I principali contributi provenienti dalla comunità culturale internazionale sull’individuazione di nuove frontiere dello sviluppo pongono l’accento su una concezione più elaborata della cultura, descritta come elemento essenziale per il benessere e lo sviluppo umano e segnano la via per l’applicazione di nuovi modelli di governance nei contesti nazionali e regionali.
Il riferimento d’obbligo è la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per il Valore del Patrimonio Culturale per la Società, meglio conosciuta come “Convenzione di Faro” siglata nel 2005 ma entrata nella prassi comune solo nel 2011. Si tratta di un documento che riconosce il ruolo che la cultura svolge sempre di più nei processi di creazione del valore economico e che lega in maniera esplicita il patrimonio europeo all’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali di cui il Consiglio d’Europa è garante.
I centri urbani, che perseguono una strategia coerente e ambiziosa di sviluppo economico locale, considerano infatti la cultura una delle leve privilegiate di azione, aprendo musei, sperimentando forme sempre più ardite di disseminazione delle attività nel tessuto della città, favorendo l’insediamento di artisti, costruendo i processi di rigenerazione urbana attorno ad interventi pilota sempre più grandi e complessi.
In questo senso è strategica l’adozione di tecnologie capaci di valorizzare in modo più spinto il patrimonio storico-artistico e i servizi ad esso connessi, mettendoli in rete con altri presenti nel territorio. Questo approccio strategico, articolato in interventi mirati all’innovazione di prodotti e servizi culturali, non si limita ai settori più tradizionali del patrimonio e delle produzioni quali musei, teatri, sistema dello spettacolo, etc., ma investe anche le nuove industrie creative e i settori produttivi ad alto contenuto di conoscenza. L’esempio più noto e recente, si ritrova nei Distretti culturali evoluti adottati da diverse Regioni, che assumono come obiettivo prioritario lo sviluppo locale, individuando e valorizzando ogni relazione di integrazione tra attività culturali ed attività produttive ad alto contenuto di sapere , in primo luogo quelle manufatturiere.
La città storica è divenuta il luogo privilegiato di sperimentazione della ’rigenerazione urbana culturale’, ove la forma urbana, il patrimonio storico monumentale e architettonico , le espressioni culturali ed artistiche, la comunità sociale e l’economia locale, incontrandosi, producono potenti effetti innovativi .
La distinzione tra nucleo antico e nuovi insediamenti nasce insieme alla città industriale del secondo ‘800, quando la rivoluzione produttiva segna l’inizio della crescita extra moenia. Con il riconoscimento dei diversi ambiti urbani, il dibattito culturale sul centro storico all’inizio del ‘900 antepone a tutto la sua conservazione attraverso la definizione normativa la regola ferrea che vede applicazione nei numerosi interventi sparsi per il Paese, in attuazione della linea, proposta dal Giovannoni, del diradamento e isolamento dei beni monumentali.
Il tentativo di elaborare un piano normativo universale per la conservazione dei centri storici risale al secondo dopoguerra con il convegno sulla "Salvaguardia e il risanamento dei centri storico-artistici" e la successiva promulgazione della Carta di Gubbio (1960) e formazione dell’Ancsa (1961). Da quel passaggio fondativo ad oggi si sono succedute generazioni di approcci e strumenti, corrispondenti alla evoluzione culturale e disciplinare del tema, al grado di consapevolezza del valore del patrimonio disponibile, alla necessità di una pianificazione funzionale degli edifici per garantire l’equilibrio tra residenza e altri usi,alla governance pubblica sia per la progettazione che per la gestione amministrativa dei processi di recupero e fondati su un dettagliato studio tipologico e socio-economico, in modo da calibrare la modalità di intervento (conservazione o innovazione) in relazione alla natura del Patrimonio costruito.
La unicità dei casi affrontati nelle esperienze italiane ha fatto emergere negli anni l’impossibilità di una pianificazione univoca regolata da norme assolute.
Il rapporto Ancsa “Centri Storici e Futuro del Paese” del 2017, focalizza l’attenzione sui centri storici e in particolare sulla loro declinazione in due tematiche: il depauperamento dei centri, col soccombere delle funzioni tradizionali di fronte alla dilagante fortuna del turismo, e l’abbandono fisico dei luoghi. I centri vengono classificati in cinque “tipologie di situazioni” diffuse in Italia: centri d’arte, grandi centri storici del sud, centri storici delle città medie e piccole, grandi centri storici delle grandi città o centri metropolitani, centri minori di aree interne. Il concetto di “centro storico” viene allargato e si parla di “città storica”, mettendo in relazione il tessuto prettamente storico della città (in termini di datazione) con quei contesti più recenti che nel tempo hanno assunto un valore per la società contemporanea.
La natura complessa dei processi che investono la città contemporanea comporta dunque che le soluzioni vengano cercate anche al di fuori degli strumenti tradizionali di pianificazione. Le città chiedono oggi maggiore vivibilità, contrasto ai fenomeni climatici devastanti, qualità degli spazi pubblici, partecipazione collettiva alle decisioni.
La città muta continuamente come un organismo vivente con una propria ’biologia’ costituita da forma, produzione di risorse, assetto sociale, capacità educativa. Questa mutazione coinvolge anche i suoi confini che si dissolvono, diventano labili: in vari contesti diminuiscono gli abitanti urbanizzati a favore di un progressivo aumento della popolazione nei piccoli e medi centri alle porte della metropoli; cambia il modo di produrre e di conseguenza i luoghi dove la produzione si realizza.
