La conoscenza è un concetto complesso e stratificato, che va ben oltre la semplice accumulazione di informazioni. Essa rappresenta l’insieme dei saperi acquisiti attraverso l’istruzione e la formazione, la ricerca e l’innovazione, intriso di valori comuni e condivisi da una comunità. Questo patrimonio collettivo non solo arricchisce culturalmente una società, ma ne determina anche il progresso e lo sviluppo (Maglio 2021). I soggetti che gestiscono la conoscenza, ossia coloro che ne curano la creazione, l’accrescimento, il trasferimento, la diffusione, la conservazione e l’innovazione, formano un sistema intrinsecamente complesso. Questo sistema è composto da una varietà di strutture e attori che devono operare in modo coordinato e sinergico, creando reti e connessioni. In tale contesto, la distribuzione omogenea della conoscenza tra i territori e le popolazioni è essenziale per migliorare la qualità della vita. Come già ammoniva Karl Popper (1959) “La conoscenza è potere” ed è proprio per tale ragione che la creazione, l’acquisizione, la gestione della conoscenza e la sua condivisione sono riconosciute come condizioni strategiche per uno sviluppo equo e inclusivo.
Tuttavia, da diverso tempo si assiste, in Italia in particolare, a uno sbilanciamento degli incentivi e dell’attenzione degli attori politico-istituzionali verso l’economia e l’innovazione tecnologica, tendenzialmente a discapito degli altri due vertici del ‘triangolo della conoscenza’ ovvero ricerca e formazione. Questa tendenza rischia di compromettere l’intero ecosistema della conoscenza inteso quale sistema complesso e dinamico composto da diversi attori e strutture che collaborano per creare, diffondere e conservare la conoscenza. Questo sistema include università, istituti e agenzie di ricerca, aziende, governi, enti territoriali, organizzazioni non governative e individui, tutti interconnessi attraverso diverse tipologie di reti di relazione e collaborazione fra soggetti il cui unico legame è dato dal vantaggio competitivo dello stare ‘nella rete’. [1] Non sfugge infatti che “il successo delle organizzazioni dipende dalle persone, e il successo delle persone dipende dalla formazione e dall’educazione” (Mintzberg 2004).
È dunque evidente che i territori e i relativi soggetti e network rivestono un ruolo determinante nella gestione della conoscenza: un territorio ben integrato nella rete della conoscenza può fungere da catalizzatore per il progresso sociale ed economico. In tal senso si inserisce la capacità del sistema universitario di produrre ’effetto città’, non solo inteso nel senso della ridefinizione fisica attraverso il riuso rigenerativo di aree dismesse, ma più in generale nel campo dell’economia urbana e della competitività, come argomentato negli studi condotti relativamente a territori altamente competitivi. [2]
Nel solco di una tradizione che trova solide radici anche nelle attività condotte dalla Fondazione Adriano Olivetti, in anni recente si sta diffondendo un nuovo paradigma culturale fondato su un nuovo umanesimo, che si riferisce a un nuovo approccio al pensiero e alla pratica culturale che pone al centro l’essere umano, le sue esigenze, i suoi diritti e le sue potenzialità, in un contesto di rispetto per la dignità umana e di valorizzazione delle capacità individuali e collettive. Questo nuovo umanesimo emerge come risposta alle sfide contemporanee e si fonda su alcuni principi chiave:
la centralità dell’essere umano laddove il nuovo umanesimo riprende l’idea rinascimentale dell’uomo come misura di tutte le cose, ma la aggiorna tenendo conto delle realtà odierne. L’attenzione si concentra sullo sviluppo integrale della persona, non solo dal punto di vista economico, ma anche culturale, sociale e spirituale;
la sostenibilità e responsabilità sociale, promuovendo un equilibrio tra sviluppo umano e sostenibilità ambientale, sostenendo la necessità di prendersi cura del pianeta e delle risorse naturali, riconoscendo che la prosperità a lungo termine dipende da un uso responsabile e equo delle risorse;
l’inclusione e la giustizia sociale, focalizzando la necessità di combattere le disuguaglianze e promuovere l’inclusione sociale per garantire a tutti gli individui pari opportunità di sviluppo e partecipazione nella società, indipendentemente da genere, etnia, religione o status economico;
l’innovazione e la creatività quali pilastri per incoraggiare l’esplorazione di nuove idee e soluzioni per affrontare le sfide globali, promuovendo un approccio interdisciplinare e collaborativo alla conoscenza;
il dialogo e l’interculturalità come mezzo per arricchire le conoscenze e favorire la comprensione reciproca tra popoli e culture diverse, opponendosi al nazionalismo e all’intolleranza, sottolineando l’importanza di una cittadinanza globale e di un rispetto profondo per la diversità;
l’educazione e la formazione continua viste come un diritto fondamentale e un motore di sviluppo personale e sociale in relazione all’importanza di un’educazione che vada oltre la mera trasmissione di conoscenze tecniche, per abbracciare anche valori etici, critici e creativi;
l’etica e i valori umani, sollecitando a riflettere sulle implicazioni morali delle azioni umane, promuovendo una cultura della responsabilità e del rispetto per gli altri.
