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Leonardo Benevolo, il difficile mestiere dell’architettura

“Il mio mestiere è l’architettura. É più esatto dire così, che non “faccio l’architetto”, perché l’architettura è una cosa difficile da avvicinare, e io ho tentato di farlo con vari mezzi: progettare edifici, progettare piani regolatori, redigere progetti di leggi, scrivere libri o articoli di giornale, insegnare la storia dell’architettura. Non ho potuto ancora scegliere di fare una sola di queste cose, perché lo scopo - migliorare anche di poco l’ambiente fisico dove vive la gente - è troppo importante e difficile per tentare di raggiungerlo in un modo solo” [1].

Leonardo Benevolo descrive con queste parole il suo lavoro di architetto, urbanista, storico dell’architettura, docente universitario e scrittore (uno dei riconoscimenti di cui era più orgoglioso era il premio letterario Capri, ricevuto nel 1989 e condiviso con alcuni tra i più noti autori del Novecento: Bohumil Hrabal, Tahar Ben Jelloun e il premio Nobel Josif Brodskij).
“Qualche volta è possibile costruire un piccolo pezzo di questo ambiente […] qualche volta bisogna aiutare l’amministrazione pubblica a fare i piani urbanistici; qualche volta si scopre che occorre prima modificare le leggi, oppure che non si può fare nessuna di queste cose, e non resta che riflettere e scrivere” [2].
A Brescia riesce a costruire un piccolo pezzo di città pubblica. Negli anni ‘70 si trasferisce da Roma nella città lombarda con tutta la famiglia, decidendo di trasformare un incarico lavorativo in scelta di vita. Il compito che gli affida Luigi Bazoli, assessore all’urbanistica della città, diventa “uno degli impegni più importanti” [3] della sua esistenza. Il nuovo piano regolatore, adottato nel 1977 e approvato nel 1980, interrompe uno sviluppo urbano basato sull’edificazione indiscriminata delle aree private. L’amministrazione acquisisce una porzione del territorio comunale e avvia un mercato di aree pubbliche edificabili. Il prezzo è determinato dalla spesa complessiva che il comune affronta per l’acquisto dei terreni e la realizzazione di tutte le opere pubbliche. Tale offerta mantiene in pareggio l’operazione, attenua la rendita fondiaria e abbassa sostanzialmente per anni il prezzo delle case in tutta la città. La forte riduzione della fabbricabilità sulle aree private e la concentrazione dell’urbanizzazione pubblica in una sola ampia zona, conserva una periferia aperta e verde, dove le aree costruite si alternano a spazi liberi e coltivati. La discontinuità del tessuto costruito costituisce l’opportunità per affrontare il ridisegno della rete delle attrezzature e del verde e offre un sostanziale miglioramento del quadro di vita.
“Abbiamo fatto un’operazione tra le più radicali che si ricordino in Italia”, racconta Benevolo, “abbiamo cancellato i 9/10 circa della fabbricabilità concessa dal piano precedente e abbiamo deciso di contrapporvi non un disegno diverso della città, ma un metodo diverso, prendendo un pezzo del territorio comunale e acquisendolo progressivamente […]. Eravamo usciti dalla teoria, dalla contrapposizione delle tendenze in questo campo, ed eravamo nel campo della realtà. Era la realizzazione che guidava il nostro lavoro” [4].
Allo stesso tempo, perseguendo l’idea che la costruzione della città nuova e il recupero di quella antica sono due aspetti complementari della medesima politica urbana, Leonardo Benevolo avvia nel centro storico della città una sperimentazione simile a quella del nuovo quartiere San Polo.
