Almeno tre recenti provvedimenti normativi:
Legge 56/2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle provincie, sulle unioni e fusioni di comuni”;
lettera d-ter aggiunta all’art. 17 comma 1 lettera g Legge 164/2014 al Testo Unico Edilizia 380/2001;
“Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato” C.2039 testo approvato alla Camera;
sono intervenuti in materia di governo del territorio a partire da problemi che potremo definire per comodità “settoriali” e che comunque rispondono a specifiche esigenze: contenimento della spesa e riordino amministrativo, regolamentazione della materia edilizia, blocco del consumo di suolo. Interventi che tuttavia incidono in misura assai rilevante nell’ordinamento e nella pratica urbanistica aggiungendosi e sovrapponendosi alla “babele” disciplinare che ha caratterizzato l’ordinamento urbanistico regionale degli ultimi quindici anni.
Con questa constatazione non si intende affermare che solo con una legge urbanistica di principi e con una precisa definizione della materia concorrente tra Stato e Regioni sia possibile intervenire sul governo del territorio, ma norme che nascono in ambito “settoriale” inevitabilmente non contengono sempre i necessari riferimenti ad una materia per definizione “complessa” come il governo del territorio.
In questo contesto dato, le nuove norme che derivano da:
competenze attribuite alle città metropolitane, provincie e comuni senza nessuna chiarezza sugli strumenti di governo e con la previsione di nuovi piani che continuano a sommarsi anziché semplificarsi;
procedure perequative che ancora una volta si sovrappongono a quelle regionali non chiarendo in che modo vanno a convivere con altri istituti giuridici come gli Accordi pubblico privato;
nuove definizioni in merito alle politiche di “riuso” e nuove zonizzazioni quali ad esempio i “compendi agricoli neo rurali”, oltre all’ambiguità tra compiti di protezione del territorio rurale (produzione) e territorio naturale (tutela);
rischiano nel migliore dei casi di lasciare irrisolti i problemi e di produrre unicamente un ulteriore appesantimento delle pratiche urbanistiche.
Il problema è rappresentato dal fatto che si continua, anche, attraverso la produzione legislativa a leggere e interpretare i territori e le domande che sul territorio si formano, attraverso un’ottica legata all’urbanistica come strumento di regolazione della crescita, mentre la realtà che si deve affrontare si presenta completamente diversa e segnata da:
profondi e crescenti mutamenti climatici a livello globale e con specifiche caratterizzazioni locali;
crescenti flussi migratori e trasformazioni dei caratteri e delle dinamiche demografiche;
processi economici dove l’economia della conoscenza trasforma la domanda e la localizzazione di spazi per la “produzione”.
Una realtà che chiede un cambio di paradigma interpretativo, amministrativo e tecnico.
Questo Governo (ma anche i precedenti) e questo Parlamento (ma anche i precedenti) non vogliono e forse non possono fare di più e forse noi urbanisti dobbiamo rassegnarci, convivere e provare a costruire una strategia all’interno delle leggi regionali e delle leggi statali.
Nel quadro di queste “leggi separate”dobbiamo avanzare possibili percorsi che consentano di costruire politiche in grado di rispondere alla domanda di edilizia residenziale sociale, di accessibilità, di servizi urbani e di servizi eco sistemici senza produrre nuovo consumo di suolo rurale e naturale e avviando una profonda rigenerazione urbana capace di agire con una drastica riduzione dei consumi energetici.
Dobbiamo rivendicare una nuova fiscalità che riporti a senso il principio della perequazione urbanistica che significa “progetto della città pubblica” e non il “baratto” degli oneri a cui abbiamo assistito; ribadire la necessità di pervenire ad un criterio nazionale di contenimento del consumo di suolo senza demandarlo alle leggi regionali, rispolverando le modalità e i criteri utilizzati quando sono stati introdotti gli standard urbanistici con un decreto interministeriale valido per tutto il territorio.
Forse in questo percorso ci aiuta la riforma costituzionale che elimina la disciplina concorrente ma è necessario rimettere al centro la ridefinizione dei compiti del piano di area vasta e del piano urbanistico con una attenzione alle definizioni e competenze relative agli ambiti urbanizzati e ai perimetri esterni rurali e naturali.