E’ interessante indagare come l’arte sia capace di interpretare questi fenomeni: essa si evolve verso un uso partecipato ed emozionale che spinge sempre più gli artisti ad uscire dalle gallerie per arrivare nelle piazze, nei giardini, nei fabbricati industriali abbandonati, nei luoghi pubblici, per intervenire nel dibattito sulla città, per lavorare a fianco dei progettisti delle azioni di recupero e rigenerazione.
L’artista è da sempre una figura portata ad osservare la realtà che lo circonda, ad interpretarla a decodificarla; mai come in questi ultimi decenni di cambiamento sono stati prima di tutto gli artisti che hanno saputo leggere la città, fare dell’ambiente urbano non solo più uno sfondo, un palcoscenico, ma l’oggetto dell’opera d’arte stessa, trasformando lo spazio pubblico, intercettando desideri e problemi degli abitanti, creando relazioni tra attori pubblici, committenti, istituzioni, abitanti, portando le istanze dei cittadini al tavolo delle decisioni. I valori che accomunano i progetti d’arte negli spazi pubblici sono sempre collettivi, rivolti alla popolazione civile e accompagnati dal presupposto di migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Si può quindi parlare di un passaggio da arte pubblica in senso stretto ad arte sociale, intendendo un diverso modo di fare arte nello spazio pubblico, che passa prima di tutto dall’idea di un lavoro di ricerca sulle esigenze di chi la città la abita, il desiderio del ’fare città’ espresso con la volontà di rigenerare, laddove si è persa o non è mai esistita, una complessità di relazioni, ambienti, opportunità.
I progetti d’arte si mettono così al servizio della comunità, nel provare, ad esempio, a ritessere relazioni all’interno di un quartiere, di riuscire a rimetterlo in dialogo con il resto della città, di far riaccendere su di esso una attenzione positiva, di riattivare alcuni servizi, far innescare degli scambi ed attivare dei processi.
La attuale fase di nuova e inedita crisi, caratterizzata da una rinnovata attenzione ai temi ecologici, da una rilettura critica dello sviluppo e delle sue disfunzioni, dei suoi scarti, potrebbe rimettere in discussione la dimensione urbana e la sua capacità di trasformazione sostenibile. La relazione città moderna-città storica non è più sufficiente ma necessita di essere ridefinita come rapporto tra città antropica e il contesto ambientale-naturale specifico.
È importante considerare che laddove la comunità si senta inclusa nel progetto, partecipa in modo attivo alla sua tutela e conservazione. Esempi virtuosi sono offerti da Napoli con la realizzazione delle ’stazioni artistiche’ della metropolitana e con il Museo Urbano del Mann.
È ormai diffusa la convinzione che portare la progettazione partecipata nelle pratiche di city making sia un’esigenza imprenscindibile per guardare al futuro, per rimettere al centro la dimensione del bene comune, sociale e ambientale, come luogo delle possibilità, magari di fronte ad una grande quantità di edificato pubblico dismesso, in cui possono andare ad inserirsi importanti progetti di rigenerazione urbana.
Reinventare oggi lo spazio pubblico significa separarsi dai dogmi cui dipendiamo ormai da generazioni, con la capacità di ripensare la città in termini di prossimità, come luogo di scambio e consumo, in una visione ecologica, attraverso un nuovo patto di collaborazione tra le persone dove cura, benessere, equità e innovazione sociale siano obiettivi essenziali e sostenibili.
Sono da riscoprire e valorizzare anche la storia e la tradizione artistica e artigianale dei tanti centri storici italiani: artisti e artigiani possono essere coinvolti e rappresentare uno dei tasselli fondamentali per lo sviluppo e rigenerazione, nella progettazione del decoro urbano, nell’educazione, come protagonisti del turismo trasformativo. L’esperienza artistica e la relazione arte – artigianato vanno riportate al centro della attenzione per ritrovare il valore delle cose, riscoprire la specificità delle materie, coltivare la qualità nella ’bottega’.
Il sistema dei luoghi pubblici diviene il laboratorio basato sul saper fare, risultato di un saper essere: attualizzare e integrare le attività artigianali e industriali tradizionali della città, favorendo la promozione di scuole, il trasferimento intergenerazionale di esperienze dei maestri artigiani, l’evoluzione attraverso l’innovazione digitali in dialogo con makers, fablab.
L’opera di Edoardo Tresoldi, giovane scenografo prestato all’arte, è in tal senso particolarmente significativa che crea dei veri e propri disegni nello spazio; egli infatti sottolinea l’importanza di creare una relazione empatica con il contesto, cercando di carpire i tratti essenziali del luogo e tradurli in un linguaggio ogni volta diverso.
La prima edizione del Creativity Forum Unesco di Carrara del settembre scorso, centrato su“L’Artista e l’artigiano motori di rigenerazione urbana”, nasce proprio con l’intento di rimettere al centro delle dinamiche urbane il ruolo di quei soggetti, con l’obiettivo ulteriore di definire un progetto che rappresenti per le amministrazioni locali e per le governance territoriali, un percorso progettuale e metodologico replicabile.