Brescia, con Bologna, Urbino, Venezia, Palermo, Torino e la zona archeologica di Roma, fanno dell’Italia tra gli anni ’60 e i primi anni ‘90 un luogo centrale per la riflessione sulla tutela delle aree storiche della città consolidata. La conservazione viene intesa come prassi di intervento progettuale che deriva la sua regola operativa dalle origini storiche degli edifici, dai sistemi costruttivi originali e dall’intorno urbano. Queste esperienze individuano un processo specifico di analisi conoscitiva e intervento operativo che viene riconosciuto e accettato a livello internazionale come “un modello valevole in ogni luogo”, probabilmente “il contributo italiano più rilevante alla ricerca moderna internazionale”5 per l’architettura.
La medesima chiarezza concettuale e il rigore metodico che danno forma agli interventi operativi e ai piani urbanistici, ispirano anche le sue riflessioni teoriche e le sue lezioni. Per narrare opere e città, epoche e mondi, Leonardo Benevolo usa la stessa precisione tecnica del linguaggio concreto e analitico del progetto e gli strumenti propri della professione di architetto.
Con straordinaria capacità di sintesi e il ricco apparato di foto, disegni e rilievi, che lui stesso eseguiva o raccoglieva meticolosamente, delinea e cristallizza in figure di limpida chiarezza i complessi processi di formazione e stratificazione urbana. Il disegno era per lui strumento di indagine e di restituzione del pensiero. Che fosse la Parigi di Haussmann, la Tokyo imperiale o la Conca d’Oro palermitana, la restituzione grafica gli permetteva di incidere, isolare elementi di interesse, osservare forme e rapporti, studiare sintomi e individuare interventi corrispondenti. Benevolo sapeva riconoscere e discutere, lui diceva “sceneggiare” [5], le scelte concrete del lavoro di architetti e progettisti con la proprietà tecnica della competenza professionale oltre che con il respiro culturale del suo essere uomo profondamente colto.
La modalità di lettura di questa sua “critica specializzata” [6] – così concreta e oggettiva anziché filosofica o ideologicamente impegnata – rende i suoi scritti universalmente validi, indipendenti da mode, politiche o aree geografiche, e tutt’ora attuali. É tale caratteristica che ha permesso ai suoi libri sulla storia dell’architettura, dell’urbanistica e delle città (tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, svedese, ungherese, polacco, greco, turco, arabo, farsi, cinese e giapponese) di formare generazioni di architetti in tutto il mondo.
Leonardo Benevolo ha insegnato “Storia dell’architettura” a Roma (1955-60 e 1974-76), Firenze (1960-64), Venezia (1963-71) e Palermo (1971-74), si è congedato dall’Università nel 1976, senza però mai smettere di insegnare e imparare: “le due cose sono sempre legate” [7].
É stato consulente per l’Unesco e membro attivo delle più importanti organizzazioni nazionali che si occupano di urbanistica e tutela del territorio (Italia Nostra, Inu e Ancsa). Visiting lecturer all’Università di Caracas (1968 e 1972), Yale (1969-70), Tehran (1971), Rio de Janeiro (1980). È intervenuto alla Columbia di New York (1982), all’Università di Hosei a Tokyo (1986) e all’Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli (1987). Concludo ricordando che proprio in quest’ultima occasione, minore se paragonata ad altri suoi importanti impegni, redige il bellissimo studio su La cattura dell’infinito, in cui descrive il tentativo di esplorare fisicamente con i mezzi della prospettiva il senso della parola ‘infinito’, termine che le scoperte scientifiche del XVII sec. avevano trasformato da metafisico-religioso a rappresentabile-misurabile e accessibile fino al punto estremo di fuga dove l’occhio e la sperimentazione umana devono fermarsi.

[1Benevolo, L., La mia Brescia, Brescia 1989, p.11

[2Ibid.

[3Benevolo, L., Quindici anni di esperienze urbanistiche a Brescia, in Pola, A.P. (a cura di), Giorgio Lombardi, l’uomo e l’architettura, Venezia 2016, pp.15-19

[4Ibid.

[5Benevolo, L., La percezione dell’invisibile: piazza San Pietro del Bernini, in ‘Casabella’, n. 572, ottobre 1990, pp. 54-60

[6Ibid.

[7Benevolo, L., La mia Brescia, Brescia 1989, p.1

Data di pubblicazione: 16 febbraio 2017