In sostanza, il paradigma culturale fondato su un nuovo umanesimo rappresenta un tentativo di ripensare la nostra società in modo più umano, inclusivo e sostenibile. Si tratta di un approccio che riconosce l’interconnessione tra tutti gli esseri umani e il loro ambiente, promuovendo una visione del mondo che valorizza il rispetto, la dignità e il potenziale di ogni individuo.
La mancanza di una distribuzione equa della conoscenza rischia seriamente di portare ad una sorta di knowledge divide tra le diverse aree geografiche del Paese, rendendo impossibile uno sviluppo equo ed ecologicamente sostenibile. Per effetto domino, questo divario di conoscenze si traduce in disuguaglianze economiche e sociali, che a loro volta alimentano ulteriormente il ciclo di esclusione. È quindi essenziale promuovere politiche che favoriscano una diffusione equa e capillare della conoscenza, creando un ambiente inclusivo e propizio per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile, perché lo sviluppo umano richiede più della semplice crescita economica; richiede un ambiente che permetta alle persone di sviluppare il loro pieno potenziale e di avere una vita soddisfacente (Sen 1999).
Ecco perché “bisogna puntare sulla crescita dello spirito critico, sull’autocoscienza e l’autocontrollo, sulla capacità di interpretare il mondo a partire da un sedimento culturale che la scuola ha fornito” cercando di contenere quelle derive che velatamene puntano ad una università della disuguaglianza, della competizione, della valutazione, del sapere specialistico e del sapere utilizzabile: queste cinque caratteristiche sono i fondamenti dell’università italiana nell’epoca neoliberista (Galli 2020).
In definitiva, se la conoscenza è il pilastro fondamentale su cui si basa il progresso delle società moderne, allora per garantire uno sviluppo equo e sostenibile, è essenziale che la conoscenza sia gestita come un patrimonio collettivo, accessibile a tutti e distribuito in modo omogeneo tra i territori. Solo attraverso una gestione coordinata e sinergica della conoscenza sarà possibile creare una società in cui ogni individuo possa contribuire e beneficiare del progresso collettivo.
Per tali ragioni preoccupa il taglio di oltre mezzo miliardo previsto dal Fondo di finanziamento ordinario per il 2024 che rischia di pregiudicare i conti degli atenei pubblici (mentre le università telematiche e profit godono di molto favore), perché lo sviluppo sociale del Paese dipende dal sistema universitario nazionale.
Urge un cambio di passo. È prima di tutto necessario che, per un Paese come il nostro, l’Università divenga una fra le questioni strategiche, al centro dell’Agenda sostenibile del governo del territorio. Nell’era della complessità in cui viviamo, dove i cambiamenti sono sempre più difficili da analizzare, descrivere e interpretare, “è indispensabile ideare e costruire percorsi educativi che mettano le persone in condizioni di scegliere come esercitare i diritti e accrescere le libertà attraverso la partecipazione e la democrazia” (italiadecide 2023).
Balducci A., Cognetti F., Fedeli V. (a cura di) (2010), Milano. La città degli studi. Storia, geografia e politiche delle università milanesi, Milano, AIM-Editrice Abitare Segesta.
Galli R. (2019), “L’Istruzione e la ricerca nella morsa dell’ordoliberalismo”, Intervista di Pino Salerno, Edizioni Conoscenza, no. 11-12, articolo 33 [https://www.edizioniconoscenza.it/wp-content/uploads/2019/01/Pagine-UNIVERSITA.pdf [https://www.edizioniconoscenza.it/wp-content/uploads/2019/01/Pagine-UNIVERSITA.pdf]].
Italiadecide (2023), Rapporto 2023. La conoscenza nel tempo della complessità. Educazione e formazione nelle democrazie del XXI secolo, Il Mulino, Collana “Quaderni di italiadecide”, Bologna.
Maglio M. (2021), Le dinamiche della conoscenza nel Green Deal. Prospettive territoriali per la lettura dell’economia circolare, tab Edizioni, Roma.
Mintzberg H. (2004), Managers Not MBAs: A Hard Look at the Soft Practice of Managing and Management Development, Berrett-Koehler Publishers, Oakland (USA).
Popper K. (2002), The Logic of Scientific Discovery, Routledge, London, (edizione originale pubblicata nel 1959).
Sen A. (1999), Development as Freedom. Oxford University Press, Oxford.
Senge P. (1990), The Fifth Discipline: The Art and Practice of the Learning Organization, Doubleday/Currency, New York.
[1] Come osservava Peter Senge (1990), “in un’economia basata sulla conoscenza, la capacità di apprendere più velocemente della concorrenza può essere l’unico vantaggio competitivo sostenibile”.
[2] Fra gli esempi italiani, si pensi al ruolo di innovazione sociale e istituzionale del sistema delle università milanesi e al ruolo di think tank che queste svolgono per le istituzioni del rispettivo territorio, come da tempo evidenziato da Balducci, Cognetti e Fedeli (2010).