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Perché è importante fermare il consumo di suolo per una vera transizione ecologica e per la rigenerazione dei territori

Negli ultimi anni si è posta (giustamente) molta attenzione al tema del consumo di suolo, inteso come la perdita di un bene comune limitato e di una risorsa fondamentale per l’equilibrio dell’ecosistema. È infatti ben riconosciuto l’impatto negativo di questo fenomeno, spesso irreversibile, che porta alla perdita di una preziosissima biodiversità, contribuisce significativamente ai cambiamenti climatici e limita fortemente la capacità di adattamento, aumenta la pericolosità, il rischio e i fenomeni di dissesto e di degrado del territorio, limita la capacità di regolare i principali processi ambientali, riduce la disponibilità di terreni fertili e produttivi e, in generale, incide, spesso, negativamente sul benessere e sulla qualità della nostra vita.

La pandemia ha reso, se possibile, ancora più evidente la criticità di insediamenti che, nel corso del tempo, sono diventati sempre più fragili e poco attrezzati ad affrontare le grandi sfide ecologiche, sociali e sanitarie che ci troviamo davanti e che influenzeranno sempre più radicalmente il nostro modo di abitare e di muoverci all’interno e all’esterno delle città. Eppure, anche nel 2020 e nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, il consumo di suolo in Italia (Rapporto Ispra - Snpa, Munafò 2021) ha sfiorato i 60 km2, anche a causa dell’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale.

Nell’ultimo anno, i dati rilevati da Ispra e dal Sistema nazionale per la protezione ambientale (Snpa) stimano che nuovi cantieri, edifici, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio, infrastrutture e altre coperture artificiali siano aumentati di circa 15 ettari ogni giorno. Un incremento in linea con quello rilevato nel recente passato che fa perdere al nostro Paese quasi 2 m2 di suolo ogni secondo. Una crescita delle superfici artificiali solo in minima parte compensata dal ripristino di aree naturali, pari quest’anno a 5 km2, dovuti al passaggio da suolo consumato a suolo non consumato (in genere grazie al recupero di aree di cantiere o di superfici che erano state classificate in precedenza come ‘consumo di suolo reversibile’).

La copertura artificiale del suolo è ormai arrivata a estendersi per oltre 21.000 km2, pari al 7,11% del territorio nazionale (era il 7,02% nel 2015, il 6,76% nel 2006), rispetto alla media UE del 4,2%. La percentuale nazionale sale al 9,15% all’interno del ‘suolo utile’, ovvero quella parte di territorio teoricamente disponibile e idonea ai diversi usi.

Le conseguenze sono anche economiche e i ‘costi nascosti’, dovuti alla perdita dei servizi ecosistemici che il suolo non è più in grado di fornirci a causa della crescente impermeabilizzazione e artificializzazione degli ultimi otto anni, sono stimati in oltre 3 miliardi di euro l’anno. Valori che sono attesi in aumento nell’immediato futuro e che potrebbero erodere in maniera significativa, ad esempio, le risorse disponibili grazie al programma Next Generation EU. Si può stimare, infatti, che se fosse confermato il trend attuale e quindi la crescita dei valori economici dei servizi ecosistemici persi, il costo cumulato complessivo, tra il 2012 e il 2030, arriverebbe quasi ai 100 miliardi di euro, praticamente la metà dell’intero Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Va ricordato che, con l’invio del Pnrr alla Commissione europea, il Governo si è impegnato formalmente ad approvare una “legge nazionale sul consumo di suolo in conformità agli obiettivi europei, che affermi i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso, sostenendo con misure positive il futuro dell’edilizia e la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola”. Una legge che, se riuscisse ad arrestare finalmente ed efficacemente il consumo di suolo nel nostro Paese, permetterebbe di fornire un contributo fondamentale per affrontare le grandi sfide poste dai cambiamenti climatici, dal dissesto idrogeologico, dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, dal diffuso degrado del territorio, del paesaggio e dell’ecosistema e contribuire positivamente alle finanze.

