Urbanistica INFORMAZIONI

Progetti integrati per le città storiche nell’era digitale

Centralità e storicità sono categorie interpretative intorno alle quali ruotano i modi di convenire su indicatori di urbanità, le tecniche per individuare valori e criticità, la possibilità di progettare gli ambiti urbani della nostra contemporaneità, che appaiono così recalcitranti a ogni ipotesi di perimetrazione. La concentrazione di interesse e risorse sulle periferie, la scarsità di disegno politico in materia urbanistica, la debolezza della professione, i conflitti sociali, la burocratizzazione del piano, la necessità di arrestare il consumo di suolo e l’opportunità di "costruire nel costruito", la fragilità rispetto alle pressioni dei cambiamenti sociali e climatici, la domanda turistica, la domanda di diritti primari, sono i tanti e diversi aspetti che riaccendono l’attenzione sui centri storici. Né va considerato secondario il contributo dell’innovazione tecnologica, che cambia i modi d’uso della città. La crescita della rete nell’era digitale sembrava annullare le distanze e la fisicità urbana. Le città, invece, sono in fase di espansione. La rivoluzione digitale ha modificato gli spazi urbani, attraversati da un costante traffico di flussi, ma ancora attrattivi per la possibilità dell’incontro fisico tra persone. Lo spazio urbano digitalmente integrato, unificato da una piattaforma informatica distributiva, è evocato dal termine smart city. Vi permane il nesso tra qualità fisica della città e qualità della vita. Su questa condivisa aspettativa, gli individui si uniscono in piattaforme digitali, intenzionati a creare le città che desiderano. Le smart cities evolvono verso le senseable cities, dimensione che enfatizza la centralità dell’uomo al loro interno (Ratti, 2017). La mutazione verso la proactive sentient city rivela come si modificano i sensori, non più solo tecnologici, ma anche biologici e civici, e come si moltiplicano gli attuatori, in una sorta di reciproca complicità verso un nuovo patto di cittadinanza (Carta, 2017). Le città si confermano come "l’espressione più pura di quel che siamo in quanto esseri umani, nel bene e nel male. Sono il grande segno che abbiamo impresso sul pianeta"; se davvero tendiamo verso una "città giusta, dobbiamo capire chi è incluso e chi ne è escluso" (Mehta, 2016). Paesaggio e beni culturali, che comprendono i centri storici, non sono estranei a questa dimensione, interpretabile anche come un’intenzione di semplicità del vivere urbano, affidata all’accessibilità a tutto ciò che compone il capitale territoriale, insieme di fattori materiali e immateriali, nella quale convivono temi nuovi, come sostenibilità e comunità, e temi antichi, come la bellezza. "Beneficiaria degli effetti della bellezza è senza mediazioni la città in cui essa è collocata ed è fruibile", ma "non è facile stabilire un criterio che nelle politiche urbane valga per tutti, a meno di non tornare alle antiche logiche della monumentalità o della bellezza certificata da esperti e soprattutto dai media" (Amendola, 2016).
Questo scenario aumenta la consapevolezza di quanto sia obsoleto l’approccio che contrappone tutela e progetto, paesaggio e urbanistica. Potremmo ripercorrere ogni tappa che, nel Novecento, ha segnato il lungo cammino del discorso sui centri storici, dai piani e alle inchieste, dalle leggi alle ricerche, dalle istanze ai documenti di architetti, urbanisti, storici dell’arte, associazioni culturali, dagli atti alle misure, varie e diverse, non sempre di tipo urbanistico. È un esercizio utile e coinvolgente. La conoscenza è fondamentale e va resa stabile, condivisa fra chi studia, chi insegna, chi progetta, chi governa. In definitiva, è anche la nostra storia, e non si può darla per scontata. Essa svela le conflittualità interne alla filiera pubblica, legate alla separatezza fra politiche di conservazione e programmazione delle trasformazioni, e i percorsi paralleli e distanti fra protezione e sviluppo, che presuppongono l’esistenza di qualcosa degno d’esser tutelato e qualcosa che può essere indifferentemente manomesso o modificato, il primo a cura dello Stato, in forza di princìpi costituzionali, il secondo assoggettato ai programmi delle amministrazioni locali. Il monitoraggio sulla stagione attuale della pianificazione paesaggistica regionale mostra innovazioni e aspetti ancora critici. La sperimentazione di pratiche di co-pianificazione, di partenariati tra pubblico e privato, il coinvolgimento sociale e la partecipazione pubblica, il ruolo del paesaggio come patrimonio di conoscenza per il piano locale, sono segnali di attenzione al processo di attuazione del piano paesaggistico, verso progetti strategici o integrati, con strumenti come linee guida e manuali. Tuttavia, restano deboli l’integrazione del paesaggio nelle politiche e nella pianificazione territoriale e di settore, l’identificazione di soggetti pubblici e privati responsabili della gestione, lo stanziamento di appropriate risorse finanziarie per l’attuazione. Permangono posizioni difensive che vedono nella pianificazione paesaggistica un sistema di protezione dagli assalti della pianificazione urbanistica ordinaria.
