Dopo un prolungato periodo di immobilismo, il confronto tra le istituzioni e le forze politiche più direttamente coinvolte nel governo del territorio sta registrando una improvvisa tendenza al cambiamento e alla messa in discussione dei vincoli che avevano finora ostacolato l’adozione di politiche apertamente riformiste.
Denunciando in molti casi una certa attitudine alla improvvisazione, gli ‘animatori’ del dibattito pubblico stanno declinando con entusiasmo le numerose sfide che dovremo affrontare nei prossimi anni. Le parole d’ordine della transizione ecologica e digitale, della lotta al climate change, del cambio di paradigma nella organizzazione dell’impresa e del lavoro, dell’azione di contrasto nei confronti dell’invecchiamento della popolazione vengono passate in rassegna con la stessa noncuranza con cui si sfogliano i petali di una margherita. In molti casi sembra farsi strada la convinzione che gli obiettivi del cambiamento possano essere conseguiti contemporaneamente, e che non richiedano, come è invece molto probabile, scelte politicamente impegnative e rinunce coraggiose a perseguire quei traguardi che ogni costituency ritiene, al contrario, irrinunciabili.
E molto probabile che questo evidente squilibrio tra la molteplicità e la complessità degli obiettivi che si intende raggiungere da un lato, e l’incapacità delle elites di elaborare approcci e visioni in grado di governare una fase così dinamica e confusa dall’altro, dipenda in larga misura dalla distanza maturata in questi anni dalle stesse classi dirigenti nei confronti dei processi di trasformazione che operavano nella società, nell’economia e nel territorio. Adottando un punto di vista dichiaratamente di parte possiamo sostenere che tale distanza si è ulteriormente accentuata proprio per la rinuncia progressiva ad affidare alla pianificazione il compito di indirizzare il cambiamento, o comunque di sostenere il funzionamento dei sistemi decisionali con una valutazione preventiva delle conseguenze che possono essere assegnate a ciascuna delle soluzioni alternative che di volta in volta sono messe in discussione.
Questa sfiducia nella utilità del piano, e nella possibilità di affidare agli strumenti di regolamentazione dell’uso del territorio una funzione pro-attiva fondamentale nella attuazione delle politiche pubbliche, non è certo una novità, con responsabilità della nostra disciplina che non possono essere certamente sottovalutate. Trincerandosi dietro una comprensibile esigenza di tutelare i diritti di tutti i portatori di interesse, e di mettere in sicurezza la pubblica amministrazione dai rischi legati all’esercizio dei poteri discrezionali di cui gode, gli urbanisti non sono riusciti a impedire che una parte molto rilevante del territorio nazionale venisse penalizzata dall’esistenza di una pianificazione statica, caratterizzata da cicli prolungati e da piani spesso obsoleti. Accade pertanto che nel concreto esercizio del governo del territorio gli eventi trasformativi risultino sovente troppo disarticolati, e che in molti casi si manifesti l’obiettiva difficoltà di prendere atto tempestivamente che alcune scelte urbanistiche sono sbagliate prima ancora che queste ultime abbiano dispiegato fino in fondo i propri effetti.
Soprattutto nella fase che si è aperta con il varo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’accelerazione e lo snellimento delle procedure tecnico-amministrative che presiedono alla realizzazione degli investimenti pubblici e privati sono destinati pertanto a rappresentare un’autentica sfida per il più generale disegno di modernizzazione della pubblica amministrazione su cui si fonda il successo del PNRR. Una sfida che paradossalmente potrebbe essere affrontata anche senza coinvolgere in alcun modo le discipline tecniche che concorrono al governo del territorio, se non altro perché su queste ultime pesa troppo spesso la responsabilità di aver contribuito in passato ad una eccessiva dilatazione dei processi decisionali.
Come ho già avuto modo di osservare in questi mesi, la ‘partita’ che si sta giocando nella fase di avvio del PNRR, e dunque proprio in questo 2022, è destinata a risolvere il dubbio circa l’effettiva partecipazione della disciplina urbanistica all’ambizioso progetto di rinascita del Paese che si sta delineando, e che costituirebbe un fondamentale tassello di quel processo di riforma del governo del territorio a cui l’Inu sta lavorando ormai da molti anni.
