Scommettere sul futuro
Per effetto di una drammatica successione di eventi che era iniziata nell’anno 2019 con la pandemia, e che è proseguita nel biennio successivo dapprima con la crisi economica determinata dall’aumento dei costi dell’energia, quindi con il manifestarsi di fenomeni atmosferici avversi che segnalavano l’accentuarsi del cambiamento climatico e, infine, con l’esplosione della guerra in Ucraina, il modo in cui siamo abituati a pensare al nostro futuro sembra destinato a cambiare radicalmente. I mutamenti a cui abbiamo assistito hanno infatti messo a nudo la nostra vulnerabilità nei confronti della natura, e di un contesto socio-economico che appariva sempre più imprevedibile e ingovernabile.
Ne consegue pertanto che i tre anni che hanno coinciso con l’intervallo temporale compreso tra il Congresso dell’Inu di Riva del Garda e quello immediatamente successivo di Bologna presentano un saldo particolarmente negativo, e lasceranno ferite nel territorio e nella trama urbana del Paese difficili da rimarginare. [1]
Nel nostro peculiare campo di interesse la sfida rappresentata da un futuro che incombe come una minaccia comporta il rischio di una progressiva perdita di reputazione di quei saperi che hanno fino ad oggi contribuito ad alimentare e ad arricchire di significato la valutazione, l’orientamento, il disegno e la regolazione dei processi di trasformazione urbana e territoriale. Per effetto di questa crescente involuzione dei riferimenti cognitivi degli studi di prospettiva, tende ad ampliarsi il gap che separa ormai da tempo la rapida corsa delle discipline scientifiche e delle innovazioni tecnologiche, rispetto al percorso ben più lento ed incerto della ricerca in ambito umanistico. Un settore, quest’ultimo, in cui si colloca almeno in parte la nostra disciplina, che non ha dimostrato in molti casi di possedere una capacità critica all’altezza degli avvenimenti e delle linee di tendenza più recenti, e che ha provocato “uno sbilanciamento, una specie di disallineamento nella presa complessiva dell’intelletto contemporaneo sulla realtà” (Schiavone 2022: 21) che non sarà facile recuperare.
Rispetto a questa incompiutezza della nostra riflessione sul cambiamento dovremmo tendere ad un profondo ripensamento della costruzione intellettuale del tempo e del suo divenire, soprattutto per quanto concerne il riconoscimento del potere che abbiamo, come collettività, di rispondere a processi caotici e impetuosi di trasformazione, e della responsabilità, che ogni individuo si assume, di scegliere una evoluzione peculiare del mondo e della società in cui vive (Prigogine 2003: 45).
Gli insegnamenti che la nostra storia ci mette a disposizione
Anche alla luce di queste prime considerazioni dare un senso al nostro tempo può costituire un compito fondamentale, almeno da quando si è diffusa la convinzione che stiamo assistendo ad una improvvisa accelerazione dello sviluppo scientifico, del cambiamento sociale e, più in generale, di quegli accadimenti collettivi che ‘fanno’ la storia. Perché ciò possa avvenire, e perché la storia possa aiutarci a trasformare il futuro è necessario contare su una rinnovata consapevolezza dell’importanza della posta in gioco, e della necessità di convertire gli effetti, in gran parte negativi, delle straordinarie vicende a cui stiamo assistendo in un nuovo modo di intendere e di organizzare la società, e possibilmente in una nuova cultura di governo del territorio.
Se dunque l’Inu, nell’estate del 2019, ha deciso di promuovere un ciclo di iniziative finalizzate alla celebrazione del suo novantesimo anniversario (1930-2020) che si sarebbe concluso a fine 2021 con l’inaugurazione di una Mostra negli spazi del Maxxi di Roma, eravamo certamente spinti dalla volontà di contribuire al consolidamento del prestigio e della autorevolezza della nostra associazione, e più in generale della cultura della pianificazione nel nostro Paese. Ma con il passare dei mesi abbiamo cominciato a renderci conto che a questo obiettivo più circoscritto era possibile associare una finalità più generale, che riguardava il tentativo ben più ambizioso di ordinare il tempo che ci siamo lasciati alle spalle, rendendolo meno sfocato e più gravido di suggestioni e di conseguenze.
