Mi è difficile usare i tempi del passato per parlare di Ugo Baldini. L’incredulità per la sua scomparsa è il primo sentimento che affiora alla mente di quelli che lo conoscono e lo hanno frequentato più da vicino ed è la cifra che ha segnato i messaggi che ci siamo scambiati con centinaia di amici, in queste ore davvero tragiche per noi.
Mi è difficile anche perché il tempo della vita e della azione di Ugo è sempre stato il presente. Un presente in cui si è immerso con straordinaria intensità, consapevole del portato della memoria e dell’esigenza di uno sguardo lungimirante, ma scevro da ogni nostalgia e da ogni fuga utopica. Qui e ora. Dire e fare per ritrovare nel presente le ragioni e i modi di un mestiere difficile come è quello dell’urbanista.
Ci sarà un tempo, che non è questo, per ragionare insieme sul contributo che Ugo Baldini ha portato al fare urbanistica, a rendere efficaci le politiche territoriali, a sostenere l’innovazione urbana, a promuovere lo sviluppo delle aree interne e montane.
Ora lasciatemi ricordare l’uomo con cui ho condiviso trentotto anni di esperienza professionale e di vita quotidiana, su e giù in giro per l’Italia a fare piani, discutere con amministratori e cittadini, guardare territori e paesaggi per cercare di coglierne l’intimo valore e il portato di progetto.
A Reggio ci ha fatti incontrare la Cooperativa Architetti, che poi ci ha trattenuto per la vita intera. E Osvaldo Piacentini è stato il colpevole protagonista del nostro incontro.
Eravamo, io e Ugo, persone molto lontane dalla tradizione culturale di quel cattolicesimo calvinista di cui Osvaldo è stata una delle espressioni più affascinanti. Entrambi di famiglie comuniste, entrambi partecipi, pur nella distanza di età, di una generazione affratellata da un impegno politico ambizioso e irrequieto, accomunati forse ad Osvaldo da una passione geografica sfrenata, costruita sugli atlanti scolastici e maturata in cultura urbanistica, per Ugo, nella raffinata interpretazione di Edoardo Detti.
Ci siamo incontrati lavorando ai Piani di Sviluppo delle Comunità Montane, sul finire degli anni ’70, Ugo nella sua Val Tanaro, io nell’Appennino pesarese.
L’indomabile volontà di Ugo di produrre fatti, generare occasioni di comprensione e di intervento, di allargare a dismisura lo spettro delle collaborazioni ad ogni progetto, lo ha portato a chiedermi, con altri amici di quella generazione, di condividere nella Cooperativa una esperienza di intensa collaborazione professionale per i territori del suo Piemonte meridionale, quello contadino del cibo e del paesaggio, delle piccole città cuneesi e di processi di modernizzazione che assomigliavano a quelli del Nord Est.
Praticando già allora la versione - ancora sperimentale - di un modulo organizzativo originale, in cui Ugo ha dato prova delle qualità, umane ancor prima che professionali, che ne avrebbero fatto negli anni successivi il riferimento necessario di una impresa straordinaria, nell’estensione e nell’impegno, dentro la cooperativa e anche oltre i suoi confini. Il Presidente che aveva sempre una parola, un sorriso e un messaggio (anche un sms) per tutti.
La collaborazione tra di noi, intensa e strettissima, si è riproposta con drammaticità alla morte di Osvaldo, quando sulle nostre spalle è caduto il macigno di una responsabilità terribile ed inaspettata come quella di dover condurre a termine il Piano Territoriale Regionale dell’Emilia Romagna. Un Piano al cui quasi impossibile avvio Osvaldo aveva lavorato negli ultimi anni della sua troppo breve esistenza. E Ugo è stato l’uomo che si è saputo far carico, in prima linea ed in prima persona, di una eredità così ingombrante pur avendo vissuto meno di altri, sicuramente meno di me, i precedenti di quel progetto.
Un progetto che ha saputo dirigere e interpretare con straordinaria apertura di visione e originalità di approccio in una scenario politico ed istituzionale in cui cresceva la conflittualità e la instabilità, manifestandosi i segnali ormai incombenti della crisi di quella emilia felix che ci aveva accolti con disponibilità e nella quale, da stranieri, non abbiamo fatto fatica a sentirci a casa.
Gli anni che sono venuti dopo il PTR sono stati quelli delle Province, enti ancora in secondo piano e per questo più facilmente avvicinabili da tecnici un po’ fuori dal main stream della cultura urbanistica, come noi eravamo, più attenti all’approccio sostantivo delle politiche (territoriali) che non a sottolineare il dato normativo.
Ugo è forse l’urbanista che ha portato la responsabilità scientifica e retto il coordinamento operativo del maggior numero di Piani Territoriali Provinciali nel nostro Paese, costruendoli con impegno (e con fatica) in contesti culturali e politici tanto diversi come quelli del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e della Liguria.
Sono stati anche gli anni della straordinaria avventura dell’Atlante Nazionale del Territorio Rurale, che ha dato nuova e inaspettata visibilità all’anima più profondamente ruralista che Osvaldo ci aveva trasmesso con un processo formativo “sul campo” che ci ha portati, Ugo e me, lontano dalle culture di provenienza. Esperienza che giusto a fine gennaio dello scorso anno ha trovato la sua celebrazione all’Archiginnasio di Bologna per iniziativa della Accademia Nazionale di Agricoltura.
E poi il ritorno alle città, sul finire degli anni ’90. a partire da quell’impegno - sulfureo ed eterodosso - per la città di Bologna (prima che per la sua inattesa giunta di centro destra) e poi a Verona, a Vicenza, a Parma. E a Reggio, dove la Cooperativa ha sempre faticato un po’ a trovare il suo spazio urbanistico, dopo il Piano del 1967, ma dove Ugo ha prodotto l’occasione, nella costruzione di una strategia territoriale per la stazione medio-padana, per incontrare nuovi soggetti e nuove sensibilità.
Alla Città di Reggio Emilia Ugo lascia anche una impronta formidabile ed essenziale per l’esperienza ancora viva e vitale dell’Archivio Osvaldo Piacentini. Un luogo e un modo per dire e fare, per ricordare agendo, immersi sempre nel presente e nella continuità del messaggio intergenerazionale.
Insieme, va ricordata l’attenzione mai dimenticata alle aree montane: con l’UNCEM, di cui Ugo è stato il mentore delle politiche territoriali, nell’ impegno sui Parchi, per una pianificazione attenta alle condizioni dell’uomo e del suo sviluppo civile, altrettanto di quanto lo deve essere alla conservazione della natura; nella più recente stagione delle aree interne che lo ha visto protagonista, nel nostro Appennino e in altre montagne, di una azione di animazione che, per intensità, profondità ed ampiezza di vedute, sarà difficile dimenticare.
L’ultima nota che questa personalissima memoria biografica non può non menzionare è l’incontro di Ugo con la Cooperazione sociale.
Incontro che ha portato ragioni ed energie nuove ad una tradizione cooperativa che viene da lontano e che ha prodotto nella Polveriera il segno profondo e concreto della qualità di una urbanistica sociale: plurale nei protagonisti, radicata nei bisogni, aperta ad incontrare il futuro.
In quel luogo, se gli amici del Consorzio Oscar Romero lo vorranno con noi, pensiamo di darvi appuntamento a primavera per ricordare Ugo con argomenti e ragioni che l’emozione forse non saprà abbandonare ma che potranno trovare il respiro di un pensiero meno stordito e più consapevole.
Ciao Ugo.
Reggio Emilia 30 Gennaio 2016
Giampiero Lupatelli