Questo servizio di UI si pone in continuità con quelli recentemente pubblicati su Urbanistica e Urbanistica informazioni in merito al tema della progettazione urbana sostenibile, con la finalità di proseguire a registrare e descrivere indirizzi e pratiche che, a diverse scale e con differenti declinazioni, caratterizzano la ricerca progettuale ormai in molte regioni del mondo. Il campo di applicazione della sostenibilità, infatti, è ampio tanto quanto il suo significato, e numerose sono le sue implicazioni con i temi del governo del territorio, configurandosi ormai essa non solo come pratica progettuale, ma come etica stessa del progetto.
Inoltre, di sostenibilità si può parlare a tutte le scale; ovvero essa trova declinazione e contenuti suoi propri in tutte le dimensioni della progettazione: dalla pianificazione territoriale alla progettazione edilizia, passando per la pianificazione urbanistica generale e per parti urbane. A ciascuno di questi livelli è possibile delineare strategie, politiche, regole mirate al suo perseguimento.
Tenendo consapevolmente sullo sfondo i significati economici e sociali della sostenibilità, in questo servizio si vuole puntare l’attenzione sugli aspetti ambientali; ciò in una accezione ampia di ambiente, che ingloba non soltanto la dimensione ecologica ed energetica, ma anche quella estetica e funzionale [1]. Quest’ultima dimensione, sia che venga considerata come parte integrante della sostenibilità ambientale, sia “quarto pilastro” dello sviluppo sostenibile [2], si intreccia attualmente con un rinnovato interesse per la forma urbana, anche questo testimoniato dalla pubblicistica più recente.
La dimensione alla quale sostenibilità ambientale e qualità formale producono gli esiti più concreti per le comunità è quella della progettazione urbana alla piccola scala o del quartiere. In questo campo la stagione attuale si caratterizza per un fertile intreccio tra professionalità, approcci, campi di attenzione del progetto: da un lato si diffonde l’uso delle strategie della progettazione bioclimatica anche con le finalità della qualificazione morfologica; dall’altro la progettazione della forma urbana assume anche la finalità di efficientare l’insediamento dal punto di vista energetico e ambientale. Soprattutto a questa scala, discipline un tempo assai distanti convergono e si integrano nella progettazione, superando la settorialità e la rigidità che hanno caratterizzato molti decenni della cultura progettuale, e che hanno comportato a lungo, tra l’altro, il confinamento delle questioni energetiche alla scala dell’edilizia, quasi che fosse l’unica da praticare.
Acqua, aria e rumore, suolo, natura, trasporti ed accessibilità, energia, rifiuti, consumo di suolo, ma anche tutela e recupero, qualità dello spazio pubblico, densità e mixitè, integrazione. I capisaldi sono ormai chiari e presenti in differente misura in tutte le buone pratiche descritte in questo servizio.
Ciò che si è chiesto di documentare è quel patrimonio di conoscenze, di progetti, di norme che declinano la sostenibilità alla scala dell’insediamento e non solo a quella edilizia. Progetti urbani dunque che integrano i criteri della bioedilizia nel trattamento degli impianti urbani, dei tessuti e, soprattutto, degli spazi aperti e di uso collettivo.
Da un lato si è trattato qundi di verificare lo stato dell’arte della progettazione bioclimatica applicata alla scala urbana attraverso l’introduzione di criteri bioclimatici per la progettazione dell’impianto, degli spazi aperti, del parterre, dei materiali, del verde, delle infrastrutture a rete; ciò nella consapevolezza una reale sostenibilità urbana non possa limitarsi alla progettazione di edilizia sostenibile, ma che debba essere sostenibile l’impianto urbano (e non solo, banalmente, la sommatoria dei singoli edifici). Dall’altro, l’interesse è stato anche quello di scorgere, in modo diversamente esplicito, quanto si potesse registrare un circolo virtuoso tra aspetti ecologici e aspetti formali; quanto, ovvero, stesse maturando una consapevolezza circa il legame sinergico tra salubrità e bellezza dell’ambiente urbano.
I contributi. La rivista raccoglie indirizzi, norme, criteri al livello regionale mirati alla adozione di criteri di sostenibilità ambientale nelle pratiche della progettazione urbana (Umbria, Puglia), contributi metodologici (l’ “indice di sostenibilità”) repertori di buone pratiche nella progettazione di spazi urbani, dalle scale più minute (la piazza, le attrezzature pubbliche) alle politiche più complesse e articolate che riguardano parti urbane investite da processi di riqualificazione (Taranto, Santiago, Varedo, Verona), fino al caso più complesso ed emblematico della riconversione profonda delle aree deindustrializzate (Bagnoli).