Rivendicando la responsabilità di chi prova a interpretare il passato per alimentare la riflessione sul futuro, ci siamo basati su una ’freccia del tempo’ che può essere impiegata alternativamente per interpretare eventi più recenti, sui quali disponiamo di una documentazione molto più ricca, ma la cui interpretazione risente di una insufficiente sedimentazione di teorie maggiormente condivise, oppure per indagare un passato più lontano, che gode di una ’naturale’ decantazione di avvenimenti e contributi teorici, ma che si allontana progressivamente dal nostro punto di osservazione, diventando prospetticamente sempre più ‘invisibile’ (Rovelli 2017).
È piuttosto evidente che il ricorso ad una definizione approssimativa del passato, del presente e degli stessi scenari futuri, se può costituire un riferimento fondamentale per chi prova a ricostruire la freccia del tempo, rischia di rappresentare il mero prodotto di un costrutto intellettualistico per quanti intendono privilegiare lo studio degli eventi e il loro disporsi in una successione cronologica. Non diversamente da quanto accade alla dimensione spaziale, la cui configurazione tende a rivelarsi plurale, asimmetrica e additiva (Lefebvre 1974), anche le declinazioni del tempo si ricompongono incessantemente, rendendo particolarmente complessa l’esperienza del mondo e del suo divenire (Dorato 2013).
Nell’esame compiuto sull’eredità lasciata all’Inu e alla storia del pensiero da personaggi notevoli e da maestri dell’urbanistica che affollano la nostra storia, abbiamo deciso di rifuggire da una visione ’celebrativa’, accettando di mettere a confronto i successi e i fallimenti (sicuramente più numerosi) che hanno caratterizzato la nostra storia nella convinzione che da pochi avvenimenti riusciamo ad imparare così tanto come dalle sconfitte. Ne è emersa una ricostruzione del passato che inevitabilmente guarda al futuro, e che sostanzialmente conferma l’importanza del ruolo svolto nel corso del tempo dall’Istituto in rapporto a quello che può e vuole assumere oggi, e a fronte dei profondi cambiamenti già intervenuti o in corso di svolgimento. Qui la natura magmatica del ’tempo’ delle idee ha trovato una ulteriore conferma, e con essa la sua capacità di permeare il contributo individuale e, allo stesso modo, risultarne condizionata.
Nel superare i condizionamenti esercitati dalle tradizioni, dalle convenzioni o addirittura dai vincoli che provengono dal non aver mai fatto davvero i conti con il passato, si rivela necessario un cambio di passo che modifichi in profondità la nostra concezione del tempo e dello spazio che abbiamo elaborato, e in cui abbiamo collocato le relazioni fra la natura, gli individui e gli artefatti che l’uomo ha costruito durante la storia della civiltà. E con l’obiettivo, irrinunciabile, di postulare un nuovo patto tra generazioni che non potrà fare a meno di riguardare la nostra stessa disciplina.
Governo del territorio e attuazione del PNRR
A fronte di un approccio emergenziale che nonostante le chance offerte dal PNRR rischia di contrassegnare le iniziative pubbliche, il governo del territorio è probabilmente destinato a rivelarsi un fattore decisivo della transizione verso un nuovo paradigma di sviluppo, nel quale è inevitabile che la città assuma finalmente una rilevanza strategica.
