Le città europee sono oggi l’epicentro di una preoccupante accelerazione della crisi climatica. Le temperature record registrate quest’anno, assieme a forti anomalie termiche e ondate di calore, hanno avuto impatti diretti sulla popolazione di metà del continente. In questo scenario, un numero crescente di città, soprattutto nell’Europa mediterranea, sta ripensando gli spazi pubblici e ad accesso pubblico come rifugi climatici, ovvero luoghi progettati per garantire protezione e comfort termico adeguato durante le giornate in cui si registrano temperature elevate.
Il concetto di rifugio climatico – dal latino refugium, inteso come luogo in cui si cerca riparo – ha origine nell’ecologia dove indentifica aree capaci di assicurare la sopravvivenza di specie animali e vegetali in condizioni climatiche avverse. Questi ambienti, caratterizzati da condizioni microclimatiche stabili, fungono da serbatoi di biodiversità e facilitano il ripristino degli ecosistemi una volta migliorato il contesto globale. Trasposto in ambito urbano, il rifugio climatico assume oggi un rinnovato significato: non solo più riparo temporaneo ma infrastruttura pubblica che integra natura, comfort climatico e inclusione sociale e che si configura come strumento funzionale tanto alla mitigazione degli effetti del riscaldamento urbano quanto alla rigenerazione degli spazi urbani, innescando processi di adattamento, presidio e protezione.
Con riferimento alla progettazione di rifugi climatici negli spazi aperti, tre sono gli elementi che ne definiscono ruolo e funzione. Il primo elemento prevede l’integrazione di soluzioni basate sulla natura nella sua progettazione: alberature, depavimentazioni, sistemi di raccolta delle acque e ombreggiamenti naturali contribuiscono alla creazione di microclimi più miti, riducendo l’effetto isola di calore e favorendo la biodiversità urbana. I rifugi climatici non sono quindi solo spazi ombreggiati ma dispositivi ecologico-ambientali integrati nella rete degli spazi urbani. Il secondo elemento riguarda la co-progettazione del rifugio che, grazie al coinvolgimento della comunità locale, consente di rispondere ai bisogni reali dei cittadini e garantire un uso inclusivo di questi spazi. Il rifugio climatico si configura perciò come uno spazio relazionale, esito di un processo condiviso. In terzo luogo, infine, i rifugi climatici coniugano l’intersezione tra giustizia climatica e giustizia sociale ampliando la riflessione del progetto urbanistico verso l’imperativo della transizione ecologica e del contrasto al cambiamento climatico in una prospettiva di riduzione delle disuguaglianze. I rifugi climatici sono perciò infrastrutture pubbliche che redistribuiscono risorse ecologiche, migliorano l’accessibilità agli spazi urbani e rafforzano l’equità territoriale.
In questa fase in cui gli eventi estremi legati al riscaldamento globale stanno ridefinendo le priorità delle agende urbane, i rifugi climatici assumono un ruolo strutturale nel disegno delle politiche urbane di adattamento. Rappresentano un cambio di paradigma: da soluzioni emergenziali temporanee ad infrastrutture pubbliche permanenti, capace di ricucire le fratture climatiche e sociali delle città. Fra le città europee impegnate a introdurre sistematicamente i rifugi climatici come strategia urbana di adattamento, Barcellona ha aperto la strada nel 2019 con la creazione di una rete urbana di refugis climàtics, trasformando spazi aperti, ad esempio parchi e scuole, ed edifici pubblici, come biblioteche e centri civici, in luoghi di protezione durante le ondate di calore. Queste aree, distribuite in modo capillare nella città, sono pensate per offrire sollievo termico in particolare alle fasce più vulnerabili della popolazione, garantendo prossimità, accessibilità e accoglienza. Con oltre quattrocento rifugi attivi, Barcellona è oggi modello di riferimento europeo per l’integrazione di queste soluzioni climaticamente e socialmente inclusive.
Nel contesto italiano, fra le prime iniziative pilota, sviluppate nell’ambito di progettualità specifiche, che adottano il paradigma del ‘rifugio’ come strumento per affrontare la crisi climatica e, al contempo, rigenerare lo spazio pubblico, possiamo riconoscere: Bologna sperimenta, nel progetto Urban Innovative Actions TALEA “Green cells leading the green transition” (2024-2028), un nuovo modello di cellule verdi urbane progettate come infrastrutture multifunzionali per offrire protezione termica in quartieri vulnerabili; Milano, con il programma Quartieri resilienti (2023-2026) in collaborazione con C40, interpreta gli spazi pubblici come ambiti per affrontare il caldo urbano estremo; Torino, nel progetto Driving Urban Transitions MAINCODE “Mainstreaming nature to co-design urban climate shelters” (2025-2027), trasforma i cortili scolastici in rifugi climatici come progetti dimostrativi di raffrescamento, realizzati grazie all’impiego di soluzioni basate sulla natura in un processo di co-progettazione in cui la comunità scolastica assume un ruolo centrale.
A partire da questo perimetro semantico, è evidente che i rifugi climatici rappresentino una nuova modalità di progettazione dello spazio pubblico, fondata sull’intreccio tra cura, protezione e rigenerazione: un intreccio consapevole tra strategie di welfare urbano, politiche urbane e risorse sociali. Il rifugio climatico è, dunque, un dispositivo urbano che agisce localmente, ma che si inserisce in una più ampia strategia di transizione ecologica e sancisce una rinnovata alleanza tra spazio pubblico, natura e benessere collettivo.