Riannodare le fila del discorso attorno al principio di sussidiarietà è un utile esercizio che trova, come spesso accade, nell’anniversario trentennale del Trattato europeo di Maastricht (1992) un valido pretesto.
Se appare, infatti, di drammatica evidenza e urgenza attualizzare una riflessione sui temi della politica estera e di sicurezza comune istituita dal Trattato allo scopo di salvaguardare i valori comuni, gli interessi fondamentali e l’indipendenza dell’Unione, è altrettanto importante osservare, in riferimento al governo del territorio, le conseguenze che il suo impiego ha avuto sul processo di integrazione europea rispetto ai caratteri della legislazione e all’esercizio delle competenze concorrenti ma anche, in generale, rispetto al riparto delle competenze stesse tra Unione e Stati membri (De Pasquale 2021). Non va dimenticato, infatti, che a Maastricht non fu celebrata la ‘nascita’ del principio ma ne furono ‘reimpiegati’ i suoi significato e ruolo originari (le cui radici sono ben più remote del 1992), per la convinzione che con la sua ‘codificazione’ la sussidiarietà potesse essere utilizzata come ‘freno’ per limitare l’espansione indefinita del diritto dell’Unione, altrimenti inevitabile in considerazione del primato di cui quest’ultimo gode. In tal modo si è potuto sancire che, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, l’Unione interviene laddove l’azione dei singoli Stati non è sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo. Simmetricamente tale principio si ritrova all’interno di un Paese nel rapporto tra Stato e istituzioni locali. In sostanza, il cuore concettuale della sussidiarietà risiede nel principio per cui un’entità di livello superiore non deve agire in situazioni nelle quali l’entità di livello inferiore (fino al cittadino) è in grado di agire per proprio conto; e, in aggiunta, che l’intervento dell’entità di livello superiore debba essere temporaneo e teso a restituire l’autonomia d’azione all’entità di livello inferiore. Su tale aspetto non va dimenticato che in Italia le radici storiche del pensiero sussidiario hanno ispirato il Codice di Camaldoli (documento programmatico delle forze cattoliche italiane elaborato nel 1943) e la stessa Costituzione italiana del 1948, anche se il suo ingresso formale nel dettato costituzionale è avvenuto soltanto con la Legge 3/2001.
Per tale ragione l’interesse per il principio di sussidiarietà non si esaurisce alle considerazioni sulla sua rilevanza in vista di una migliore organizzazione dei livelli di governo, ma si estende al contributo che essa può fornire per supportare un’ampia e consapevole partecipazione alla vita democratica di un Paese (soprattutto a livello locale), costituendo “lo strumento per introdurre nuove forme di apertura dello Stato alla società civile” (Di Giacomo Russo 2015: 139). Ciò appare particolarmente evidente se si tiene conto “degli apporti culturali storicamente alla base della sussidiarietà ovvero la dottrina sociale, il pensiero liberale e quello federalista” (cit.: 38). In tal senso, il principio di sussidiarietà sancisce anche il riconoscimento del diritto all’azione del singolo e dei gruppi sociali che perseguono insieme l’obiettivo del bene comune.
Nel tempo, la sussidiarietà ha quindi assunto due direzioni prevalenti.
In proposito si parla di sussidiarietà verticale, indicando con tale locuzione un riparto di competenze compiuto tra i vari livelli dell’ordinamento positivo di uno Stato; e di sussidiarietà orizzontale, per indicare il ruolo di subsidatio svolto dal soggetto pubblico in sostegno e in aiuto dei privati.
Ragionando lungo la direzione verticale del governo del territorio, la convinta assunzione del principio di sussidiarietà per l’innovazione dell’azione urbanistica (e della natura processuale e integrata della pianificazione) appare quanto mai necessaria per superare lo storico ‘sistema di piani’ discendente dalla Legge 1150/1942, ordinati gerarchicamente e volti al controllo e alla regolazione dell’uso del suolo.
Una seconda buona ragione per praticare con convinzione il principio di sussidiarietà riguarda la sua possibile declinazione lungo la idealtipica direzione orizzontale che abilita i cittadini (singoli e associati) a svolgere attività di interesse generale quali, ad esempio la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni. Sotto questo profilo, il principio di sussidiarietà sancisce il riconoscimento del diritto all’azione del singolo e dei gruppi sociali che perseguono insieme l’obiettivo dell’interesse collettivo, assumendo il profilo di una ‘filosofia dell’azione umana’ che si apre alla solidarietà e si realizza nel raggiungimento del bene comune.
Entro la prospettiva delle azioni di cura e benessere sociale (welfare), la sussidiarietà è pertanto condizione abilitante per mettere in valore il sistema di relazioni che coinvolge organizzazioni, individui ed anche istituzioni e che interviene a definire scelte collettive su funzioni e usi dello spazio urbano, soprattutto quello deputato alla fornitura di servizi.
De Pasquale P. (2021), “Sharing is caring: i primi trent’anni del principio di sussidiarietà nell’Unione europea”, Il diritto dell’Unione Europea, no. 2, p. 429-452.
Di Giacomo Russo B. (2015), Il valore della sussidiarietà. Origini e attualità, Città Nuova, Roma.