Come abbiamo più volte sottolineato, i nostri insediamenti sembrano interessati ormai da tempo da un cambiamento che, per usare la terminologia gramsciana, ha assunto il carattere dell’interregno, che da un lato sembra preludere ad un progressivo declino della modernità, e dall’altro alla possibile affermazione di un differente scenario, dagli esiti promettenti ma largamente imprevedibili. Il passaggio da un vecchio ordine urbano che si sta disgregando ad un nuovo assetto di cui fatichiamo a definire i contorni potrebbe fornire in altri termini la risposta ad esigenze pressanti, quali ad esempio l’esigenza di ospitare un multiforme processo di riorganizzazione della residenza e del lavoro, oppure l’urgenza di compiere quella transizione ecologica a cui chiediamo al tempo stesso di rimettere in equilibrio il bilancio energetico e di rendere più efficace l’azione di contrasto nei confronti del cambiamento climatico.
A tale proposito è utile riprendere in considerazione le osservazioni di Joern Birkmann (Birkmann et al. 2010: 637-655), quando ci incoraggiava a vedere nei disastri associati a eventi estremi o a disastri naturali non solo la causa di impatti traumatici per il sistema socio-economico e l’assetto territoriale, ma anche un incoraggiamento a cambiare il modo di pensare e di agire dominante. Seguendo questa sollecitazione è possibile ritenere che il processo di ricostruzione che farà seguito ai molteplici fattori di crisi che abbiamo già passato in rassegna potrà costituire una “window of opportunity”, che potrebbe consentirci di affrontare, insieme alla tutela dei cittadini e delle attività economiche più duramente colpite, anche la risoluzione delle criticità e dei ritardi strutturali che affliggono il nostro Paese ormai da troppo tempo.
Nella prospettiva che abbiamo delineato il miglioramento delle condizioni sanitarie e della qualità della vita della popolazione costituisce evidentemente solo il primo passo di un processo ben più ambizioso, che dovrà condurre a una riduzione delle disuguaglianze – che negli ultimi anni si sono ulteriormente aggravate – non solo nelle condizioni di accesso alle dotazioni urbanistiche e al patrimonio culturale, ma anche nel soddisfacimento di una aspirazione generalizzata al benessere psicofisico e alla bellezza.
Se teniamo conto delle risorse straordinarie che accompagneranno l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, possiamo avanzare l’ipotesi che la messa a punto di un’”Agenda urbana nazionale” potrà costituire un primo passo particolarmente significativo, tale da comportare l’individuazione dei temi fondamentali di sviluppo e la selezione delle priorità d’intervento, con un riferimento più specifico alla lotta alla povertà e alla segregazione spaziale e sociale, alle strategie indirizzate a contrastare il cambiamento climatico e demografico, ad azioni mirate per favorire lo sfruttamento delle energie rinnovabili. Nel rivendicare la centralità della questione urbana nelle politiche per la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile, conviene puntare al tempo stesso al rafforzamento del ruolo svolto dalle istituzioni di governo locale come soggetti chiave delle strategie di investimento e del dialogo inter-istituzionale.
Valorizzando fino in fondo i benefici promessi dalle innovazioni tecnologiche, la città si candida per ospitare un programma ambizioso di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, che si propone di contribuire alla decarbonizzazione del sistema produttivo, allo sviluppo dell’economia circolare e al ricorso ad iniziative che ruotano intorno alla rigenerazione urbana e al turismo sostenibile.
