Usare il plurale quando si parla di associazioni degli urbanisti può ancora suonare strano a chi è rimasto legato all’unicità dell’Inu ed ha continuato a muoversi all’interno del suo ambito. Tuttavia, molto è cambiato dai tempi eroici di Olivetti e dalla stagione gloriosa dell’urbanistica riformista quando erano le spaccature interne all’Istituto, le sue battaglie e i suoi aspri confronti a monopolizzare non solo il dibattito ma l’espressione stessa della cultura urbanistica e degli attori del settore.
Oggi occorre guardarsi intorno e prendere atto della molteplicità, ovvero del fatto che gli urbanisti si sono organizzati in molte associazioni e può anche accadere che la stessa persona ne faccia parte di più di una contemporaneamente. Questo fenomeno può essere ascritto all’estendere ed al complessificarsi del campo; in altri termini, ad una crescita dell’urbanistica per autonomia, numero dei professionisti, ampliamento ed incidenza delle pratiche, diramazioni degli interessi. Abbiamo avuto la diffusione degli strumenti urbanistici in tutti i comuni del paese, il decentramento della legislazione urbanistica alle regioni e dei poteri decisionali sempre più spinti verso gli enti locali più vicini al cittadino. La pianificazione si è occupata di politiche urbane, di problemi sociali, di programmi di sviluppo locale, di processi di gestione e di implementazione, della valutazione e del rapporto tra pubblico e privato. L’educazione all’urbanistica ha visto nascere e moltiplicarsi i corsi di studio indipendenti e la formazione di tecnici specializzati. Tutto questo processo ha moltiplicato numero e varietà dei problemi da affrontare. Andiamo dal riconoscimento professionale dei laureati in urbanistica alle travagliate vicende accademiche delle riforme universitarie fino all’evoluzione del regime dei suoli urbani e alla redistribuzione della valorizzazione immobiliare.
Che un coacervo di interessi e problematiche non potessero essere tutte contenute in maniera efficace all’interno di un medesimo organismo può risultare più che comprensibile, sebbene qualche rammarico non si riesce a reprimere se l’espansione comporta delle lacerazioni e la separazione di nuclei in realtà distinte. Né la condizione di primogenitura giustifica l’ignoranza dell’evoluzione avvenuta e dei suoi frutti nella presente articolazione organizzativa; tanto meno, un superbo distanziamento che sottovaluti le nuove realtà, le loro caratteristiche ed il loro ruolo.
Ad AssUrb (Associazione italiana degli urbanisti e dei pianificatori territoriali ed ambientali) deve essere riconosciuto il merito di essersi fatto carico degli interessi dei laureati in urbanistica, oggetto di una incredibile discriminazione da parte degli Ordini professionali degli ingegneri e degli architetti quando impedivano loro di svolgere la professione per cui erano stati formati, vanificando la grande impresa accademica di Astengo. Né l’attuale precario ed insoddisfacente equilibrio raggiunto può considerarsi la conclusione di quella battaglia che deve proseguire rivendicando l’esclusività dell’esercizio della professione, al pari di tutti gli altri laureati. Finché ingegneri ed architetti, con un livello nettamente inferiore di preparazione specifica, potranno pianificare, non ci sarà vero spazio professionale per gli urbanisti. Non si tratta di una semplice rivendicazione corporativa, quanto piuttosto del riconoscimento dello spessore della pratica professionale che non può più essere ridotta all’espressione accessoria dell’edilizia perché ha consolidato un proprio corpus di conoscenze e competenze indispensabile e non surrogabile.
Dall’altra parte abbiamo il mondo accademico sotto pressione per il profondo cambiamento dell’Università. L’accentramento con il nuovo modello di governance e la continua riduzione del finanziamento alle Università riduce gli spazi operativi dei docenti e le loro prospettive. Il processo di decrescita colpisce specialmente le discipline più giovani e meno radicate com’è quella urbanistica i cui corsi di laurea si sono dimezzati in un paio d’anni. La fase espansiva, generosa nel favorire la diversificazione culturale e professionale della figura del pianificatore, si è invertita sotto la pressione dell’assenza di risorse umane ed economiche. Anche gli sbocchi professionali si sono notevolmente ristretti, regredendo ai ruoli più tradizionali, per la cancellazione dall’agenda del governo delle politiche urbane e per la regressione nelle politiche sociali. Il patto di stabilità ha bloccato perfino la spesa dei fondi europei per il Mezzogiorno.
Questa crisi che conduce, quasi naturalmente, alla conservazione, come se volesse mettere l’orologio indietro di vent’anni, fortunatamente è affrontata con un opposto indirizzo da un nutrito movimento di docenti per i quali le prospettive della disciplina vanno mantenute aperte verso un futuro di progresso. Presidiare le posizioni accademiche non consiste in una disperata lotta di potere ma nel rilancio dell’identità dell’urbanistica a cui la precedente fase espansiva ha sfrangiato i perimetri con le contaminazioni, spesso fertili, in altri campi disciplinari ed ha destabilizzato il nucleo centrale con gemmazioni i cui legami si sono lasciati troppo indefiniti.
