Nel corso della seconda metà del ’900 la visione che amministrazioni pubbliche e urbanisti possedevano sul futuro delle parti di città degradate è andata evolvendo. Alla demolizione e sostituzione degli insediamenti originari in degrado è subentrata una crescente considerazione per i valori culturali degli antichi edifici e tessuti urbanistici. Alla sostituzione è subentrata la conservazione con restauro, recupero e persino ripristino tipologico.
L’approccio urbanistico-edilizio dei Piani particolareggiati e delle loro norme tecniche si è presto combinato con le politiche abitative. La contaminazione è efficacemente rappresentata dallo slogan della “conservazione degli uomini con le pietre” che a inizio anni ’70 guidò la sperimentale applicazione del Peep nei Centri storici e poi, alla fine del decennio, ispirò l’introduzione del principio del recupero nel Piano decennale per l’edilizia residenziale. La dismissione dei complessi industriali insediatisi intorno ai centri urbani all’inizio del ’900 pose problematiche non solo urbanistiche ma anche economiche e sociali, a causa della connessa perdita di posti di lavoro. Vuoi per il vincolo della proprietà degli immobili, vuoi per l’elevato impegno finanziario richiesto dalla trasformazione urbanistica, vuoi per la necessità di sfruttare il vuoto urbano creatosi per insediare nuove importanti funzioni per la città, l’approccio alle problematiche poste dalla dismissione è stato quello della trasformazione e del rinnovo urbano.
L’opposizione al degrado urbano ha dunque avuto nell’approccio urbanistico-edilizio una modalità di intervento dapprima esclusiva, poi comunque dominante. Protagonisti del confronto politico-culturale sono state le professioni tecniche e le imprese di costruzioni, oltre naturalmente agli amministratori pubblici. Il terreno del confronto sono stati gli strumenti urbanistici e le categorie di intervento: manutenzione straordinaria, ristrutturazione edilizia, ristrutturazione urbanistica.
La svolta si è compiuta negli anni 2009-10 a causa della crisi finanziaria ed immobiliare. La caduta della domanda abitativa e la scomparsa dal Paese di una intera categoria di operatori economici, hanno stravolto il mercato immobiliare e, poco per volta, creato una diffusa consapevolezza sull’esistenza, nella città, di valori aggiuntivi a quelli rappresentati dalle strutture fisiche, ossia di una molteplicità di aspetti valoriali riconducibili alla sfera sociale ed a quella ecologico-ambientale, che meritano di essere considerati, tutelati e possibilmente accresciuti.
In realtà il concetto di rigenerazione (regeneration), distinto da quelli di recupero (recovery), trasformazione (redevelopment) e di rinnovo (renewal), era già presente nel dibattito internazionale e nazionale sulle politiche urbane sin dai primi anni 2000 (si veda, tra gli altri, Dalla Longa R. (ed.) (2011), Urban Models and Public-Private partnership, Springer). Tuttavia è stato nelle condizioni economiche e culturali create dalla crisi economica che la rigenerazione urbana è andata affermandosi come strategia di intervento comprendente un ampio spettro di azioni tra loro integrate, volto a ripristinare la vitalità dell’organismo urbano agendo contemporaneamente su aspetti sociali, economici ed urbanistico-edilizi. E l’avvento della pandemia Covid-19, con il lockdown e le successive restrizioni, ha ulteriormente rafforzato l’egemonia della rigenerazione nelle politiche urbane.
Quale concetto multidimensionale e quale strategia di intervento, la rigenerazione urbana non possiede contenuti standardizzabili, come invece accade nel caso della ristrutturazione urbanistica o del recupero edilizio.
La rigenerazione urbana è una strategia generale che, nelle concrete applicazioni, si presenta a geometria variabile, nel senso che deve adattarsi alle specifiche caratteristiche delle parti di città che necessitano di recuperare appieno la loro funzionalità urbanistico-ambientale, sociale ed economica. Nell’adattarsi alle caratteristiche di ogni parte di città, la rigenerazione urbana combina, a seconda dei casi, azioni che in parte sono rivolte principalmente al rinnovamento delle componenti fisiche della città, altre il cui principale obiettivo è la ricostituzione del tessuto sociale e azioni orientate in primis a rivitalizzare il sistema economico. La peculiarità della rigenerazione sta dunque nell’approccio olistico della sua strategia generale e nella forte variabilità delle sue forme di intervento.
Pertanto la rigenerazione urbana necessita di collocarsi all’interno di un piano di carattere strategico, connotato dal possesso di una visione sul futuro della città e dalla individuazione di linee multidimensionali di intervento formate da insiemi d’azioni sia materiali che immateriali. Il rapporto tra settore pubblico e privato vi assume una configurazione peculiare rispetto alle altre categorie di intervento. Nel recupero, nella trasformazione e nel rinnovo, gli attori principali sono due: l’amministrazione pubblica locale e il promotore immobiliare privato. E l’interlocuzione che fra essi si sviluppa è il canale principale attraverso cui si definisce il progetto da realizzare. Nella rigenerazione urbana, invece, alla multidimensionalità corrispondono una molteplicità di attori e un regista. Il regista è l’amministrazione pubblica locale. Gli attori sono tutti i portatori di interessi, ossia coloro che nella città da rigenerare vivono, esercitano attività economiche, detengono beni immobili, gestiscono servizi pubblici e privati.
A loro volta, ai piani e ai progetti che intendono essere partecipi di una strategia di rigenerazione urbana è richiesto di dimostrare la loro finalità attraverso la valutazione degli apporti recati alla sfera urbanistica, sociale, economica, culturale, ecologico-ambientale. La valutazione multidimensionale dei progetti è dunque parte integrante delle strategie di rigenerazione urbana.