Grazie a questo nuovo quadro di riferimento il progetto urbanistico ha il compito di raccogliere le sfide sollecitate dalla preoccupante congiuntura che stiamo attraversando. L’ampliamento dello sguardo e della capacità di analisi che ne consegue è certamente indispensabile se vogliamo avviare la transizione verso un nuovo stile della pianificazione, che si proponga di coinvolgere i soggetti e gli attori delle trasformazioni insediative in un percorso più creativo, e al tempo stesso assai più complesso. E con la possibilità – sia detto per inciso – di mettere in discussione l’attuale profilo del planner, che dovrà aggiornare al più presto le sue competenze accettando una differente collocazione nel processo decisionale e nella formazione del piano. Nel nuovo scenario disegnato dal PNRR gli aspetti problematici di questa asimmetria rischiano di compromettere il successo delle iniziative che puntano al superamento dell’emergenza e al rilancio dell’Italia sulla scena globale. Se si vuole assicurare una sostanziale coerenza tra gli obiettivi, così rilevanti e diversi, del Piano (ridurre l’impatto sociale ed economico della pandemia, migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia, sostenere la transizione verde e la digitalizzazione, sviluppare il potenziale di crescita dell’economia creando nuova occupazione) e il macroscopico incremento dei flussi finanziari che si renderanno disponibili, sarà necessario garantire il ricorso ad una regia pubblica integrata, che preveda l’assunzione degli spazi dei beni comuni, delle reti verdi e blu, del sistema delle principali attrezzature e delle dotazioni urbanistiche come grandi infrastrutture collettive, con i quali assicurare la tenuta del Paese, la fornitura e la tutela dei diritti di cittadinanza, il successo delle politiche di rigenerazione urbana e territoriale.
C’è ancora spazio per la disciplina urbanistica?
È difficile negare che la congiuntura attuale, anche per le considerazioni che abbiamo appena richiamato, si caratterizzi per una marcata discontinuità nei confronti di una fase immediatamente precedente, e che si traduce in primo luogo nel passaggio da un sistema di pianificazione tradizionalmente condizionato da una cronica carenza di risorse, ad una stagione (quella del PNRR) che può passare alla storia per un afflusso straordinario di mezzi finanziari molto concentrato nel tempo, e senza poter contare su una presenza significativa di strumenti di governo del territorio.
Sempre per effetto di questa improvvisa alterazione delle condizioni di contesto, il nostro Paese sta abbandonando una situazione caratterizzata complessivamente dalla assenza di politiche pubbliche di respiro nazionale e dalla capacitazione dei soggetti e attori della pianificazione che partecipano alla sperimentazione di esercizi di collaborazione pubblico-privato, per approdare ad un paradigma di intervento a prevalente orientamento pubblicistico, in cui l’ingegneria finanziaria si sovrappone alle procedure e ai riti della pianificazione. È ragionevole supporre che questa improvvisa svolta venga interpretata come una ennesima prova non solo della inutilità della pianificazione, ma anche delle distorsioni introdotte dal mercato. Per effetto di questa evoluzione un medesimo scetticismo potrebbe investire tanto l’urbanistica, quanto l’intero apparato statale e i meccanismi di adattamento spontaneo, che in situazioni fortemente caratterizzate dall’incertezza denunciano tutta la loro inadeguatezza. Ne consegue inevitabilmente che a partire dal funzionamento della amministrazione pubblica, fino alla selezione dei quadri tecnico-amministrativi e alla fungibilità delle competenze tecniche erogate è l’intera operatività dell’apparato pubblico che dovrebbe partecipare alla attuazione del PNRR ad essere messa in discussione.
Per effetto di questa situazione di incertezza è possibile che l’attuazione dei principali interventi che verranno finanziati venga affidata a provvedimenti straordinari non pianificati, e che si finisca per aderire ad una sorta di urbanistica opportunista che finisce per privilegiare il caso per caso, e per affidarsi alla sperimentazione di tattiche estemporanee tali da valorizzare il ‘fiuto’ dell’amministratore e/o del planner.
È infatti necessario prendere atto che nel corso degli ultimi anni la fiducia nel pensiero critico e nell’operato sostenuto dal ricorso a conoscenze specialistiche ha cominciato a subire una prolungata e diffusa contestazione, tanto che nell’opinione pubblica di molti Paesi occidentali ha cominciato a farsi strada la convinzione che gli esperti e gli intellettuali fossero i rappresentanti di una élite che era nemica degli interessi popolari, e di cui era possibile fare sostanzialmente a meno (Nichols 2017). A fronte di questa situazione allarmante, e per quanto ci riguardava più direttamente, abbiamo ritenuto che la difesa dei saperi esperti dovesse puntare in primo luogo sulla rivendicazione dell’autorevolezza e del prestigio che l’Inu ha conquistato nel corso di una storia lunga ed importante iniziata nel 1930. In questo modo abbiamo passato in rassegna non solo i successi, ma anche i numerosi fallimenti dell’urbanistica italiana (la Legge Sullo, il Progetto ‘80, la riforma del regime dei suoli, ecc.), dai quali è necessario ripartire se si vuole superare il pesante ritardo che abbiamo maturato nei confronti di altre scuole europee.