In funzione della scala dell’intervento e il suo essere o meno inscritto, a sua volta, in una strategia più complessiva di rigenerazione ambientale definita dagli strumenti di governo del territorio (nel quali spesso la Valutazione Ambientale Strategica svolge una significativa funzione di orientamento delle azioni), gli interventi riguardano aspetti strutturali dell’impianto urbano (le reti tecnologiche, l’approviginamento energetico, il riassetto, anche fisico, del sistema dei trascporti, la costruzione morfologica) fino a interventi di dettaglio, apparentemente assimilabili ad un accurato arredo urbano. Tratti rintracciabili, con diversa intensità in funzione soprattutto della scala (un piccolo spazio pubblico piuttosto che un quartiere) e della tipologia di intervento (recupero, riqualificazione, nuovo impianto) nelle varie esperienze sono: il miglioramento del microclima urbano attraverso tecniche che consentano la riduzione delle isole di calore, una accurata gestione della risorsa idrica, quasi sempre riusando le acque meteoriche per l’irrigazione; la previsione di una molteplicità di spazi verdi e di parchi incuneati nelle aree insediate, a costituire nodi ecologici e paesaggistici, e di specchi d’acqua, sia mirati alla fruizione, sia soprattutto alla rigenerazione degli ambienti d’acqua; la produzione di energia da fonte rinnovabile e l’uso di impianti complessi (trigenerazione) per evitare la dissipazione del calore; la promozione di una mobilità sostenibile, sia intervenendo sul riassetto delle infrastrutture mirato ad accogliere forme di mobilità dolce, sia sull’uso di tecnologie di trasporto meno impattanti (filovia, tram); l’uso dell’orientamento e e della disposizione degli edifici e delle essenze rispetto ai venti a vantaggio del comfort dell’insediamento.
A fronte dei casi descritti e della letteratura che li accompagna, se almeno nelle esperienze più avanzate tutti questi elementi costituiscono delle costanti nelle scelte e nei contenuti progettuali, converrà ‘spostare l’asticella più in alto’, chiedersi cioè quanto altro si debba fare per la qualificazione dell’ambiente ubano; ciò almeno in due direzioni: in termini di valutazioni di effettiva efficacia di quanto acquisito; in termini di traduzione delle esperienze in codici di comportamento da poter diffusamente applicare. Due direzioni da descrivere almeno brevemente.
Anzitutto il monitoraggio: come spesso è accaduto, i bilanci delle esperienze, anche le più innovative, tendono a sfumare nell’oblio. Allora individuare indicatori chiari e misurabili, creare banche dati e garantirne l’aggiornamento, elaborare programmi di verifica periodica, per capire se davvero i bilanci energetici di previsione (spesso impressionanti quanto a tonnellate di CO2 non emesso, mc di acqua non consumata ecc.), siano effettivamente rispondenti a consuntivo. Ma anche monitorare la effettiva qualità formale degli spazi costruiti, attraverso l’osservazione delle pratiche e della intensità degli usi, del radicamento che le comunità costruiscono rispetto ad essi.
In secondo luogo, la diffusività: se la progettazione ubana sostenibile non supera la soglia di alcune esperienze di punta per configuarsi come pratica corrente per la trasformazione urbanistica, a qualunque scala e per qualsivoglia tipologia di intervento, gli effetti benefici di tali ricerche e di tali pratiche sono gocce nell’oceano. Ciò che serve -ovviamente in prospettiva- è una riconversione in chiave sostenibile dell’intero insediamento umano: città, infrastrutture, aree produttive, le stesse pratiche agricole. Per realizzare questo obiettivo occorre che da subito le norme siano incardinate sui criteri di una sostenibilità non solo dichiarata, ma anche concretamente praticata: spostando i requisiti della sostenibilità da condizione aggiuntiva a carattere sostantivo degli interventi stessi. Gli attuali vincoli normativi, unitamente al costo professionale ed economico-finanziario, anche derivante dall’incertezza sull’iter approvativo (si pensi ad esempio all’efficientamento energetico del patrimonio edilizio storico) incidono sulla effettiva praticabilità delle innovazioni descritte, la cui valutazione può contribuire a riorientare le stesse nuove norme. Gli esempi registrati (Umbria, Puglia) sembrano muoversi in questa direzione, pur attraverso percorsi diversi: la prima attraverso il progressivo inserimento dei requisiti di sostenibilità all’interno dei programmi complessi regionali, la seconda elaborando un proprio apparato di indirizzi e linee guida per la pianificazione urbanistica [3].
Per ambedue le problematiche, la parola passa al governo del territorio, alla sua capacità di trasformare le conquiste delle sperimentazioni in ordinarietà, nonché di controllarne caratteri ed esiti.
[1] Il principio è chiaramente affermato nella Carta di Lipsia (2007); si veda anche D. Cecchini, “Una nuova stagione”, Urbanistica 141, op. cit.
[2] Come è noto, già nella conferenza di Rio (1992), lo sviluppo sostenibile assume le caratteristiche di concetto integrato, avocando a sé la necessità di coniugare le tre dimensioni fondamentali e inscindibili di Ambiente, Economia e Società.
[3] Oltre alle nuove norme in campo urbanistico, ambedue le Regioni legiferano in materia di sostenibilità, nel 2008: l’Umbria con la Lr 17/2008 “Norme in materia di sostenibilità ambientale degli interventi urbanistici ed edilizi”, la Puglia con la Lr 13/2008 “Norme per l’abitare sostenibile”, cui ha fatto seguito la approvazione del “Sistema di valutazione del livello di sostenibilità ambientale degli edifici”.