Urbanistica INFORMAZIONI

Lep. Se non ora, quando?

La costruzione di un welfare sociale improntato non già alla risoluzione delle emergenze ma incentrato sulla promozione del benessere e delle capacità delle persone, quale motore dello sviluppo e dell’occupazione e fattore di inclusione sociale, ha radici lontane.

Se all’inizio della XIII legislatura è ancora regolato dalla Legge Crispi del 1890, [1] costituisce un tema caratterizzato da una articolata elaborazione sociale, in particolare da parte delle culture politiche di matrice cattolica e di sinistra: importanti innovazioni vengono introdotte con le Leggi n. 285/1997 ”Disposizioni per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’Adolescenza” e n. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che ha ridefinito il profilo delle politiche sociali apportando una serie di significativi elementi di novità (Turco 2020).

In quella stessa XIII legislatura, fra i contenuti innovativi previsti dalla riforma della Costituzione entrata in vigore con la Legge 3/2001, vi sono – fra gli altri – anche i Livelli essenziali delle prestazioni che, essendo connessi a diritti civili e sociali, devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. La riforma aveva assegnato allo Stato il compito di definirli, individuandoli quale materia di competenza esclusiva, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m. È noto che si tratta di un contenuto rimasto ancora inattuato.

Dopo un assordante silenzio durato ormai ventidue anni, nell’ultima legislatura è tornato ad essere un tema di grande attualità portato all’attenzione della scena politica poiché connesso alla definizione delle autonomie legislative differenziate delle regioni. Infatti, l’attribuzione delle funzioni è subordinata alla determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni [2] (Lep) che di fatto richiede di stabilire quali servizi e prestazioni devono essere offerti in tutto il paese, per garantire i diritti sociali e civili dei cittadini. In conformità a quanto stabilito dalla legge delega sul federalismo fiscale (L 42/2009), ciò significa che se lo Stato definisce un livello essenziale delle prestazioni, poi deve anche garantire a comuni, province, città metropolitane e regioni le risorse sufficienti per poterli erogare, soprattutto a quelli meno dotati di risorse (ad esempio per causa di una fragile capacità fiscale).

In relazione a quanto scritto nel disegno di legge licenziato dal Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli a fine febbraio 2023, i Livelli essenziali delle prestazioni saranno determinati con Decreto del presidente del consiglio dei ministri (Dpcm): l’ultima legge di bilancio ha infatti istituito a Palazzo Chigi una cabina di regia che entro fine 2023 deve individuarli sulla base delle ipotesi che saranno tracciate da una Commissione tecnica per i fabbisogni standard. [3]

Le materie per le quali è necessario stabilire uno standard adeguato di prestazioni e servizi che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale riguardano sanità, istruzione, assistenza sociale, trasporti: ambiti che riecheggiano (non a caso) le principali tipologie di standard urbanistici del Di 1444/68.

La definizione dei Lep non è l’unico contenuto rimasto inattuato della riforma del 2001.

Fra essi vi è l’altrettanto grave ritardo nella promanazione della legge di principi sulla materia concorrente del ’governo del territorio’, cui l’Inu ha dedicato il suo XXXI Congresso nazionale [4] “La riforma urbanistica e una nuova legge di principi per il governo del territorio” (Bologna, 2022), attivando un ‘cantiere’ per la messa a punto di una proposta (Talia 2022: 10).

In realtà, nel corso del 2022, qualcuno aveva ipotizzato che l’istituzione, da parte dell’allora Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile Enrico Giovannini, di una Commissione per la riforma della normativa nazionale in materia di pianificazione del territorio, standard urbanistici e in materia edilizia, avrebbe portato al superamento dell’ottantennale Legge 1150/1942, con le sue modifiche e integrazioni del periodo repubblicano soprattutto a partire dalla Legge 765/1967. Tale iniziativa si è interrotta con la crisi di governo della scorsa estate e con le dimissioni rassegnate dall’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi. [5]

Seppur dispersi nell’oblio del legislatore nazionale, corre l’obbligo domandarsi quali nessi possano intercorrere fra i Lep e un’attività del governo del territorio che, come la pianificazione, ha come fine ultimo il perseguimento dell’interesse pubblico e generale. A partire dagli evidenti rapporti, non soltanto semantici, con la disciplina dei servizi definita dagli standard urbanistici.

