Il Premio INU è aggiudicato a chi ha contribuito in modo particolarmente significativo al progresso, alla diffusione e al sostegno della cultura urbanistica nella società italiana.
Per il nostro Istituto è anche l’occasione di evidenziare la sintesi ritenuta più efficace per indicare le problematiche urbanistiche e territoriali di spicco nel periodo in cui il premio è attribuito. Vediamone una selezione.
Nel 2000 a Napoli, è l’immagine interpretata dal fotografo Gabriele Basilico che descrive “Il progresso della città contemporanea: domanda sociale, politiche, piani”.
Nel 2003 a Milano, il monitoraggio e la critica di Leonardo Fiori affrontano “Città e regioni metropolitane in Europa: strategie, politiche e strumenti per il governo della complessità”.
Nel 2005 a Roma, le inchieste di Milena Gabanelli inquadrano “Infrastrutture, città e territori”.
Nel 2011 a Livorno, l’abnegazione e il coraggio di Angelo Vassallo ci testimoniano tragicamente “La città oltre la crisi: risorse, welfare, governo”.
L’affiancamento al “Progetto Paese” di questo congresso è stato scelto valutando il significato storico e politico del paesaggio interpretato da Giuseppe Galasso, il racconto di Paolo Rumiz dei territori dimenticati da riannodare in un’idea aggiornata di parco dell’Appia antica, il collegamento ampio sportivo e socioculturale di una manifestazione popolare qual è il Giro d’Italia che alla fine è prevalso nella votazione a maggioranza del Consiglio direttivo nazionale.
l’impegno storico dell’INU su paesaggio, ambiente, ecologia, società, si rafforza ulteriormente con l’odierno riconoscimento alle due ruote. Già dal marzo di questo anno il sito di Urbanistica Informazioni accoglie il blog “Territori Ciclici”, per ora in corsa ci sono Paolo La Greca, da Catania, Alfiero Moretti, da Foligno, il sottoscritto, in ammiraglia il direttore Francesco Sbetti da Venezia. Ma le adesioni sono aperte.
Dopo 30 anni dall’apparizione in Inghilterra del “bicicletto”, il 13 maggio 1909 parte da Milano il primo Giro d’Italia. È organizzato dalla Gazzetta dello Sport. 127 Temerari si presentano al via prima dell’alba. Resteranno in 49 dopo 8 tappe di circa 300 chilometri ognuna. Un giorno di gara e un giorno di riposo indispensabile, 2.408 chilometri, vince Luigi Ganna da Induno Olona, Varese.
Nei primi decenni del Novecento il corridore deve essere anche un meccanico e un fabbro. I regolamenti internazionali lo obbligano a riparare i danni personalmente pena la squalifica. Con le strade fatte di sassi, fango e buche è frequente la rottura della forcella, della ruota o del telaio, invece le forature sono frequentissime. Per fortuna le bici sono in ferro e si possono saldare ma le officine sono solo nei centri abitati e quindi è frequente vederli andare a piedi per chilometri. Così i distacchi sono nell’ordine di due - tre ore e quindi la classifica è calcolata con i punti. Le biciclette sono a scatto fisso con pignone unico. I campioni dispongono di un’auto al seguito con la bici per la salita, gli altri per fare meno fatica devono girare la ruota posteriore che ha un pignone a destra e uno a sinistra.
Lo sforzo è estremo. Le pesanti biciclette sono anche gravate dal bagaglio del corridore, vestiti, alimenti, pezzi di ricambio. Grossi polveroni avvertono gli appassionati dell’imminente arrivo della corsa.
Gli anni ’20 assistono all’affermazione del primo campionissimo, Girardengo. L’omino di Novi contribuisce notevolmente al crescente successo di pubblico del Giro. Nel decennio dopo, la maglia diventa rosa, s’impone Binda. L’imbattibile verrà addirittura pagato per non partecipare al Giro del 1930. Il fuori classe di Cittiglio introduce una nuova cultura. Disinvoltura, eleganza, classe e compostezza, è il signore della montagna. Ma nel 1936, a soli 22 anni, esplode la stella di Gino Bartali da Ponte a Ema, Firenze. Traghetterà il ciclismo nella dimensione epica e nella passione aiutato anche dalle radio cronache. L’anno dopo nel percorso entrano le Dolomiti e ovviamente vince ancora lui, l’uomo di ferro che non si piega nemmeno alle richieste del fascismo. Contribuirà al salvataggio di molti ebrei trasportando nel tubo del telaio i documenti falsi. Nessuno può sospettare Bartali nei frequenti allenamenti Firenze - Assisi. Nel 2013 gli verrà riconosciuto alla memoria il titolo di “giusto” e il suo nome sarà scritto nel mausoleo di Gerusalemme.