Tuttavia, nonostante questo impegno, che si aggiunge a quelli che tutti i diversi governi degli ultimi dieci anni hanno preso (e mai rispettato) di arrivare all’approvazione di una legge che fermi il consumo di suolo, nello stesso Pnrr sono presenti alcuni investimenti, come quelli su infrastrutture e su impianti di energia da fonti rinnovabili, che porteranno evidentemente e inevitabilmente a un incremento delle superfici artificiali. Solo per il fotovoltaico a terra, tra le misure previste all’interno del Pnrr e gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), che probabilmente saranno, tra l’altro, rivisti al rialzo, si stima una perdita compresa tra i 200 e i 400 km2 di aree agricole entro il 2030, a cui aggiungere, secondo Enel (2020), altri 365 km2 destinati a nuovi impianti eolici. Superfici così estese che impatteranno negativamente su diversi servizi ecosistemici del suolo e che lasceranno un’impronta indelebile e significativa sul paesaggio per gli anni futuri. Eppure una buona parte dei tetti degli edifici esistenti, gli ampi piazzali associati a parcheggi o ad aree produttive e commerciali, le aree dismesse o i siti contaminati, rappresentano esempi evidenti di come sarebbe facilmente coniugabile la produzione di energia da fonti rinnovabili, alla base della cosiddetta transizione energetica, con la tutela del suolo, dei servizi ecosistemici e del paesaggio, in una prospettiva di una vera transizione ecologica che non tenga in considerazione solo alcuni obiettivi specifici spostando l’impatto su altre risorse. Solo considerando i tetti degli edifici, ad esempio, ISPRA stima che quelli dove sarebbe possibile installare pannelli siano compresi tra i 700 e i 900 km2.

Il paesaggio rurale continua, inoltre, a essere frammentato dalla realizzazione di nuove infrastrutture ed è sempre più minacciato anche da ‘nuovi’ fenomeni, come quello legato allo sviluppo di poli logistici che, anche in questo caso, invece di riutilizzare gli abbondanti spazi inutilizzati e già edificati, porta a un elevato consumo di suolo. Il trend è in crescita (quasi mille ettari impermeabilizzati negli ultimi 8 anni solo per la logistica) anche per assicurare la disponibilità continua di enormi quantità di merci destinate all’e-commerce, che devono essere stoccate e posizionate in luoghi strategici ben collegati alle principali direttrici di trasporto. Così, la transizione digitale, come sta avvenendo per la transizione energetica, mal si concilia con la transizione ecologica se non la si affronta con un approccio integrato.

Il consumo di suolo non risparmia neanche le aree naturali presenti all’interno delle nostre città. Circa la metà delle trasformazioni registrate nell’ultimo anno avviene, infatti, all’interno di tessuti urbani esistenti, anche nell’ambito di iniziative che, a volte, sono ritenute interventi di rigenerazione. Si tratta, invece, di un processo guidato prevalentemente dalla rendita che porta alla progressiva densificazione e saturazione dei preziosi spazi verdi rimasti all’interno delle aree urbane (spesso chiamati ‘vuoti urbani’ per negarne l’importanza ecologica e sociale), che, anche quando non rientrano della categoria “verde urbano”, sono essenziali per la qualità della vita dei cittadini, dell’ambiente e del paesaggio, oltre a essere fondamentali per il corretto deflusso delle acque meteoriche, per la mitigazione del rischio idrogeologico, per l’adattamento ai cambiamenti climatici, per la riduzione dell’isola di calore, per il mantenimento della biodiversità e, a volte, anche per la produzione agricola. Il processo è presente anche nelle aree più densamente costruite, dove, in un solo anno, abbiamo perso in media 27 m2 per ogni ettaro di area verde.

È anche per questo che, all’interno degli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, è stato inserito quello della Land Degradation Neutrality, una situazione in cui la quantità e la qualità delle risorse territoriali, necessarie a sostenere funzioni e servizi ecosistemici e a rafforzare la sicurezza alimentare, rimangono stabili o aumentano entro specifiche scale temporali e territoriali. Un obiettivo da raggiungere in meno di dieci anni che, in un Paese come l’Italia, dove il fenomeno invece avanza su quasi un terzo del territorio, sembra impossibile.

