Una ruota di 2.140 caratteri
I luoghi del ciclismo sono legati al corridore che lì ha compiuto un’impresa. Stelvio – Coppi, Piccolo San Bernardo – Gaul, Mortirolo – Pantani, l’elenco che potrebbe allungarsi molto evoca la fatica ma soprattutto l’esultanza. Però non è sempre andata così.
Dopo il 13 luglio 1967, Tour de France, “si impresse forte il legame tra ciclismo e morte, inquietanti alleati nella vicenda Simpson. Il tramite della liason dangereuse, il Mont Ventoux, assurse al ruolo di strumento spietato del destino, con l’aura misteriosa che ciò comporta.” Nelle sbandate agghiaccianti di Tom poco prima di superare il gigante di Provenza sgorga “una personale via della bicicletta in cui il dio della bicicletta fa capolino” tragicamente.
Molti coetanei di Ballestracci possono ritrovarsi in questa sua sorprendente descrizione che inquadra i percorsi spiegandoceli con un libro modellato dalle sconfitte. Non è nelle vittorie la principale motivazione per proseguire. Tutto inizia nell’identità dei luoghi, è un carattere che nel Monte Calvo, fuori dal tempo, affascina migliaia di ciclisti ma anche grandi poeti, Petrarca 1352. Per chi sale ansimando, in vetta trova il lato contemplativo di sé stesso. Tutto termina nel traguardo, striscione spesso indicato ma forse di più un arrivo riconoscibile per averlo passato. Successivamente a un certo Basso le lacrime di un certo Bitossi bagnano la linea bianca sulla strada di Gap nel 1972.
Ma cosa c’è dietro il principio e la fine? Impossibile non concordare con Ballestracci, seppure nascosto c’è il dio della bicicletta. Uno per ciclista? Uno per luogo? Onnipotente? Eterno? L’autore da Castelfranco Veneto non lo svela ma aiuta ricordando che “se si chiacchiera con un corridore in attività o con uno che ha appena terminato la carriera ci si rende conto che non c’è alcun legame del tipo che potremmo definire romantico con luoghi leggendari del Tour come il Galibier, l’Izoard, il Ventoux: sono solo passi da scalare che bisogna affrontare con la massima vigoria possibile”. Quindi ogni “storia di gambe” ha un proprio dio che muta con i tempi, gli atteggiamenti, gli obiettivi, le passioni, l’umanità.
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