In un recente Rapporto della RUR, Rete Urbana delle Rappresentanze, dal titolo: “I parametri sociali delle città”, Giuseppe Roma mette a fuoco due fenomeni che ci portano a riflettere sulle diagnosi e sulle cure per le nostre città. In primo luogo il lavoro evidenzia come, classificando i territori sulla base di comuni contigui con una densità superiore ai 200 abitanti per kmq, appare un sistema metropolitano assai diverso: le mega cities italiane risultano essere 14 e concentrano il 61.3% dei residenti in Italia sul 16.8% della superficie, con il 63% delle imprese attive nell’industria e nei servizi e il 71% del terziario avanzato. Il secondo fattore di rilievo fa riferimento dalle risorse attivate dalle città: ogni anno (seppure in discesa forse precipitosa) per le compravendite di abitazioni si sviluppa un giro di affari superiore ai 100 miliardi di euro, ma l’investimento in infrastrutture si attesta solo fra i 7 e 8 miliardi di euro.
Il presidente dell’Inu, Federico Oliva, nella riflessione che ci propone sulla città contemporanea evidenzia come la città italiana sia profondamente modificata in questi ultimi venti anni a causa del processo di metropolizzazione: “una nuova città caratterizzata da nuovi squilibri territoriali, da nuovi fenomeni di congestione e da una generale situazione d’insostenibilità, causata da crescente consumo di suolo e, soprattutto, dall’aumento del traffico motorizzato individuale, unica soluzione di mobilità possibile per i territori della diffusione insediativa che ne fanno parte. Nonostante questi elementi di criticità, la città contemporanea non rallenta la propria capacità di attrazione e non diminuisce la propria forza”.
La forza di questi dati mette in luce le criticità del governo del territorio che ignora la dimensione intercomunale dei fenomeni e nel contempo è incapace di attivare iniziative per la città pubblica, mentre la città privata mobilità risorse ingenti. Queste letture dei fenomeni territoriali pongono però anche una serie di interrogativi sulla capacità degli strumenti urbanistici, tradizionali e riformati, di affrontare queste criticità ed in particolare pongono il tema delle risorse per risolvere.
La crisi ha certamente cambiato tutto compresa la certezza delle risorse (ancorché insufficienti) per la città pubblica derivanti da oneri e Ici; questa discontinuità che mette in crisi, forse definitivamente, il modello consolidatosi nel tempo incentrato su nuove espansioni – nuovi standard pone la questione del reperimento delle risorse per il territorio.
E che il territorio abbia bisogno di risorse e investimenti è sotto gli occhi di tutti, non solo degli urbanisti. Servono interventi per la difesa del suolo, il governo delle acque, i servizi per la qualità urbana valgono per tutti scuola e asili, e interventi per la mobilità e il trasporto pubblico delle persone, come ci ricorda lo studio dell’Isfort presentato da Carlo Carminucci: “la quota di spostamenti con mezzi pubblici, sull’insieme di quelli motorizzati, passa nelle aree urbane dal 13,6% del 2002 al 11,6% del 2009, a fronte di un peso dell’automobile che arriva all’80% di tutti i viaggi motorizzati”.
Nel contesto che si è venuto a determinare, caratterizzato da un mercato immobiliare sempre meno dinamico e quindi sempre meno capace di generare flussi finanziari da destinare agli investimenti infrastrutturali, il tema del reperimento delle risorse per la città pubblica impone da un lato un ripensamento sugli strumenti propri dell’urbanistica: rendita, oneri, perequazione, dall’altra sollecita la necessità di costruire un investimento pubblico sulle città sviluppando interventi capaci di aumentare la competitività e l’attrattività delle città nel palcoscenico europeo e internazionale.
Sul piano degli strumenti nel riaffermare la perequazione urbanistica come modalità di attuazione dei piani, anche e soprattutto per quanto attiene ai processi di trasformazione urbana, si ripropone il tema più generale del controllo e ridistribuzione della rendita urbana (tema riaffermato da Campos Venuti anche nel libro intervista di Federico Oliva) che “rappresenta una ricchezza quasi interamente privatizzata e sottratta agli investimenti produttivi”.
Investire sulle città significa agganciare le nuove traiettorie di sviluppo orientate verso una società low carbon, capace cioè di un uso più attento delle risorse energetiche e di sviluppare una mobilità urbana davvero sostenibile. In molti paesi europei, anche come risposta alla crisi, si assiste a strategie di rafforzamento delle città, riconoscendo che le politiche pubbliche hanno li effetti moltiplicatori di misura insospettabile.