Questa fiducia nella storia, e nella sua capacità di offrire una cornice interpretativa ai dilemmi scientifici e culturali che dobbiamo affrontare, può renderli più comprensibili e governabili, e può fare in modo che la soluzione dei nuovi problemi che abbiamo di fronte si riveli molto più agevole grazie ad una rinnovata fiducia nel principio di competenza, e nella possibilità che quest’ultimo favorisca, e non inibisca, l’espressione autonoma e democratica della volontà dei cittadini (Dorato 2019: 156-157).
Il ’cantiere’ della legge di principi sul governo del territorio
Per effetto della fine anticipata del governo delle larghe intese, la fase affannata che ci stiamo lasciando alle spalle ha coinciso con l’inaspettata interruzione di alcuni percorsi riformatori e con la mancata approvazione di importanti decreti attuativi da cui dipendeva, tra l’altro, la stessa attuazione del PNRR. Tra gli effetti di questa crisi politica si segnala inoltre la precoce interruzione dei lavori affidati alla Commissione di esperti che era stata incaricata da Enrico Giovannini, Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, di elaborare alcune proposte coordinate di riforma in materia di pianificazione del territorio e di standard urbanistici, nonché di riordino e di modifica delle disposizioni presenti nel Testo unico dell’edilizia.
Come avevamo sottolineato solo pochi mesi fa (Talia 2022), l’itinerario che il nostro Istituto avrebbe dovuto percorrere fino alla presentazione di una proposta di legge di principi sul governo del territorio in occasione del XXXI Congresso, avrebbe dovuto comportare anche l’attivazione di un fertile terreno di confronto critico con le posizioni assunte dalla Commissione ministeriale, ma a questo punto abbiamo dovuto prendere atto del sopraggiungere di un importante cambiamento di scenario. Nei giorni concitati della campagna elettorale, e poi della formazione di un nuovo Governo, abbiamo dovuto affiancare alla elaborazione di un articolato di legge una riflessione più ampia e stimolante sulle condizioni che dovranno essere soddisfatte perché l’approccio riformista al governo del territorio possa conseguire i risultati auspicati.
È peraltro evidente che se il contributo di nuove politiche urbane dovesse trovare un favore crescente nel corso della nuova legislatura, gli effetti sul governo del territorio non si farebbero aspettare. Le conseguenze più significative potrebbero riguardare ad esempio lo sviluppo della mobilità sostenibile, il recupero urbanistico e la rigenerazione urbana, la cura delle persone, la comunicazione digitale, la razionalizzazione della filiera dell’agricoltura, la razionalizzazione del ciclo dei rifiuti o della green economy, ma ci troveremmo soprattutto nelle condizioni di mettere in discussione l’impostazione complessiva dell’intervento pubblico nella pianificazione del territorio. Un sistema di previsione e controllo, quest’ultimo, che finisce sovente per disinteressarsi dei contenuti dell’azione amministrativa, per occuparsi al contrario soprattutto delle procedure, con la conseguenza di determinare in molti casi una caduta di responsabilità dello Stato nei confronti della condizione urbana, e di dar vita al tempo stesso ad una produzione legislativa ipertrofica e sostanzialmente inefficace, destinata a condizionare le iniziative e le politiche di bilancio degli enti locali (Tocci 2013).
