densità e la fluidità delle reti che a vari livelli attraversano la città. Se declinata anche su una maggiore adattività degli strumenti tecnici, abbandonando una concezione dirigista ed espansiva, una certa elasticità del piano è centrale per confrontarsi con modificazioni rapide, senza cedere alla deroga e proteggendo gli obiettivi generali dalle contingenze che inevitabilmente si presenteranno.

Il nuovo piano dovrà poi saper interpretare il ruolo di Torino nel territorio europeo, una dimensione imprescindibile che va circoscritta assumendo strategie precise collocate su un impianto metodologico di base adeguato a governare tanto la risistemazione puntuale di alcuni luoghi quanto la ridefinizione delle reti che la città intesse in un ambito geografico molto più vasto.

Per governare le trasformazioni della città contemporanea servono strumenti complessi e scalari, con invariati solide e meccanismi e norme di attuazione flessibili, accompagnati da governance strutturate e adattive. Il lavoro della Giunta è iniziato da pochi mesi, e la metodologia che stiamo adottando è quella di depositare le diverse strategie che riteniamo cruciali in un Documento di indirizzo: uno strumento di grande valore politico, che individua i principali indirizzi di modificazione della città, riconoscendo nuovi principi di trasformazione con uno sguardo trans-disciplinare. Questo ci consente di orientare anche il lavoro sul nuovo piano, di costruire una mappa capace di guidare le mosse dei prossimi anni. L’ambizione è di produrre uno strumento chiaro, semplice, leggero, approvato dalla politica in modo da affrontare in modo più veloce gli interventi in deroga o in variante che inevitabilmente si presenteranno e che andranno valutati all’interno di un telaio pubblico e condiviso. Idealmente, il nuovo piano sarà basato sugli stessi principi e le trasformazioni avvenute sfruttando questo strumento intermedio collimeranno. Questo senza dimenticare il tema dell’attuazione ordinaria e delle sue regole, o della pianificazione esecutiva con i successivi titoli, ovvero quel processo che dalla pianificazione generale arriva gradualmente fino alla definizione dei singoli interventi: è in questo campo operativo che spesso si determina la forma della città e altrettanto spesso è lì che si riesce o si fallisce nel proposito di accompagnare le trasformazioni, incentivando quelle più positive. La sensazione è che a Torino oggi vi siano le condizioni per conseguire un esito importante grazie ad uno sforzo collettivo, sia istituzionale che di comunità locale.

La pianificazione locale nel quadro nazionale

Il PNRR e i molti altri finanziamenti in arrivo sono una straordinaria occasione ma anche una grande responsabilità. Le città dovranno in-

vestire queste risorse in maniera ponderata e strategica, su progetti capaci di generare benessere per i cittadini e dinamiche economiche positive per l’intero sistema. Per le tempistiche che il governo si è prefissato, non è un compito semplice e il suo perseguimento richiede un raccordo accurato tra gli investimenti pubblici, le strategie di sviluppo e rigenerazione, la pianificazione.

Grazie a questi fondi, nei prossimi anni potremo assistere a un salto qualitativo considerevole per molte infrastrutture, da quelle della mobilità – soprattutto pubblica e su ferro – all’edilizia scolastica (assai bisognosa di investimenti), alla salute (soprattutto territoriale e di prossimità), alla cultura, ai sistemi ecologici e paesaggistici, allo spazio pubblico. È dovere di chi amministra fare in modo che questi avanzamenti generino circoli virtuosi di sviluppo nelle aree interessate dagli interventi, massimizzando l’entità e l’ampiezza della loro ricaduta.

I finanziamenti legati ai bonus edilizi negli ultimi due anni hanno peraltro già evidenziato l’urgenza di una regolamentazione consapevole. Se da una parte i bonus sono un investimento per un aggiornamento importante dello stock edilizio del nostro paese e un incoraggiamento a categorie e settori economici provati dalla crisi, è anche vero che al contempo, oltre alle molte difficoltà operative, il grande limite di queste misure è che rischiano di incidere quasi solo sul patrimonio privato, consolidando (quando non incrementando) le sperequazioni e rendendone difficoltosa una lettura reale. Per queste ragioni, per rigenerare la città, insieme ad un nuovo impulso dell’azione pubblica, sarà necessario costruire una cooperazione tra pubblico e privato che si fondi in primo luogo su una visione strategica, entro una convergenza della guida pubblica e del potenziale privato su obiettivi comuni. La sinergia che è da tempo al centro delle sperimentazioni più avanzate per la rigenerazione delle città. Oggi, grazie anche alla svolta espansiva del Governo e dell’Unione Europea, le amministrazioni hanno una leva straordinaria per discutere alla pari con i privati ed esercitare una maggiore incisività delle amministrazioni nella pianificazione e nel governo delle trasformazioni.

La grande sfida è dunque collaborare nella costruzione e soprattutto nella gestione della città, mantenendo la centralità della guida pubblica ma sfruttando il potenziale della sinergia con i privati ogni volta (e i casi sono molti) in cui gli obiettivi sono convergenti. Questo può avvenire nelle grandi aree di trasformazione, ma anche in maniera diffusa nella città, ad esempio nello spazio pubblico.

Oggi più che mai abbiamo la possibilità di rifondare un ragionamento sulle città in termini organici e di rete, e di avviare una nuova stagione nella trasformazione dopo quella del riuso delle aree dismesse che ha permesso (e sta permettendo) di restituire importanti porzioni di suolo alla vita urbana, con un ruolo più consapevole e meno ideologico dell’urbanistica. Un ragionamento il cui oggetto siano non soltanto le aree perimetrate quanto piuttosto i sistemi interdipendenti di suolo da riconvertire e possibilmente da rinaturalizzare, il tessuto urbano da rigenerare, le infrastrutture da espandere e rifunzionalizzare. Questo può nuovamente essere un campo di proficua collaborazione tra pubblico e privato: le aree che ad oggi non hanno ancora trovato un destino (a Torino ce ne sono ancora molte) forse devono cercarlo in modo diverso, non replicando il modello di sviluppo per enclave autoriferite ma candidandosi piuttosto a essere elementi di strategie complesse.

Se vogliamo guardare lontano è necessario inquadrare precise strategie tematiche affinché ogni intervento trovi una nuova collocazione nelle dinamiche urbane tenendo in considerazione quelle che avvengono ai livelli istituzionali più alti: va in sostanza modificato il paradigma con il quale Torino ha guardato alle sue trasformazioni negli ultimi anni, centrandolo sulle strategie a lungo termine e sulla capacità di produrre, ove possibile anche rapidamente, una città sana e equa, resiliente e adattiva, competitiva e – in definitiva – bella da vivere.

Data di pubblicazione: 7 marzo 2022