Anche in Europa si è preso atto che dobbiamo agire con urgenza e che “è deplorevole che l’UE e i suoi Stati membri non siano attualmente sulla buona strada per rispettare i loro impegni internazionali ed europei relativi al suolo e ai terreni” (Parlamento europeo 2021). Il Parlamento europeo ha invitato esplicitamente la Commissione a prevedere “misure efficaci in materia di prevenzione e/o riduzione al minimo dell’impermeabilizzazione del suolo e qualsiasi altro uso del suolo che influisca sulle sue prestazioni, dando priorità al riuso dei terreni e del suolo dismessi e al riuso dei siti abbandonati rispetto all’uso di terreni non impermeabilizzati, al fine di conseguire l’obiettivo di non degrado del territorio entro il 2030 e di occupazione netta di suolo pari a zero al più tardi entro il 2050, con un obiettivo intermedio entro il 2030, per raggiungere un’economia circolare, nonché a includere il diritto a una partecipazione e consultazione effettive e inclusive del pubblico riguardo alla pianificazione dell’uso del territorio e a proporre misure che prevedano tecniche di costruzione e drenaggio che consentano di preservare quanto più possibile le funzioni del suolo, laddove sia presente l’impermeabilizzazione del suolo”.

Questi obiettivi sono ancor più fondamentali per noi, alla luce delle particolari condizioni di fragilità e di criticità del nostro Paese, e rendono urgente la definizione e l’attuazione di politiche, norme e azioni di radicale contenimento del consumo di suolo e la revisione delle previsioni degli strumenti urbanistici esistenti, spesso sovradimensionate rispetto alla domanda reale e alla capacità di carico dei territori. Come riportato nel IV Rapporto nazionale del comitato per il capitale naturale, presieduto dal Ministro della Transizione Ecologica, è necessario un cambio di rotta che conduca al ripristino dei nostri ambienti terrestri e marini, la base fondamentale del benessere e della salute di noi tutti.

Un cambio di rotta che non può che partire, come sostiene il Presidente di Ispra, dall’approvazione di una legge nazionale che assicuri da subito “un consistente contenimento del consumo di suolo, per raggiungere presto l’obiettivo europeo del suo azzeramento, come premessa per garantire una ripresa sostenibile dei nostri territori attraverso la promozione del capitale naturale e del paesaggio, la riqualificazione e la rigenerazione urbana e l’edilizia di qualità, oltre al riuso delle aree contaminate o dismesse” (Munafò 2021).

L’auspicata ripresa, quindi, dovrebbe partire dalla necessità di rigenerare l’ambiente e il territorio dove abitiamo, dalle grandi città ai piccoli borghi, riutilizzando e riqualificando l’esistente e il patrimonio costruito, puntando sull’elevata qualità ecologica e paesaggistica, sulla tutela della biodiversità, sulla conservazione e sul ripristino degli spazi naturali interni ed esterni alle città, affinché assicurino servizi ecosistemici indispensabili anche al benessere sociale ed economico.

Per ridurre gli impatti negativi del consumo di suolo occorrerebbe lavorare da subito sui tessuti urbanizzati per sanarne le numerose e profonde ferite, dovute a trasformazioni (abusive o legittime) che hanno segnato radicalmente il territorio. Le amministrazioni locali dovrebbero essere incentivate a favorire le buone pratiche di rigenerazione e di riqualificazione, partendo, ad esempio, dagli spazi pubblici più degradati, anche per dare un segnale importante ai cittadini e agli operatori privati e per stimolare un maggiore orientamento delle politiche territoriali verso la sostenibilità ambientale e la tutela del paesaggio.

Riferimenti

Enel (2020), Miti da sfatare: fotovoltaico ed eolico tolgono suolo utile all’agricoltura? 18 febbraio https://www.enelgreenpower.com/it/s... https://www.enelgreenpower.com/it/s....

Munafò M. (a cura di) (2021), Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2021, Report Snpa 22/21 https://www.snpambiente.it/2021/07/... https://www.snpambiente.it/2021/07/....

Parlamento europeo (2021), Risoluzione del Parlamento europeo sulla protezione del suolo 2021/2548(RSP) https://www.europarl.europa.eu/doce... https://www.europarl.europa.eu/doce....

Comitato Capitale Naturale (2021), Quarto rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia, Roma https://www.mite.gov.it/sites/defau... https://www.mite.gov.it/sites/defau....

Data di pubblicazione: 9 settembre 2021