Come compito ancora più importante, per garantire un incisivo futuro all’urbanistica, è quello di formulare il suo “statuto” e il suo programma di ricerca in modo tale da dimostrare come il suo apporto risulti indispensabile per la soluzione dei fondamentali problemi contemporanei di un mondo urbanizzato. Senza voler approfondire questo argomento su cui sono stati già prodotti interessanti documenti e gran parte della più avvertita ricerca urbanistica si è già avviata, vale sottolineare la lucidità di un pensiero che vede lo stretto legame tra la realtà accademica e il suo ruolo sociale.
Una simile prospettiva si può tradurre in un ambizioso programma di medio, se non di lungo periodo, che deve prevedere continuità e cumulatività, senza escludere diversità di approcci, rifondazioni, critiche e distinzioni, ma tutte, e per quanto possibile, convogliandole verso il fine condiviso. Altrettanta stabilità ed organizzazione richiede la possibilità di esercitare una qualche influenza nel governo dell’Università. A questi compiti si sono presentate, anche nelle altre discipline, le società scientifiche, nelle quali si promuove lo sviluppo della ricerca, si indirizzano i giovani, si costruisce la reputazione. Oggi abbiamo due organizzazioni che si configurano come società scientifiche: la Siu (Società Italiana degli Urbanisti) e UrbIng (Associazione degli urbanisti delle Facoltà di Ingegneria). Questa duplicità è legata all’esistenza di due settori scientifici disciplinari ICAR 20 e 21, oggi unificati nel macrosettore 08/F1. E’ probabile che ancora per un certo tempo resteranno problemi specifici riguardanti l’insegnamento dell’urbanistica nelle scuole d’Ingegneria, ma con il procedere della fusione nel macrosettore, dovranno essere assorbite in una visione d’insieme. L’associazione dei Territorialisti collabora intorno ad un approccio disciplinare ed indica un altro settore in cui possono svilupparsi aggregazioni per l’approfondimento di un filone di ricerche. Infatti è stata avanzata la proposta, tuttora in discussione , della costituzione di una Accademia urbana, per l’aggregazione di una pluralità di linguaggi e metodi operativi che stanno lentamente lacerando la disciplina, fino a farne perdere i confini.
Ostacolo alla felice convivenza delle associazioni, non bisogna negarlo, risiede in un loro vizio d’origine quando, nascendo per rappresentare un nuovo interesse che sorgeva nel nostro campo e restava ignorato delle organizzazioni già esistenti, si ponevano come alternative non specifiche ma totalizzanti. Credendo di rappresentare un nuovo approccio, una visione alternativa, contendevano gli spazi delle altre ed entravano in concorrenza sullo stesso terreno e finalità statutarie. Nonostante le intenzioni di alcuni, questa sostituzione non si è verificata: le associazioni sono tutte sopravvissute, allo stesso tempo cambiando in maniera più o meno accentuata rispetto al loro stato iniziale ed alle intenzioni dei fondatori e dirigenti. Si può dire che abbiamo assistito ad un processo di mutuo aggiustamento, sebbene imperfetto, nel senso che si è generato più per le opportunità di ritagliare delle nicchie in funzione di contesti e delle risorse di ciascuno che non di un consapevole piano di cooperazione.
Adesso questa svolta è necessaria. Le stringenti condizioni di crisi non danno più spazio al procedere spontaneistico e richiedono processi di ristrutturazione esercitando l’inevitabile pressione economica. Aggiustamenti incrementali sono sempre all’immediata portata e consentono di sopravvivere tamponando ogni volta l’emergenza più pressante. Hanno anche il pregio di proporre decisioni decisibili senza costi eccessivi. Tuttavia uno sguardo al quadro d’insieme potrebbe avere una sua utilità e la costruzione di rapporti di cooperazione giovare alla mission di ciascuna organizzazione. Altri benefici verrebbero dalle sinergie, anche in termini economici. Questi compiti di coordinamento nelle ong sono assolti dalle cosiddette associazioni “umbrella”. L’Inu, grazie al suo carattere già federativo, potrebbe candidarsi ad un tale ruolo in questa fase di contrazione dell’universo della pianificazione urbanistica. Porta in dote non solo il radicamento storico, ma una serie di strumenti, come le tre riviste Urbanistica, Urbanistica Informazioni e Planum. Per la sua consolidata trasversalità tra gli attori del settore, è in grado di coinvolgerli in quelle tematiche che vanno dalla ricerca al territorio e connotano la professione. Un esempio recente è la discussione che si è aperta sull’etica professionale, un tema in grado di costruire una identità di gruppo nel tracciare in maniera chiara una utilità sociale. In ogni caso potrebbe sentire il dovere, per la maggiore età, di farsi carico di offrire un tavolo di confronto perché un assetto cooperativo tra tutte le associazioni si raggiunga.