L’utilità di riflettere e dibattere sul sapere disciplinare dell’urbanistica in relazione a modelli e regole di ordinamento spaziale è certamente una delle eredità più fertili che il pensiero di Luigi Mazza ci abbia lasciato (Janin Rivolin 2023). Non secondariamente, ci ha stimolato anche alla messa a punto di un lessico appropriato per un sapere ampio e multiforme, come quello relativo alla cultura contemporanea della pianificazione spaziale.
A questo proposito, entro il vasto paniere che compone il lessico della lingua italiana, alcune parole costituiscono dei pilastri per le teorie dell’urbanistica. Come nel caso di ‘prossimo’, un termine che svolge funzioni grammaticali multiple, cui corrispondono altrettanti significati. Nella sua funzione di aggettivo, prossimo assume una doppia connotazione: spaziale, indicando vicinanza a qualcosa (o qualcuno); temporale, significando che più eventi stanno ‘in sequenza’ ovvero ‘si susseguono’, a indicare ciò che ‘viene dopo’. Nella sua funzione di sostantivo, ‘il prossimo’ indica ogni individuo rispetto a un altro individuo: in tal senso, diverse culture sottolineano l’essenza socio-relazionale di ciò che ‘il prossimo’ rappresenta, affrontando con diverse enfasi l’importanza di come relazionarsi all’‘altro’, enfatizzandone i valori morali, etici, sociali, religiosi e politici.
La tripla connotazione spaziale, temporale e sociale di questa parola è divenuta un paradigma da cui le attività del ‘fare urbanistica’ attraverso la pianificazione e i piani ancora oggi non riescono a prescindere. Laddove la pianificazione incontra la sua ragione primaria nel dare forma e organizzazione allo spazio fisico (a supporto di comunità insediate o da insediare), riprendendo la lezione di Mazza, fra i modelli di ordinamento spaziale sedimentati nel tempo fino a divenire nocciolo del sapere tecnico, riconosciamo quello che ha preso forma attraverso l’applicazione del concetto/principio ordinatore della ’prossimità’.
Il concetto della prossimità assume rilevanza nelle teorie dell’urbanistica in quanto riguarda le relazioni umane nello spazio urbano e nel territorio, la pianificazione e la creazione di ambienti che favoriscano la connessione sociale, la partecipazione, l’accessibilità e gli spostamenti, il benessere collettivo. La prossimità struttura il pensiero urbanistico (Vitillo 2022) nella ricerca di modelli di equilibrio spaziale, sociale ed economico in riferimento a temi quali:
servizi e socialità: in relazione ai modi in cui progettare e gestire spazi pubblici – come parchi e giardini, scuole, attrezzature di interesse collettivo, piazze e strade – in modo da facilitare l’organizzazione della vita quotidiana, le interazioni sociali e la costruzione di comunità. Spazi in grado di fungere da ‘luoghi’ che soddisfino i bisogni primari delle persone ma anche in cui le persone si incontrano, interagiscono e si connettono con il ‘prossimo’;
comunità e partecipazione: in relazione alle pratiche finalizzate alla partecipazione attiva delle comunità nella pianificazione del territorio e nella progettazione degli spazi urbani; un approccio che supporta una maggiore considerazione delle esigenze, dei desideri e delle interazioni delle persone ‘vicine’, ‘prossime’, consentendo la creazione di spazi più inclusivi e centrati sui bisogni delle comunità e delle attività;
mix funzionale e densità: allude alle tecniche con cui la pianificazione può promuovere, nel progetto di assetto complessivo della città, la creazione di quartieri che favoriscano il mix di funzioni, ossia la compresenza di attività diverse e servizi nelle vicinanze, favorendo opportunità di lavoro locali, riducendo la dipendenza dall’uso delle auto, contribuendo così a favorire relazioni e interazioni tra le persone ‘vicine’;
mobilità sostenibile: le sfide connesse alle crisi ambientali impegnano la pianificazione nell’organizzare la mobilità nelle città in modo sostenibile attraverso la promozione di mezzi di trasporto alternativi all’auto privata e in favore di una mobilità più ‘lenta’, ciclabile e pedonale, che possa anche creare opportunità per le persone di interagire mentre si spostano, contribuendo, così, anche a formare legami sociali tra il ‘prossimo’;
vivibilità urbana e benessere: concerne il tema della qualità insediativa urbana, in relazione ai caratteri sia fisici che sociali dei contesti, laddove l’attenzione ai contesti rivendica nuova attenzione essendo ormai da tempo conclusa la fase espansiva delle città; in tal senso sono da intendere le azioni finalizzate alla creazione di spazi pubblici adeguati e di qualità, l’attenzione alle esigenze dei residenti e la creazione di ambienti che favoriscano il senso di appartenenza al quartiere e alle comunità ‘vicine’.
Questa breve – e certamente non esaustiva – digressione attorno al principio insediativo della prossimità intende richiamare, ancora una volta, la correlazione fra le dimensioni fisiche e quelle sociali della città.
Per dirla con le parole di Salzano (2006) “La città non è un ammasso di case (e di infrastrutture, nda), non è il mero risultato quantitativo dell’aggregazione di edifici e di persone, non è il cieco prodotto del mercato. È una creatura sociale, un prodotto del lavoro collettivo e storico, e in quanto tale ha un’individualità che trascende la somma delle individualità che la compongono. Ed è un prodotto destinato a durare, a rimanere nel tempo uguale a se stesso, pur nel succedersi delle sue trasformazioni. È quindi un oggetto che deve essere progettato e riprogettato di continuo, con una regia che non può essere che pubblica”.
