La casa, meglio i costi della casa sia essa in affitto che in proprietà, è tornata in testa nelle preoccupazioni delle famiglie, così come nelle agende dei Comuni impegnati nel definire i parametri dell’Imu, e del Governo alla ricerca di possibili nuovi strumenti per reperire risorse (Imu2, ecc.).
Di casa, meglio di nuova emergenza abitativa stiamo scrivendo da molto tempo, almeno da quando lo Stato ha smesso di occuparsene e da quando il pur limitato (economicamente) provvedimento del Piano Casa non è mai stato attuato lasciando invece il posto al cosiddetto piano casa - aumenti volumetrici per tutti – del governo Berlusconi.
Torniamo a porre l’attenzione sul tema della casa perché oggi ci troviamo in una situazione di crescente emergenza con sempre meno disponibilità di risorse oltre che di politiche per affrontarla.
Non esiste di fatto un piano nazionale rivolto all’edilizia residenziale sociale congruo rispetto alla dimensione dei fabbisogni; le Regioni con difficoltà amministrano le quote marginali di risorse a loro disposizione indirizzandole, quasi esclusivamente, per sostenere la prima casa in proprietà; le aziende (Ater, Aler, comunque denominate) tendono a dismettere case ed inquilini, sempre per recuperare risorse, senza programmi di investimento e gestione del loro patrimonio e privi di politiche nei confronti dei diversi segmenti di fabbisogno (vecchi e nuovi) che non riescono a rivolgersi al mercato dell’affitto privato; i comuni sono costretti a tornare alle politiche emergenziali: famiglie ospitate in albergo, sussidio casa, ecc. e un numero crescente di famiglie si rivolge alle associazioni e alle parrocchie chiedendo aiuti per pagare l’affitto e le bollette.
Le politiche che negli ultimi anni avevano avviato alcuni percorsi interessanti, anche dal punto di vista degli esiti, quali le esperienze di social housing, rese possibili con il contributo delle Fondazioni e di Comuni lungimiranti che disponevano di aree e/o edifici o che sono stati capaci di acquisirli attraverso forme perequative, oggi rischiano di venire compromessi. Infatti se da una parte si può valutare positivamente (come propone l’Inu) il significato dei segnali costituiti dal ripristino della tassazione comunale degli immobili, dall’altra vi sono forti perplessità perché accanto a questi segnali non vi sono elementi in grado di compensare almeno in parte la pesantezza dei tagli alla finanza degli enti locali e a quella parte di spesa pubblica indispensabile per la costruzione della città pubblica e il sostegno all’edilizia residenziale sociale. A fianco della tassazione della casa e della proprietà si deve affrontare la questione centrale di una reale politica fiscale locale, di vere e proprie tasse di scopo in libera disponibilità per i comuni e di una tassazione della rendita fondiaria risorsa fondamentale per finanziare il governo del territorio.
Una riflessione sulla struttura delle città e dei territori deve essere il punto di partenza per una nuova politica fiscale che non può appiattirsi e banalizzarsi sulla ricerca delle soluzioni più semplici per acquisire risorse certe.
Negli ultimi anni abbiamo costruito moltissimo e oggi disponiamo di tanti alloggi obsoleti, vuoti o troppo costosi presenti sul mercato. Una grande risorsa (circa trenta milioni di unità immobiliari) mal utilizzata che richiede un recupero di qualità e la necessità di dare risposta alla nuova domanda abitativa.
Per intervenite in questa direzione sono necessarie politiche articolate, utilizzando (come si dice nel comunicato dell’Inu sulla manovra dell’Imu) le città, le loro progettualità e le loro politiche come laboratori economici e sociali per andare oltre la crisi, capaci di innescare azioni condivise e visibili per la crescita nelle comunità e nei territori.
È chiaro che non basta una azione fatta di piccoli interventi, bisogna lavorare sulla rigenerazione urbana promuovendo politiche che a partire dalla volontà di intervenire sul consumo sregolato di suolo e della conseguente congestione determinata dai flussi pendolari, agisca attraverso politiche urbane di densificazione e sostituzione. Politiche che necessitano di forte regia pubblica, incentivi necessari per il coinvolgimento degli attori economici, affrontando il problema del consenso degli abitanti e della loro sistemazione alloggiativa nella fase dei lavori.
La sostituzione edilizia si presenta come una assoluta necessità tenendo conto della bassa qualità costruttiva ed urbanistica di tante aree nelle nostre città così come della necessità di limitare il consumo di suolo e l’impatto sull’ambiente. La densificazione assume un nuovo significato positivo perché risponde contemporaneamente alle diseconomie della metropolitanizzazione, al dominio dell’automobile come modalità di trasporto quotidiano, ai consumi energetici, alla continua costruzione di strade, agli inquinamenti.
La rigenerazione urbana, non è la proposta di un nuovo strumento del complicato armamentario urbanistico, ma un percorso per ridare qualità alle città e ai territori. Così come densificazione e sostituzione edilizia sono degli strumenti, e nello stesso tempo degli obiettivi, per un nuovo disegno della città.
Al Congresso dell’Inu a Livorno si è posto il tema delle risorse da investire e, conseguentemente, a quali condizioni attivare il rapporto pubblico privato per il raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico, che non possono ridursi a qualche stralcio di opera pubblica in cambio di volumetrie e cambi di destinazione d’uso. L’interesse pubblico riguarda almeno quattro priorità, che possono diventare il progetto della rigenerazione urbana a cui molte regioni stanno lavorando in recepimento del “decreto sviluppo”:
la mobilità sostenibile, oggi la qualità della vita dipende dalla quantità e qualità degli spostamenti, è urgente ripensare in modo radicale al trasporto pubblico fino a penalizzare l’uso dell’auto privata;
il risparmio energetico, in assenza di un vero e proprio piano energetico nazionale il percorso varato dal Patto dei Sindaci per la costruzione dei Piani Energetici Comunali è una strada che deve incrociarsi con i Piani e le politiche urbanistiche;
l’edilizia residenziale sociale, per rispondere ad una domanda sempre meno solvibile ai prezzi di mercato;
lo spazio pubblico, dai centri alle periferie fino ai luoghi della diffusione insediativa si è assolutamente impoverito o assorbito dal commercio.
Riqualificare oggi costa molto di più che edificare in suolo libero. Solo tramite scelte di fiscalità che favoriscano le riqualificazioni anche sul piano degli oneri di urbanizzazione e con un rafforzamento della capacità negoziale della pubblica Amministrazione è possibile rigenerare le numerose aree dismesse delle nostre città: costruire sul costruito per sostituire e riqualificare interi pezzi di città condannati al degrado e all’abbandono.