I processi che investono da tempo il Paese e dei quali ne prendiamo conoscenza solo a seguito di quelle che vengono chiamate “emergenze” devono essere affrontati e prima ancora descritti e misurati con strumenti nuovi e diversi dal passato altrimenti continuiamo a pensare alle stesse “inutili” soluzioni come dimostrano i contenuti delle tante leggi urbanistiche e di settore che affollano il Parlamento e i Consigli regionali. Incominciamo ad elencarli.
1. Le alluvioni e le calamità sempre più frequenti stanno connaturandosi come un fenomeno naturale coincidente con la pioggia; il territorio italiano non è in sicurezza e nonostante questa certezza non esiste un progetto e un programma di investimenti rilevati per questo dedicati.
2. Invecchiamento della popolazione e bassi tassi di natalità, flussi di persone che si spostano all’interno dell’Italia svuotando alcune aree e incrementando gli squilibri territoriali, processi migratori di immigrati poveri e di emigrati giovani, sono le evidenze delle dinamiche demografiche che producono impatti importanti e duraturi sulla struttura sociale e sul territorio rispetto ai quali le azioni politiche e i piani risultano indifferenti.
3 I processi economici hanno evidenziato nuovi soggetti sociali e nuove domande: di alloggio, di casa, di trasporto, di welfare urbano e anche di consumo, in primo luogo quello alimentare, ai quali non solo non si risponde perché non ci sono risorse pubbliche, ma l’agenda politica non ha ancora imparato a riconoscere.
4 Guardando al territorio l’aspetto più evidente è rappresentato dalla destrutturazione di quel modello conosciuto come la città compatta separata dallo spazio rurale e dall’affermarsi di quel processo che è stato chiamato “metropolitanizzazione”. Un processo derivato dalla diffusione insediativa e delle attività, da un modello di mobilità incentrato sull’auto privata, dall’insediamento di grandi infrastrutture nel territorio e da un consumo intenso di suolo agricolo e naturale. Un processo che abbiamo incominciato a riconoscere, ma rispetto al quale siamo ancora incapaci di formulare strategie di governo, meglio proponiamo sempre le stesse, almeno guardando alle proposte di legge nazionale e regionali.
Il tema è quello di avviare una seria riflessione, tornare a fare ricerca e individuare, prima di tutto, strumenti capaci di descrivere e misurare i processi.
Le anagrafi sono ancora una delle più importanti fonti informative per contare la popolazione, ma oggi sono anche uno strumento inutile e impreciso: quanti vivono in un luogo diverso da quello dove sono registrati? Quanti sono registrati, per i più svariati motivi dal lavoro a quelli fiscali, in modo difforme da dove vivono?
I flussi migratori sono di fatto estranei alle registrazioni anagrafiche sia quando interessano giovani italiani che si spostano sul territorio nazionale o vanno all’estero, mentre risultano convivere con i genitori, sia quando interessano i migranti provenienti dall’estero: sempre più temporanei e in movimento e con problemi diversi dal ricongiungimento familiare di qualche anno fa.
Le geografie fisiche e amministrative che regolano i processi di governo del territorio e di soddisfacimento dei bisogni sono “geografie statiche” che rimandano a modelli e comportamenti indifferenti all’uso che vene fatto degli spazi e delle funzioni urbane e territoriali. Mentre abbiamo bisogno di modelli relazionali che sappiano cogliere i flussi e come i flussi si modificano nel tempo (nel corso del giorno, durante la settimana) e come questi modificano anche gli usi che del territorio vengono fatti.
In questo quadro di scollamento tra processi reali e governo del territorio poche cose risultano certe:
il progressivo e continuo consumo di territorio agricolo e naturale, rallentato negli ultimi anni non come conseguenza di politiche di contenimento ma solo per l’effetto della crisi economica e immobiliare;
la “sospensione” dell’urbanistica, i comuni non fanno più i piani e si affidano, sostenuti dalle Regioni, a pratiche derogative che consentono soluzioni minimali senza affrontare i nodi oggi sul tappeto: difesa del suolo, salvaguardia delle reti ecologiche, rigenerazione urbana.
Il riordino amministrativo, una delle poche innovazioni che interessano da decenni il nostro ordinamento, avviato con le aree metropolitane e le unioni dei comuni può diventare il motore capace di innescare un percorso virtuoso che coinvolge le diverse scale di governo in un progetto – strategico e territoriale – che affronti le “emergenze” in un quadro di “ordinarietà”. Un percorso che deve avere al primo posto la riforma urbanistica che dia alle Città metropolitane e alle Unioni dei comuni gli strumenti per affrontare la tutela delle risorse naturali e per rispondere ai fabbisogni. Una riforma nazionale che consenta di affrontare il cosiddetto residuo di piano, che continua a sostenere la rendita anche in assenza di mercato, andando a sancire che il livello programmatorio del piano non conforma diritti edificatori.
Consumo di suolo zero e rigenerazione urbana rappresentano il secondo asse di lavoro che deve vedere queste due politiche strettamente connesse e articolate in un disegno che si dipana in strumenti normativi (contenuti nella riforma urbanistica) e scelte di politiche e piano. Consumo di suolo e rigenerazione richiedono di riconoscere le diverse realtà territoriali (grandi e piccoli comuni), le caratteristiche e dimensioni del degrado (grandi aree dismesse e situazioni puntuali), la struttura della proprietà (demanio pubblico, grandi proprietà private, frammentazione) e conseguentemente richiede di disporre di un ampio ventaglio di politiche e non semplici e generiche dichiarazioni di consenso, anche perché sono processi che richiedono, quasi sempre, un ridimensionamento delle ipotesi passate di valorizzazione economica che in urbanistica significa ridimensionamento delle volumetrie possibili.