In questo quadro, una rinnovata attenzione alla città storica deve e può appoggiarsi a un approccio che, nel definire obiettivi della pianificazione rivolti alla conservazione, non si dimentichi della tensione fra la certezza di abitabilità per tutti e il mantenimento della qualità paesaggistica degli insediamenti, sfuggenti, nelle loro disarticolazioni, alle categorie analitiche e progettuali tradizionali. Nella città "dilatata, discontinua, irregolare, sfrangiata, aperta da tutti i punti di vista", guasti ambientali e disagi sociali si sovrappongono, non più nella "caratteristica piramide dei valori che dal centro degrada verso la periferia, ma dove si formano specifiche geografie del rischio ambientale e sociale che non risparmia i centri storici", dove le dinamiche sono imprevedibili, motivo "per cui un’urbanistica, che, per oltre un secolo e mezzo, si è appoggiata su capisaldi come le previsioni (più o meno sofisticate) estrapolando gli andamenti passati, la lunga e stabile durata dei piani (sempre imbarazzato l’atteggiamento nei confronti delle Varianti) e il dimensionamento, sempre riferiti allo spazio fisico e alla durabilità materiale e d’uso dei beni, si deve ora confrontare con la temporaneità (ossia i differenti tempi di trasformazione della città che non si lasciano chiudere dentro quelli dei piani operativi) e la cangianza" (Gabellini, 2017).
La questione dei centri storici nella contemporaneità potrebbe utilizzare due traiettorie di lavoro. In una prima direzione il tema del centro storico si colloca entro lo scenario della disciplina dei beni culturali e del paesaggio, che incide in modo rilevante negli attuali processi di pianificazione. Trattato così, il tema richiama la necessità di politiche di area vasta e si lega a quelle delle nuove economie, della difesa dei suoli e della ricostruzione. La pianificazione di area vasta permette di riconoscere città legate dai vuoti e riqualificate dalle prestazioni ambientali e sociali delle infrastrutture per l’interazione fra ambiente naturale e ambiente artificiale; parti storiche dei territori insediati non necessariamente centrali né baricentriche, ma perni stabili di un sistema insediativo che può accettare la labilità dei confini, che modifica le geometrie e le geografie anche per nuovi gradi di accessibilità, di abitabilità e di pratiche sociali. Oggetto dei progetti e delle politiche non potranno essere le sole caratteristiche formali dei centri storici nei perimetri noti, con ciò richiedendosi un distacco persino dagli approcci tipologici e morfologici più strutturati -uno degli strumenti, non più l’unico, ma le loro capacità territoriali e paesaggistiche, intese come prestazioni riconoscibili dalla collettività, in grado di alimentare l’integrazione e la ricchezza culturale, promuovere economie e cittadinanze, e per tal via, di contrastare fenomeni di degrado. Il centro storico è sì, ambito paesaggistico, ma non in forza di vincoli sempre più estesi, bensì di progetti culturali, sociali, economici. Così, i centri storici del III Millennio abbandonano le cinte murarie e lo zoning del piano tradizionale, si affrancano dal falso fascino della ricostruzione "com’era e dov’era". Con un nuovo approccio paesaggistico, si può cercare la via per rifondare relazioni economiche, sociali e identitarie costruite nel tempo, non riproducibili in un atto simultaneo; si prevengono gli eventi che, in qualunque momento, possono travolgere i centri storici, solo apparentemente indistruttibili, riducendoli a memoria sepolta sotto acque e terra. Un secondo campo di lavoro inquadra il tema del centro storico nella progettazione urbanistica complessa, integrata e sostenibile. Trattato così, il tema