Questo pensiero ci rammenta che l’approccio alla pianificazione che ha retto per una buona parte del ‘900 deve cambiare. Le città non sono artefatti progettati una volta per tutte, ma sistemi complessi a più dimensioni che evolvono per effetto (anche) di dinamiche endogene.
Sistemi complessi caratterizzati, come gli esseri viventi, dalla continua rottura di strutture esistenti e dalla formazione spontanea di nuove strutture dal punto di vista sociale, dal punto di vista economico e a livello strettamente fisico.
Oggi la domanda di ‘buon’ governo del territorio muove verso dispositivi progettati per essere strumenti di analisi e interpretazione per permettere di anticipare l’esito delle decisioni politiche e non per produrre descrizioni e rappresentazioni statiche che abbiano la pretesa di essere complete, dettagliate e a tempo indeterminato. Numerosi studi nell’ambito della pianificazione seguono un approccio differente dal passato: coinvolgono discipline diverse e si fondano su un’idea di città e territorio interpretati nella prospettiva della complessità, muovendosi nella direzione di quelle che sono riconosciute essere le chiavi della vitalità e della vivibilità delle città. In forza di ciò va incorporato tutto il ’sapere’ disponibile e accumulato nel tempo sulle caratteristiche dello spazio e sui fattori che lo conformano.
Ma vi è un’altra importante questione da rimarcare, tanto nota quanto spesso trascurata, che riguarda le modalità di composizione dello spazio urbano e del territorio. Fino alla fase della crescita per ‘espansione’ essa avveniva sostanzialmente su aree agricole, non urbanizzate, esterne alla cosiddetta città centrale. A partire dalla fine degli anni ’80 e ancor più negli ultimi anni, la ri-composizione dello spazio è prioritariamente indirizzata ai tessuti della città esistente, alla modificazione, con diversi gradi di profondità, di quel che già esiste, al non consumo del suolo. Non siamo più di fronte al ‘foglio bianco’ dei terreni extraurbani tutti da disegnare sulla base di quei modelli compositivi dei materiali urbani che hanno dato origine alle ‘forme’ create dal nulla. Questa condizione del piano e del progetto urbanistico è venuta meno (certamente nei paesi occidentali).
Un’azione pianificatoria con al centro gli obiettivi di sostenibilità deve partire dall’interpretazione dell’esistente, dall’individuazione di logiche nuove, regole di coerenza e non solo di conformità: un agire che chiama in causa i concetti della cultura del riciclo e dell’ibridazione (Gabellini 2018). Entro questa logica, la forma tradizionale dei piani (qui intesa come quella definita dalla Legge 1150/1942 e dalle leggi regionali di prima generazione) richiede di essere modificata in senso innovativo. Essa deve cambiare anche perché deve confrontarsi con complessità e incertezza della condizione contemporanea e la difficoltà di riferirsi a previsioni e relativi dimensionamenti prestabiliti; altrettanto vale in relazione agli standard urbanistici, quali fondamentali infrastrutture di un welfare che non può più essere (solo) dimensionato su rapporti stabili tra dotazioni di aree per servizi e attrezzature e popolazione, anche perché sono completamente mutati i profili e gli andamenti della struttura demografica.
La prospettiva di innovazione alla quale si intende alludere è legata alla progressiva estensione, nei processi contemporanei di modificazione della città, di pratiche operative meno settoriali e derogatorie, episodiche e gerarchizzate rispetto a quelle che abbiamo (prevalentemente) potuto osservare fino ad oggi.
è evidente la necessità che tali pratiche siano maggiormente caratterizzate dalla cooperazione e convergenza di azioni e soggetti diversi, dalla interazione dialogica di vari livelli decisionali e competenze amministrative e, al tempo stesso, da una maggiore orchestrazione dei differenti sistemi di valore (ambientali, sociali, economici, culturali) che interferiscono nelle operazioni di rigenerazione urbana.
Si tratta di avviare una dimensione operativa integrata come modo nuovo e ‘ordinario’ di governare la città, in cui le ragioni dell’integrazione non solo derivino dall’esigenza di migliorare l’organizzazione operativa per programmare e attuare operazioni complesse che coinvolgono intere porzioni di tessuti urbani ma soprattutto dall’esigenza di promuovere le condizioni affinchè i piani e le azioni risultino efficaci per la modificazione qualitativa, in senso rigenerativo, della città.
Probabilmente ciò comporta che nella gestione dei processi dell’integrazione si intreccino strettamente le azioni di coordinamento e montaggio operativo volte a costruire le condizioni di fattibilità dei programmi con le azioni di indirizzo pianificatorio-progettuale volte a promuovere la coerenza e l’efficacia ai fini della rigenerazione urbana. L’orientamento di fondo dovrebbe ricercare soluzioni per favorire/supportare la correlazione fra fattibilità e qualità urbana come modo ordinario per gestire i processi di modificazione rigenerativa della città (esistente), attraverso una indispensabile regia pubblica nella promozione e negli sviluppi, anche negoziali, dell’integrazione, fino alla definizione di un possibile ‘accordo operativo’ nel quale convergano le considerazioni di qualità e sostenibilità, fattibilità e convenienza dei diversi attori della scena urbana coinvolti, pubblici e privati, in primis, i cittadini.
Gabellini P. (2018), Le mutazioni dell’urbanistica, Carrocci, Roma.
Janin Rivolin U. (2023), “L’impegno di Luigi Mazza (1937-2023) per un sapere tecnico consapevole”, Urbanistica Informazioni, no. 309, p. 110-111.
Salzano E. (2006), “Prefazione”, in H. Bernoulli, La città e il suolo urbano, Corte del Fontego, Venezia, p. ix.
Vitillo P. (2022), “Servizi di prossimità”, Urbanistica Informazioni, no. 302, p. 197.