Conviene comunque evidenziare che il tentativo di pervenire ad una versione ’sostantiva’ del riformismo urbanistico di cui abbiamo sottolineato l’importanza, non tende necessariamente a indebolire il nostro impegno nella elaborazione di una proposta efficace di revisione della legislazione urbanistica. Al contrario, è facile dimostrare che nuove politiche pubbliche potranno trovare una piena consapevolezza proprio in virtù delle novità introdotte dalla riforma della Costituzione del 2001 che attengono tra l’altro alla diffusione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, e che sono tuttora in attesa di un positivo e concreto accoglimento (Caravita e Salerno 2021) soprattutto per quanto riguarda il nostro ordinamento in materia di governo del territorio.
È molto probabile che non solo la marcata accelerazione dei processi attuativi che dovrà essere assicurata, ma anche il carattere sperimentale di alcuni interventi prioritari e la scala sovra-regionale che converrà impiegare soprattutto per la realizzazione di alcune grandi opere non potranno fare a meno di introdurre un nuovo equilibrio nei rapporti tra il settore pubblico e quello privato, e tra centro e periferia, con effetti di particolare rilievo non solo per il sistema economico e sociale, ma più in generale per lo stesso assetto del territorio.
In relazione a questi prevedibili cambiamenti, e alla necessità di innovare la materia che regola l’esercizio delle competenze concorrenti tra lo Stato e le Regioni, e ormai indifferibile non solo la riscrittura del Titolo V della Costituzione, ma anche la revisione di un sistema di pianificazione che è ormai obsoleto (e forse anche la stessa riscrittura del Titolo V della Costituzione). Tale sistema risulta ormai condizionato dalla presenza di un impianto normativo che risale al 1942, in relazione al quale l’Istituto nazionale di urbanistica ha deciso di presentare nel suo XXXI Congresso di Bologna un progetto che punta a rilanciare con decisione il processo di riforma del governo del territorio.
In occasione di questo importante appuntamento non intendiamo limitarci alla proposizione di una legge di principi che si proponga di superare quell’indeterminatezza implicita nella applicazione del principio di disciplina concorrente al governo del territorio, che tende a produrre una frequente competizione tra lo Stato e le Regioni relativamente all’esercizio della potestà legislativa. In attesa che questa complessa materia venga opportunamente riscritta, conviene infatti richiamare l’attenzione delle istituzioni e delle forze politiche su alcune questioni fondamentali, che sono ancora in attesa di definizione, e che dovranno far parte dell’agenda del prossimo decennio.
A partire dal contenimento del consumo di suolo fino alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, o che dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che attengono ai diritti sociali e civili si spingono fino alla esplicitazione del ruolo delle Regioni nella pianificazione e delle funzioni assegnate a Comuni, Province e Città metropolitane, è necessario fare in modo che la proposta di una legge di principi e il varo di una nuova agenda urbana possano contribuire congiuntamente all’avvio di una nuova stagione riformista. Di conseguenza è possibile attendersi una legislazione regionale più solida e coerente, e una forma del piano che sia in grado di bilanciare i strutturali, regolativi e quelli strategici e operativo-progettuali, e che riesca a dar vita allo svolgimento di un’azione di contrasto nei confronti della dissipazione del territorio e del cambiamento climatico, e alla promozione di un diffuso ricorso agli strumenti della rigenerazione urbana.
Naturalmente la storia infinita della riforma urbanistica richiede una certa cautela, una storia che si è caratterizzata, negli ultimi decenni, per la presentazione di numerosi disegni di legge, sovente anche con il contributo dell’Inu, ma nessuno dei quali è riuscito finora ad andare in porto.
Nella consapevolezza dell’urgenza di una legge di principi fondamentali e regole generali per il governo del territorio e la pianificazione, ma anche della difficoltà di pervenire nel breve termine a risultati significativi, l’Istituto ha sì deciso di concentrare la propria riflessione sulla proposta di una piattaforma legislativa, che consenta di rendere più solida e coerente la legislazione regionale, di aggiornare la forma del piano attraverso un soddisfacente bilanciamento dei contenuti regolativi e operativi e di quelli strutturali e strategici, di contrastare in tutto il territorio nazionale la dissipazione del territorio ed infine di promuovere un diffuso ricorso agli strumenti della rigenerazione urbana. Ma ha ritenuto opportuno sottolineare contemporaneamente che l’innovazione del processo di pianificazione non può essere affidata solamente all’approvazione, pur determinante, di una legge di principi sul governo del territorio.
