Nel corso di questo anno, segnato dal governo Monti che il 21 dicembre ha concluso il suo mandato, sono stati varati alcuni provvedimenti, nessuno del resto (ad esclusione del Piano nazionale per le città) andato a buon fine, che mettendo al centro le città e il territorio avevano fatto sperare nell’avvio di un processo di riforma.
Si tratta del disegno di legge sul contenimento dell’uso del suolo proposto dal ministro delle Politiche agricole Mario Catania, del piano nazionale per le città, del piano contro il dissesto idrogeologico proposto dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini e del programma di riordino amministrativo e istituzionale riguardante provincie, comuni e città metropolitane. Un programma di piani che contengono ‘prove di riforma’ ma nello stesso tempo si presentano senza un disegno coordinato e forse proprio in ragione di questo con notevoli incoerenze al loro interno.
Proviamo a leggerli con più attenzione.
Il disegno di legge del ministro dell’Agricoltura affronta il consumo di suolo individuando nelle zone classificate dagli strumenti urbanistici vigenti come agricole le aree da tutelare, non comprendendo la consistenza e la valenza ambientale di tutte le aree non urbanizzate intorno alle città e rinunciando così ad uno strumento che consenta di ridurre il consumo in generale e non solo di quello agricolo. Il provvedimento inoltre non fornisce ai comuni gli strumenti attraverso i quali dovrebbero smettere di utilizzare nuovo territorio non urbanizzato, si limita a istituire una quota che dovrebbe essere ripartita tra le regioni e poi tra i comuni con il rischio che quest’ultimi, privi di alternative consumino le porzioni residue di suolo classificato agricolo per far fronte alle ristrettezze economiche. Positivo invece si presenta il divieto di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per far fronte alla spesa corrente dei comuni.
Il piano nazionale per le città dedicato alla riqualificazione delle aree urbane degradate, nelle intenzioni si pone l’ambizioso obiettivo di rilancio strategico delle città, anche se le risorse mobilitate sono davvero esigue e lo strumento, con la sola novità della cantierabilità degli interventi, richiama i programmi complessi degli anni Novanta e offre uno sguardo limitato al breve periodo sperando di offrire ossigeno alla crisi del settore edilizio.
Divieto di costruire, abitare e lavorare nelle zone ad alto rischio idrogeologico, accompagnati da assicurazione obbligatoria, manutenzione dei corsi d’acqua e difesa dei centri abitati, recupero dei terreni abbandonati, difesa dei boschi, protezione delle coste e riattivazione dei Bacini idrografici sono i punti principali del “Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio” che il ministro Clini ha inviato al Cipe dove prontamente si è arenato per i vincoli di spesa. Ancora una volta il tema centrale della pianificazione e della programmazione degli investimenti per la difesa del territorio vengono demandati alla prossima “inevitabile catastrofe”.
Il riassetto delle provincie e delle città metropolitane, nonché l’esercizio associato obbligatorio di funzioni e servizi dei comuni, previsti dalla legge 135/2012 e dal decreto del governo anch’esso non convertito per la fine della legislatura, a meno di polemiche e varie amenità sull’identità delle comunità locali e sulla importanza delle provincie e per contro dell’inutilità delle città metropolitane è stato accompagnato da un “grande silenzio” in merito alle opportunità che apre, dopo 150 anni e dopo i tempi della proliferazione delle provincie un ridisegno delle autonomie locali.
L’Inu ha proposto un documento (si veda l’apertura di Barbieri) nel quale si criticano le modalità attraverso cui si è pervenuti al disegno di riforma, basate essenzialmente solo su numero di abitanti e superficie territoriale ed ispirati ad un risparmio di spesa, ma si è valutata anche la potenzialità di tale iniziativa che prefigura nuovi assetti e nuove competenze considerando infatti che, per le città metropolitane così come per le provincie riformate, la pianificazione di area vasta e strutturale, nel caso delle città metropolitane, viene confermata e rafforzata.
Prove di riforma, aperture di segnali positivi verso il governo del territorio, ma che denunciano l’incapacità di ricomporre in unità una normativa stratificata, dispersa e incoerente. Difesa del territorio, contenimento del consumo di suolo, centralità delle città e pianificazione d’area vasta sono certamente i capitoli strutturali per costruire una visione sulle problematiche del territorio lasciate per lungo tempo alle politiche dei condoni e del cosiddetto piano casa che ipotizzando “una stanza in più per tutti” non è riuscito neppure ad avviare il programma di cantieri diffusi su tutto il territorio.
La proposta è ancora una volta quella che da molti anni, decenni, l’Inu propone, quella cioè di lavorare per presentare un unico provvedimento per riformare l’obsoleta legge urbanistica: la legge sui principi generali del governo del territorio. Un provvedimento che affronti in un quadro di coerenza tra Stato e Regioni il sistema delle competenze, la difesa rigorosa del territorio e del paesaggio, attivando efficaci strumenti di fiscalità che incentivino la rigenerazione urbana riportando l’attenzione alle città come luogo di produzione di innovazione e dissuadano il consumo di suolo promuovendo una agricoltura di qualità.
Le prove di riforma possono (devono) diventare il programma elettorale prima e l’azione poi del prossimo governo.