Nella prospettiva abbozzata dal XXXI Congresso del nostro Istituto che si svolgerà a Bologna nel prossimo autunno, conviene dunque arricchire il tradizionale ventaglio dei temi del riformismo urbanistico (messa a punto di una nuova forma del piano, aggiornamento dei criteri per il dimensionamento delle dotazioni urbanistiche, contenimento del consumo di suolo, perequazione urbanistica, ecc.) con altre questioni legate più strettamente alla necessità di assicurare un maggiore orientamento al risultato delle politiche di piano. E senza che il ridisegno delle procedure, e il contenimento dei tempi per la gestione degli atti amministrativi, producano, magari involontariamente, il venir meno delle condizioni necessarie ad un ordinato e coerente sviluppo del processo di pianificazione.
Le occasioni per sperimentare questo nuovo terreno di collaborazione, impegnativo e sfidante, tra le istituzioni responsabili della attuazione degli interventi previsti dal PNRR e gli ambienti più direttamente coinvolti nella diffusione delle pratiche urbanistiche certamente non mancano, soprattutto se si vorrà assegnare una maggiore concretezza all’obiettivo del DNSH (Do Not Significant Harm) che è stato posto alla base del Next Generation EU. Se si vuole essere certi che le azioni promosse dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ‘non arrechino nessun danno significativo all’ambiente’ è necessario controllare che il rispetto di tale principio si fondi su una attenta verifica degli effetti, positivi o negativi, che ogni nuovo progetto è destinato a produrre in un determinato territorio, tenendo conto delle relazioni sinergiche che gli strumenti di pianificazione potrebbero attivare.
Nonostante la presenza di un approccio dichiaratamente economicista nella letteratura di settore, è giunto il momento di evidenziare i nuovi compiti che l’attuale congiuntura potrebbe assegnare alla disciplina urbanistica. Quest’ultima sembra infatti destinata a percorrere quella sottile linea di crinale che separa un’area di approfondimento che punta ad aumentare l’efficienza e la velocità delle decisioni e della spesa, da un campo più circoscritto e meno influente – ma assai promettente per chi crede nella efficacia della pianificazione – nel quale si prova viceversa ad assicurare una piena compatibilità tra il perseguimento di tali obiettivi e la ricerca, nei nuovi interventi, di una superiore qualità territoriale e urbana.
Naturalmente il tempo di cui disponiamo per effettuare questa ‘ricognizione’ è pochissimo; il 2022 sarà un anno cruciale per il decollo del PNRR, non solo per la necessità di assicurare all’Italia la concessione di una tranche di finanziamenti di 46 miliardi di euro, ma anche per l’esigenza di dimostrare che il nostro Paese è in grado di operare un’inversione di tendenza rispetto al passato, stabilendo un nuovo patto tra generazioni che a nostro parere dovrà riguardare lo stesso governo del territorio.
Nell’offrire il proprio contributo al raggiungimento di un obiettivo così ambizioso, la nostra disciplina si trova nelle condizioni di fare in modo che il superamento delle situazioni di stallo decisionale, o la semplificazione e la digitalizzazione delle procedure amministrative, possano essere perseguiti con ricadute positive per la qualità del progetto urbanistico. Oltre ad un ampio ricorso ai Programmi integrati d’area per la territorializzazione e la valorizzazione urbanistica delle risorse del PNRR – proposti dal nostro Istituto, e di cui abbiamo già avuto modo di trattare anche su queste pagine – una nuova stagione riformista può trovare importanti punti di riferimento sia nei Progetti di fattibilità tecnica ed economica (Pfte) previsti nelle recenti ‘linee guida’ del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, sia in una applicazione crescente dell’Urban Intelligence al governo del territorio.