Se dunque il processo di riforma non potrà fare a meno di puntare, come abbiamo già sottolineato, non solo sulla revisione dei contenuti normativi e degli effetti giuridici della pianificazione, ma anche sull’ampliamento e l’aggiornamento delle competenze dell’urbanista, sarà necessario affiancare alla proposta di un nuovo articolato normativo una iniziativa culturale che contribuisca a irrobustire il profilo tecnico-scientifico e operativo del planner. Tale azione si rende necessaria ora che questa figura professionale è chiamata sempre più spesso a rinunciare ai contenuti autoriali del progetto urbanistico, e a proporre in cambio un più ampio ventaglio di conoscenze e di specializzazioni.
In attesa che i lavori congressuali affrontino la numerose e impegnative questioni che abbiamo passato in rassegna per poi riprenderle e concluderle nei mesi successivi al Congresso, conviene mettere in evidenza ancora una volta che la riforma del governo del territorio implica ormai una vasta e articolata materia, che prevede un intervento combinato e complesso sulla dottrina della pianificazione, sulle politiche urbane e territoriali, sulla diponibilità di competenze professionali con un marcato spettro interdisciplinare, con le quali è oggi possibile affrontare le nuove responsabilità imposte dal cambiamento in atto. È dunque un vasto programma quello che ci attende, ma l’urgenza e l’indifferibilità della transizione cui stiamo assistendo ci costringe ad affrontare con decisione queste nuove sfide.
Birkmann J., Buckle P., Jaeger J., Pelling M., Setiadi N. et al. (2010), “Extreme events and disasters: A window of opportunity for change? Analysis of organizational, institutional and political changes, formal and informal responses after mega-disasters”, Natural Hazards, vol. 55, no. 3, p. 637-655.
Caravita B., Salerno G. M. (2021), “Ripensare il Titolo V a vent’anni dalla riforma del 2001”, Federalismi.it, fascicolo no. 15/2021.
Dorato M. (2013), Che cos’è il tempo? Einstein, Godel e l’esperienza comune, Carocci, Roma.
Dorato M. (2019), Disinformazione scientifica e democrazia. La competenza dell’esperto e l’autonomia del cittadino, Raffaello Cortina, Roma, p. 156-157.
Lefebvre H. (1974), La production de l’espace, Anthropos, Paris, trad. it. La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976.
Nichols T. (2017), The Death of Expertise, Oxford University Press, Oxford.
Prigogine I. (2003), Il futuro è già determinato?, Di Renzo Editore, Roma, p. 45.
Rovelli C. (2017), L’ordine del tempo, Adelphi, Milano.
Schiavone A. (2022), L’Occidente e la nascita di una civiltà planetaria, Il Mulino, Bologna, p. 21.
Talia M. (2022), “Alla ricerca di un corretto registro per la riforma urbanistica”, Urbanistica Informazioni, no. 303.
Tocci W. (2013), Sulle orme del gambero. Ragioni e passioni della sinistra, Donzelli editore, Roma, p. 9.
[1] Nei numerosi contributi che ho pubblicato in questi anni in qualità di Presidente dell’Inu ho già avuto modo di affrontare singolarmente le differenti questioni che qui proveremo a ricomporre liberamente (e senza riproporre per brevità i rispettivi riferimenti bibliografici) in uno stesso quadro d’insieme. La principale novità di questo testo risiede pertanto nel tentativo di operare una sintesi tra riflessioni e punti di vista che qui vengono riproposti al solo scopo di applicare quello stesso orientamento riformista che accomunava quegli scritti alla più vasta materia del governo del territorio.