In tal senso, la scrittura della legge di principi sul governo del territorio appare il contesto normativo corretto per affermare che la dotazione minima di standard urbanistici risponde, in relazione all’attività della pianificazione, al riconoscimento di un livello essenziale minimo.

Infatti, giunto a valle di un processo di complessa negoziazione politica, il Di 1444/68 si configura come un provvedimento che definisce quei rapporti minimi inderogabili di spazi da destinare alla realizzazione di servizi pubblici e di interesse collettivo e rappresenta quel minimo livello di civiltà urbana (Astengo 1967) che le forze più riformiste del paese rivendicavano in relazione alla crescita espansiva e incontrollata del territorio, che si era progressivamente innescata a partire dalla fine del decennio degli anni ’50 del ’900. È noto che tale provvedimento normativo [6] definisce ancora oggi quantità minime di spazi e attrezzature pubbliche da destinare a parco e per il gioco e lo sport, per l’istruzione (asili nido, scuole materne e scuole dell’obbligo), per parcheggi, per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi, ecc.

Se lo standard è dunque un prerequisito di ordine spaziale per la produzione di servizi pubblici, esso rappresenta però una condizione necessaria ma non sufficiente per la realizzazione (e soprattutto il buon funzionamento) di ambienti urbani di qualità e per offrire ai cittadini la garanzia del diritto di pari dignità sociale previsto dalla Costituzione (art. 3). Dunque se è vero che la dotazione di standard racchiude in sé un potenziale servizio, non è altrettanto vero che tale dotazione soddisfi la totalità delle azioni di welfare necessarie. “È proprio la rilevanza del profilo sociale che, in particolare nella città contemporanea, pone in termini diversi la questione delle nuove domande di welfare, in presenza della evidente riduzione di risorse economiche (non soltanto quelle pubbliche) e della necessità/opportunità di un partenariato privato/pubblico. È questo un tema in cui è però necessaria la consapevolezza che l’urbanistica può pianificare e progettare solo alcune condizioni per favorire e praticare il welfare urbano, con la responsabilità (questa sì che le appartiene direttamente) ed il potere di progettarne una pertinente e adeguata spazialità, prioritariamente (ma non esclusivamente) attraverso la garanzia dello spazio della città pubblica e di uso pubblico e del suo reperimento e messa a disposizione” (Barbieri 2019: 42).

La quantità di suolo pubblico disciplinata nei piani comunali costituisce, dunque, ‘soltanto’ la premessa per la concreta realizzazione di servizi e l’attuazione di politiche pubbliche per il benessere dei cittadini. La previsione di una riserva di aree pubbliche rappresenta, pertanto, la fondamentale garanzia di base minima che si colloca all’inizio di un complesso processo finalizzato a soddisfare bisogni collettivi e sociali ma non sottrae l’attore pubblico alle sue responsabilità di esplicitazione e realizzazione di politiche di programmazione e di gestione.

Va da sé che garantire dotazioni urbanistiche minime inderogabili in tutto il paese, adeguate ai bisogni delle comunità locali, sia un compito cui l’attività della pianificazione non può sottrarsi in forza dell’irrinunciabile interesse collettivo cui è deputata.

Ed in relazione all’attività della pianificazione e alla disciplina della città pubblica, va considerato che i bisogni (vecchi e nuovi) della popolazione richiedono il superamento della (inutile e impropria) opposizione standard versus servizi: è evidente che si tratta di due oggetti diversi ed è ancor più evidente che occorrono entrambi.