In entrambi i casi l’impiego di nuove metodologie di indagine e di valutazione comparativa potrà rivelarsi particolarmente proficuo in vista della gestione dei bandi collegati all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, rendendo possibile non solamente una significativa contrazione dei tempi necessari ad analizzare le alternative di intervento – e a favorire una più ampia e motivata partecipazione degli stakeholders e dei cittadini alla assunzione delle decisioni – ma anche la valorizzazione, in tempo reale, dell’enorme flusso di conoscenze di cui oggi possiamo disporre per la elaborazione degli scenari tendenziali del cambiamento territoriale e urbano che sono finalmente in discussione.
Quanto al Pfte, l’enfasi impressa sulla capacità di orientare la progettazione degli interventi del PNRR in modo tale che le nuove proposte riescano a evidenziare gli elementi qualificativi di sostenibilità che le opere, soprattutto quelle più importanti e complesse, dovrebbero riuscire a produrre. Muovendosi in questa direzione le amministrazioni e i progettisti potrebbero mettere in campo un’inedita capacità di approfondimento e di valutazione dei processi di trasformazione e dei territori che dovranno ospitarli, con una particolare attenzione per gli schemi dell’economia circolare e per i requisiti ambientali che dovranno essere rispettati nell’accesso alle fonti energetiche e nella scelta dei materiali e dei componenti edilizi.
Un ruolo ancor più decisivo potrà essere assunto molto probabil-
mente dall’approdo dell’Urban Intelligence nel governo del territorio. Soprattutto nel caso delle sperimentazioni effettuate in tutto il mondo con la tecnica del ‘gemello digitale’, il valore delle elaborazioni 3d e la capacità di acquisire e gestire enormi quantità di dati quali-quantitativi e digitali anche in crowdsourcing (sul mercato immobiliare, sulla struttura socio-demografica della popolazione residente, sui valori micro-ambientali e sul sistema della mobilità) sembrano destinati a produrre risultati assai promettenti nella simulazione degli effetti che le decisioni urbanistiche potranno innescare in un determinato contesto insediativo ben prima di diventare effettive e irreversibili.
Grazie a queste tecniche di anticipazione la città può esaminare le proposte di trasformazione urbana e i loro effetti su un intero quartiere, o su un’area urbana molto più piccola, per quanto concerne l’estensione del parco alloggi esistente o di progetto, il dimensionamento delle dotazioni urbanistiche e degli spazi per la sosta, mentre il progettista può assumere i dati sulle isole di calore, sull’inquinamento atmosferico o sulla copertura artificiale del suolo per mettere a punto specifiche strategie di rigenerazione urbana. Su questi temi l’Inu ha promosso nel 2020, insieme al CNR, un accordo quadro che prevedeva la messa a punto del progetto “Urban Intelligence”, nella convinzione che nei prossimi anni la diffusione e il potenziamento della pratica urbanistica non potrà avvenire in assenza di un cospicuo investimento nel campo dei processi cognitivi, delle tecnologie digitali e della comunicazione.
Le urgenze imposte dal PNRR, e le opportunità offerte dall’innovazione disciplinare, prefigurano un percorso verso l’apertura di una nuova stagione riformista che sarà sicuramente molto diversa da quelle a cui l’Istituto ha partecipato, sempre come protagonista, nel corso della sua lunga storia. La riforma del governo del territorio a cui pensiamo, e a cui dedicheremo il XXXI Congresso, non potrà concentrare la sua attenzione unicamente sui principi costitutivi di una Legge di principi. Essa dovrà affiancare all’impegno sul fronte normativo – che in passato è stato largamente prevalente – una più marcata attenzione per l’evoluzione dei rapporti esistenti tra la forma del piano e l’implementazione di un ventaglio di politiche alle quali si affida il superamento della crisi pandemica, la rinascita del Paese e l’attuazione del PNRR. Si tratta in altri termini di politiche che puntano ad una pluralità di obiettivi di notevole rilevanza, tra i quali si segnala il contenimento del consumo di suolo, il dispiegamento di processi diffusi di rigenerazione urbana, il superamento delle grandi disparità sociali, territoriali ed urbane, la messa in sicurezza dei territori fragili e l’acquisizione di strumenti riconosciuti e certificati di conoscenza, da impiegare per la legittimazione e un più corretto orientamento delle scelte di piano.