perde molti dei suoi connotati di recinto, fisico e culturale, aprendo ad azioni a impatto sociale per le città storiche. Vi si affronta anche la questione del consumo turistico. Persiste una visione di centro storico che neanche corrisponde all’intera città antica, ma solo a una sua piccola parte, disponibile per l’esperienza urbana del visitatore. Il moltiplicarsi di vincoli e di riconoscimenti, come quelli del Patrimonio Unesco, sembra far aumentare lo stato di febbre ai centri storici, il cui principale attore pare il tour operator, che ha la fortuna di poter utilizzare un bene disponibile, apparentemente immutabile, in grado di garantire emozioni e, purtroppo, pronto ad adattarsi a tutte le richieste. Non che le emozioni siano componente nuova per le città e in particolare per quelle storiche, ricche di memoria collettiva e di ricordi individuali. Ma, per dirla con Amendola (2016), "oggi, il fatto nuovo è che le emozioni -progettabili, gestibili e fruibili- sono considerate una preziosa risorsa che va messa a valore e utilizzata." La concomitanza di ampi margini di accoglienza da offrire in diverse forme, favorita dalla liberalizzazione del settore, porta a un paradosso: centri storici sempre più pieni di individui, sempre più carenti di vita e di persone. Di contro, dell’immenso patrimonio urbano storico di cui è ricco il nostro Paese, una grandissima parte è oggetto di spopolamento e abbandono, degrado, insediamento di individui che non sono ancora, e forse neanche lo sperano, cittadini. Il controllo della pressione turistica non è facile e certamente l’urbanistica non ha strumenti efficaci. Persino la regolamentazione delle funzioni è diventata insostenibile, per la necessità di facilitare attività non preordinabili nelle categorie delle destinazioni d’uso tradizionali, e per la prevalenza delle norme di settore su quelle urbanistico-edilizie. Sono le politiche che possono, integrando le tutele nelle nuove economie, favorire molteplici esperienze urbane da offrire al residente, allo studente, al lavoratore pendolare, al turista, spostando le masse dal loro accalcarsi, diffondere nelle città storiche l’abitare e i servizi connessi e pertinenziali, promuovere azioni per superare la dicotomia centro-periferia, assegnando pari dignità alle diverse parti della città, dando risposta ai bisogni delle persone, diverse per età, genere, culture e provenienze. Non v’è dubbio che occorra una regia pubblica forte, che vada favorita la convergenza di investimento, pubblico e privato, micro e macro. Diventa strategico il coordinamento tra programmazione e pianificazione urbanistica, per affrontare i diversi aspetti nella rimozione di degradi materiali e immateriali, in modalità intersettoriale, multiscalare e multiattoriale. Avvicinare politiche di coesione e programmi promossi per l’utilizzo dei fondi europei alla pianificazione territoriale e urbanistica è un passo ineludibile per realizzare "città e insediamenti umani giusti, sicuri, salubri, accessibili, economici, resilienti e sostenibili, per promuovere prosperità e qualità della vita per tutti" (Habitat III, Quito, 2016), in un quadro di criticità reso drammatico dalle fragilità derivanti dall’entità dei fenomeni migratori e delle catastrofi naturali, dal trend d’invecchiamento del Paese e dall’aumento degli stati di povertà.
Riprendere il discorso sui centri storici, indicare strategie, azioni e strumenti, è, prima di tutto, un’operazione culturale, sulla quale è necessario che convergano intenti e impegni di urbanisti, architetti, storici, politici, amministratori, investitori e, non ultimi, quelli dei cittadini, stabili e temporanei, vecchi e nuovi.

Data di pubblicazione: 28 luglio 2018