Negli anni ’40 Campagnolo inventa il cambio, all’inizio è molto macchinoso ma nel giro di pochi anni si arriva a 8 velocità. È mutata anche la corsa. Nel 1940 un giovane gregario di Bartali un po’ malinconico e po’ timido sorprende tutti. A 21 anni vince il Giro Fausto Coppi da Castellania, 400 abitanti nelle colline di Alessandria. Si contrappone al vecchio Gino l’uomo moderno, così li definisce Curzio Malaparte, autore acuto che in un articolo del 1949 abbinerà “la prima epopea della bicicletta all’Iliade” riconoscendo Achille, Ettore e Aiace nei nuovi eroi su due ruote.
Il 1949 è l’anno magico. Il campionissimo nella Cuneo – Pinerolo arriva al traguardo con 20 minuti di vantaggio. “Un uomo solo è al comando; la sua maglia è biancoceleste; il suo nome è Fausto Coppi”, racconta la voce di Ferretti alla radio. Per la quarta volta vince il Giro e poi primo nella storia del ciclismo, nello stesso anno vince anche il Tour, ripeterà l’accoppiata nel 1952. Nasce il ciclismo moderno. Coppi è attento all’alimentazione. È seguito da un medico. Nulla è lasciato al caso. Prima della gara studia la strategia con la squadra. Cura personalmente la scelta dei gregari dai quali dipenderà, non solo per lui, il successo. Morirà nel 1960 per l’approssimazione dei medici che scambiando una febbre malarica per una polmonite non gli somministreranno poche pastiglie di chinino.
La rivalità Bartali - Coppi non è stata solo il confronto tra due modalità di vedere il ciclismo e di vivere. Ha segnato il successo di una gara che avviene davanti a casa, che va a cercare il pubblico, che si inerpica in luoghi ignoti facendoli poi sognare ai tifosi.
Nei giornali non solo sportivi, le migliori penne, Vergani, Campanile, Soldati, Buzzati, raccontano le corse nei paesaggi, descrivono la passione ai lati del nastro che fa nascere l’anima di luoghi sconosciuti che il ciclismo fa diventare mitici. Pordoi, Falzarego, Sestriere ma anche Izoard, Tourmalet, Galibier diventano un patrimonio comune, quasi famigliare, per la maggiore parte degli italiani che si sposta ancora poco dal luogo di nascita.
Negli anni ’50 durante il Giro in molte case ci si radunava attorno alla radio. Nel 1959 ricordo la trepidazione per le sorti del mio idolo Charly Gaul, che sul colle del Piccolo San Bernardo assesta a Jaques Anquetil oltre 12’ prendendogli nella penultima tappa la maglia rosa. L’Angelo della montagna sale deciso sui pedali le mani sulle corna del manubrio con il suo inconfondibile stile danseuse, mi sembrava di vederlo.
Dalla poesia alla realtà delle immagini prima in differita poi in diretta. La televisione fa vedere a un pubblico ancora più vasto le corse e i territori in cui si snodano. La carovana pubblicitaria del Giro si ingrossa. Il fascino aumenta. Sconfessando gli scettici la corsa rosa è sempre più popolare e si internazionalizza. Con Van Loy, il sire di Herentals, Van Steenbergen, il razzo della strada, Bahamontes, l’aquila di Toledo, Merckx, il cannibale, arrivano anche i grandi sponsor commerciali. La corsa cambia.
Crescono in tanti negli anni ’60. Disordinatamente le città. Le fabbriche si ingigantiscono. Le automobili in alcune occasioni si bloccano sulle strade troppo gremite. La chimica pesante si allarga nel ciclismo.
E siamo ai giorni nostri. L’avversario del ciclismo pulito, come in altri sport, diventa lo stress da prestazione. Sapere gestire la sconfitta è la maggiore prerogativa richiesta al corridore. L’ansia da vittoria purtroppo colpisce anche alcuni amatori. Sciaguratamente facilitati dal web o da stregoni paesani i prodotti dopanti aumento.
Nel fine settimana si colorano con lunghe file di ciclisti molte strade italiane. Ai lati del percorso del Giro milioni di appassionati appoggiati alle loro Colnago, Wilier o Bianchi sussultano al passaggio delle macchine su due ruote che non inquinano e che sono sempre più tecnologiche. Cresce quindi il fascino intramontabile della bicicletta che “In Italia appartiene a pieno titolo al patrimonio artistico nazionale” informa ancora Malaparte aggiungendo: “se la bicicletta fosse un geroglifico scolpito in un obelisco egizio ... non mi stupirei se significasse amore”.