Nella sua evoluzione a partire dal 1948 in poi, la pianificazione urbanistica provinciale del Trentino ha portato la provincia ad avere dei Piani Urbanistici con una forte valenza di difesa del territorio e stimolo per una cultura della pianificazione di livello comunale o intercomunale avente come base lo sviluppo compatibile. La pianificazione, in particolare a partire dal piano di Giuseppe Samonà del 1967 voluto dall’allora presidente della provincia Bruno Kessler, ha contribuito ad una protezione delle risorse primarie che sono proprie del territorio: acque, foreste, flora e fauna prima di tutto. Tali strumenti non sono stati però altrettanto efficaci nel difendere le realtà sottoposte alla maggiore pressione edificatoria, come ad esempio le periferie delle città in espansione, le località turistiche o le zone produttive. E se i centri storici sono stati oggetto di un recupero significativo, molte periferie sono cresciute caoticamente, quasi sempre in assenza di una pianificazione infrastrutturale, per lo più prive di una propria identità che le distingua da molte altre periferie italiane od europee.
Parallelamente è iniziata una proliferazione di pianificazione subordinata di settore eccessiva, che rischia di vanificare le potenzialità del piano provinciale vista la mancanza di dialogo fra gli strumenti, oltre che per la presenza anche di elementi di contrasto. E’ giunto quindi il momento di considerare l’ecosistema in cui viviamo come una materia primaria. Forse “La materia prima del Trentino”. E di conseguenza considerare l’investimento economico più accorto per il futuro, la conservazione di tale patrimonio, che è prima di tutto collettivo e rinnovabile, nella misura in cui sfruttamento e conservazione sono in equilibrio. Storicamente fonte di sostentamento per le popolazioni trentine, un equilibrio non precario è a portata di mano di una politica che pensa al futuro e sa tradurre un patrimonio collettivo in risorsa per un nuovo modello di sviluppo.
Serve però sgomberare il campo da una idea di cultura ambientale che conserva e non rinnova. Il fondamentale passo fatto il 20 ottobre del 2000 quando gli stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la Convenzione Europea del Paesaggio, con l’obiettivo di pervenire ad uno sviluppo sostenibile fondato sull’equilibrato rapporto tra bisogni sociali, attività economica e ambiente deve trovare compimento. Dalla tutela di singoli manufatti artistici o vedute “da cartolina” si è passati a forme di tutela che tengono conto del tessuto urbano come insieme, riconoscendovi i segni dell’identità, il valore di documento materiale per la storia e la cultura. Con la definizione di “paesaggio” è stata data voce a chi ritiene che la vera tutela sta nella evoluzione pianificata e nella razionalizzazione e non nella difesa conservativa. Un processo che richiede ancora stimoli in termini economici oltreché sociologici; una normativa già in parte recepita dalla Pat (Provincia Autonoma di Trento) con il Pup (Piano Urbanistico Provinciale) del 2008, ma che ora va tradotta in cultura della pianificazione. Ovvero in atti concreti rappresentati dalla pianificazione subordinata affidata alle comunità locali.
Partire dal territorio per un nuovo modello di sviluppo significa non appiattirsi su posizioni che ignorano la limitatezza delle risorse naturali e vedono nella proliferazione infrastrutturale il segno della modernità e dell’efficienza, ma neppure aderire a contrapposizioni senza mediazione che ignorano la complessità del presente. Pensare a nuovi modelli di crescita significa invertire i termini del confronto: non più il territorio come teatro di scontro politico tra estremismi liberisti ed ambientalisti, ma motore stesso dello sviluppo. La necessità di fronte a risorse esauribili e ad una economia che non può essere in costante crescita è selezione: uso selettivo di risorse, partendo dalla loro rinnovabilità.
Emerge la necessità di ragionare in termini di pianificazione paesaggistica, così come prevede il Prg di Rovereto dal 2009, e come prevede la Lp 15 del 2015. Dove in verità si parla di “aree paesaggistiche omogenee” intendendo tutelare singole specificità di aree limitate. Il piano comunale invece prevede la possibilità di andare oltre il concetto di tutela esteso a tutte le iniziative che riguardano il territorio non edificato, per estendervi in particolare la “valorizzazione”. In termini più semplici, oggi nessun intervento è consentito sui territori non edificati, a meno che non siano le grandi infrastrutture. Pianificare la bellezza dei luoghi è concetto astratto, come forse lo è il concetto di bellezza, ma a Rovereto si tenta l’esperimento di estendere un ampio perimetro che prende il nome di “Ambito di Paesaggio della Ruina dantesca”. Si tratta di una vasta area interessata da una grnde frana che raggiunse il suo culmine nell’880 d.C. Circa, e che Dante descrive per primo nel Canto XII: VII cerchio, I girone: l’incontro con il Minotauro
Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse.
Dante per primo ne dà una definizione “paesaggistica” descrivendo ciò che di essa appare interessante all’uomo. Poi per mille anni non è accaduto più gran che, a parte la spoliazione di qualche masso per costruire le case delle frazioni vicine, e poi nel giro di un secolo, nell’area si stravolge tutto: ai primi del ’900 viene piantato il pino nero considerata pianta pioniera che prima colonizza tutta l’aera, poi sfugge di mano e colonizza tutta la valle e quindi si ammala ed ora appare necessario abbatterlo. Vengono scavate cave molto consistenti tutt’ora presenti, ed il taglio delle falde ha generato dei laghetti divenuti biotopi con specie rare di tritoni, la prima guerra incide profondamente sulla parte alta dove si è combattuto e si sono scavate trincee e costruite fortificazioni. Si è scoperto che il microclima creato dalla pietraia ha generato una flora molto particolare, la zona produttiva ha invaso gran parte della parte a valle della frana ed è stata installata la più grande discarica del Trentino in mezzo agli accumuli di pietre. Infine, si è scoperto il più grande parco di orme di dinosauri d’Europa.
La difficoltà ora sta nel far diventare tutto questo un ambito di paesaggio togliendo le tantissime tutele incrociate di livello provinciale che bloccano qualunque possibilità di intervento, che paradossalmente stanno distruggendo i segni del territorio stesso. Il bosco cancella i segni della rovina e della guerra, l’acqua di scolo si infila nel colatoio dove sono le orme dei dinosauri rovinandole anno dopo anno, i turisti che salgono incontrollati fanno il resto.
Dal punto di vista normativo l’Ambito di Paesaggio è iniziativa comunale, che in questa fase di appoggia all’Osservatorio del paesaggio trentino, che è uno degli Strumenti per il governo del territorio, previsti dall’ordinamento della Provincia autonoma di Trento. L’Osservatorio è stato istituito nel 2010 in attuazione della Convenzione europea del paesaggio, ed ha come finalità la documentazione, lo studio, l’analisi, il monitoraggio del paesaggio trentino e la promozione della qualità delle trasformazioni che lo investono. Uno strumento non esecutivo, che per il momento si scontra con i tanti servizi (idrogeologico, forestale, Beni culturali, antincendio ecc.) per i quali la pianificazione è solo esclusivamente di settore.
Ma per Rovereto è una sfida necessaria per trasformare un’area ricchissima di potenzialità ora totalmente non sfruttata, in una risorsa turistica ricchissima attraverso un approccio pianificatorio innovativo.