Gli standard, in quanto dotazione quantitativa minima di spazi destinati alle attrezzature pubbliche o di uso pubblico nella città, al fine di garantire l’insediabilità e operatività di servizi pubblici e di interesse collettivo (la cosiddetta città pubblica) per ogni abitante residente e ogni nuovo abitante teorico previsto dal piano. I servizi invece si concretizzano nell’opera fornita e/o nella funzione, nella prestazione e nell’attività svolta dal soggetto pubblico (o privato [7]) gratuitamente o in base ad una tariffa concordata e rinviano ad una dimensione operativa e gestionale delle politiche pubbliche.

Preme, pertanto, sull’agenda del buon governo (non solo del territorio) la definizione di provvedimenti legislativi che determinino i Livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, pur sapendo riconoscere le specificità economico-sociali e normative dei territori regionali.

Riferimenti

- Astengo G. (1967), “Primo passo”, Urbanistica, no. 50-51, p. 3-4.
- Barbieri C.A. (2019), “La disciplina urbanistica nazionale della città pubblica: è necessaria una riforma e non solo degli standard”, in C. Giaimo (a cura di), Dopo 50 anni di standard urbanistici in Italia. Verso percorsi di riforma, INU Edizioni, Roma, p. 41-47.
- Talia M. (2022), “Le prospettive dell’urbanistica riformista in una complessa fase di transizione”, Urbanistica Informazioni, no. 305 special issue, p. 8-11.
- Turco L. (2020), “La legge 328/2000 «Legge quadro per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi» venti anni dopo”, Politiche Sociali, no. 3, p. 507-524.

[1Si tratta della Legge n. 6972 del 17 luglio 1890, “Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”; emanata da Umberto I, diede un’accelerazione nella trasformazione delle opere pie da istituzioni private in pubbliche, subordinandole ad una serie di controlli e di ispezioni amministrative.

[2In verità il silenzio è stato ‘rotto’ nel 2019 dall’allora Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Francesco Boccia che elaborò un testo di Ddl sull’attuazione del regionalismo differenziato cui va riconosciuto il merito di avere condizionato l’accesso all’autonomia legislativa differenziata all’individuazione dei Lep, alla determinazione dei costi e fabbisogni standard e alla regolazione del fondo perequativo per le Regioni a gettito fiscale incapiente ad assicurare nella pratica i Lep. Analoga iniziativa è stata successivamente ripresa dalla sua omologa Ministra Maria Stella Gelmini nel 2022.

[3Qualora il compito assunto dalla Commissione non andasse a buon fine, è previsto che tale compito venga assegnato ad un Commissario; le Camere avranno poi 45 giorni di tempo per l’espressione del proprio parere, prima che il Dpcm sia adottato.

[4Per approfondimenti sul XXXI Congresso Inu si veda https://www.inucongressorur2022.com/ [https://www.inucongressorur2022.com/]).

[5Le successive elezioni politiche svoltesi il 25 settembre 2022 hanno visto la vittoria della coalizione di centro-destra e la nomina di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) alla presidenza del Consiglio dei ministri.

[6Il Di 1444/68 discende dall’art. 17 della Legge 765/1967 (la ‘Legge ponte’ verso una riforma mai realizzata) e sancisce la nascita di due diritti fondamentali: il diritto al piano – rendendo obbligatoria la redazione dei Prg disciplinati dalla Legge urbanistica nazionale n. 1150/1942 – e il diritto alla città, determinando per la prima volta una quota minima di aree da destinare alla realizzazione di servizi pubblici in relazione alle diverse tipologie di funzioni insediate e da insediare (corrispondente, con riferimento alla funzione abitativa, a 18 metri quadrati per abitante).

[7Non va dimenticato che il principio di sussidiarietà ha una possibile declinazione lungo la idealtipica direzione orizzontale che si basa sul “presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini (sia come singoli, sia come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione ‘sussidiaria’, di programmazione, di coordinamento ed eventualmente di gestione" (Treccani 2023, https://www.treccani.it/enciclopedia/principio-di-sussidiarieta-diritto-amministrativo [https://www.treccani.it/enciclopedia/principio-di-sussidiarieta-diritto-amministrativo]).

Data di pubblicazione: 20 marzo 2023