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La rinuncia al futuro e qualche possibile rimedio

Secondo un celebre e citatissimo aforisma di Paul Valery il principale problema della sua generazione poteva essere ricondotto molto semplicemente alla circostanza per cui “il futuro non era più quello di un tempo”. Ne conseguiva, ad esempio, che le formule e le letture del mondo che si rendevano disponibili agli inizi del XX secolo si occupavano essenzialmente del presente, e lo interpretavano secondo modelli esplicativi ormai superati. E questo mentre l’ansia per il futuro cominciava a farsi strada nella società, nella cultura e nell’arte dell’intera scena europea.
Conviene sottolineare a questo punto che tale inadeguatezza era (ed è) assai più comune di quello che il poeta e filosofo francese riteneva, e analoghe considerazioni potrebbero essere applicate molto probabilmente a tutti i più importanti momenti di transizione che hanno caratterizzato la nostra storia. Dobbiamo infatti prendere atto che, per quanto gli esseri umani siano costantemente occupati a pensare al domani, il modo in cui quest’ultimo viene immaginato cambia incessantemente, e mette continuamente a repentaglio i luoghi comuni e le visioni schematiche con cui cerchiamo di interpretarlo. Contrariamente a quanto siamo abituati a ritenere, esso chiama in causa il più delle volte una peculiare concezione del presente, e presuppone al tempo stesso la capacità di quest’ultimo di aprirsi con coraggio alle anticipazioni, e alle suggestioni, di un progetto per l’avvenire.
Entro certi limiti è proprio il bilanciamento che si determina tra questi due orientamenti contrapposti a caratterizzare l’apertura al futuro di una determinata stagione, con oscillazioni assai significative che nella storia del nostro Paese hanno finito per tracciare una traiettoria discendente a partire dal secondo dopoguerra. Una parabola che dallo slancio vertiginoso degli anni del “miracolo economico” declina progressivamente in direzione dell’ondata neo-liberista degli anni ’80, e poi della fase più recente della pandemia, delle minacce del bellicismo e della conflittualità permanente, sino a concludersi, almeno provvisoriamente, con l’esacerbazione dei rischi del cambiamento climatico.
Trasformazioni di tale portata incidono in profondità nella organizzazione dei sistemi insediativi e delle principali attività economiche, ma sono destinati a produrre cambiamenti ancor più significativi nella psicologia e nelle motivazioni dei protagonisti della riflessione sul futuro, come nel caso dei responsabili del dibattito pubblico, o in quello dei portatori di una competenza specialistica nel campo della pianificazione e del Governo del territorio. Sia per gli uni che per gli altri il venir meno della capacità e dell’interesse ad elaborare scenari e visioni di lungo periodo ha comportato il diffondersi del ’presentismo’, e cioè della convinzione che esista solo il presente, e che il futuro e il passato debbano essere ritenuti una sorta di costrutti immaginari di cui è possibile disinteressarsi.
Fin qui le oscillazioni registrate nella cultura e nel costume della nostra epoca possono trovare fertili rappresentazioni in letture filosofiche e antropologiche, [1] ma è soprattutto nel dibattito politico e nel concreto esercizio della pianificazione che l’esaurirsi della capacità di immaginare il futuro tende a produrre le sue conseguenze più preoccupanti. Nella misura in cui l’orizzonte delle nostre aspettative corre il rischio di diventare sempre più asfittico, anche lo spazio per proporre obiettivi ambiziosi e di interesse collettivo si restringe di conseguenza, e tende inevitabilmente a prevalere un impulso all’individualismo che è destinato ad influire in modo decisivo sui progetti di vita, sulle scelte di consumo e, in definitiva, sul rifiuto ad impegnarsi in progetti che chiamino in causa il concetto di cittadinanza e la responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’ambiente e degli altri beni collettivi.
Almeno a prima vista l’attuale tendenza a rinunciare al futuro e ad occuparsi unicamente dei propri interessi personali ci appare incontenibile, ma può e deve essere contrastata dimostrando innanzitutto che la ’costruzione’ del futuro deve essere immaginata essenzialmente come un’attitudine (e una responsabilità) che deve essere pazientemente coltivata nell’individuo e nelle compagini sociali di riferimento. Ne consegue pertanto che il futuro non deve essere concepito come una meta da raggiungere al termine di un determinato percorso, quanto piuttosto il risultato di un processo di capacitazione che sviluppa l’attitudine individuale e collettiva a pensare a lungo termine e ad “anticipare” gli eventi futuri (Gidley 2022).
In linea con questo approccio costruttivista, è necessario che il discorso pubblico, la ricerca e la riflessione disciplinare sui temi del Governo del territorio facciano la loro parte, non solo educando e ’preparando’ i propri interlocutori più diretti (le istituzioni, gli urbanisti, i docenti universitari, i cittadini, ecc.), ma cercando altresì di dimostrare che il successo di un’iniziativa di questo tipo presuppone la convinta partecipazione delle comunità urbane più direttamente coinvolte.
Per quanto riguarda ad esempio il ruolo che l’Istituto nazionale di urbanistica si è assunto, stiamo concretamente provando ad offrire il nostro contributo nell’ipotesi, tutta da verificare, che le forze politiche saranno effettivamente in grado di mettere a punto una idea di Paese nella quale collocare le tracce di futuro a cui noi, insieme ad altri soggetti, stiamo lavorando.
Una prima, rilevante iniziativa è costituita senza dubbio dalla proposta di una “Legge di principi fondamentali e norme generali per il Governo del territorio e la pianificazione”, che abbiamo presentato solo pochi mesi fa e di cui abbiamo ampiamente parlato in questa sede, ma di cui voglio sottolineare un contenuto dell’articolato che non è stato ancora evidenziato. È questo il caso senza dubbio dei principi e delle finalità del Governo del territorio elencati in questo nuovo testo (art. 2), che ad oltre 80 anni di distanza ridefinisce ed attualizza gli obiettivi generali che erano stati indicati dalla legge urbanistica nazionale. [2] Si fa riferimento, più in particolare, alla introduzione di temi ed impegni che sottolineano la necessità di ispirare il Governo del territorio ai principi della sussidiarietà, della sostenibilità, della eguaglianza territoriale e della massima inclusività dei sistemi urbani, nonché al ricorso ad un adeguato fondamento conoscitivo delle decisioni, al coinvolgimento dei cittadini nelle scelte operate dalla pianificazione, al ricorso alla perequazione con equo riparto di vantaggi ed oneri nell’attuazione delle previsioni di piano, alla compensazione degli impatti delle trasformazioni ed infine alla compressione dei diritti proprietari.
In questa nuova prospettiva l’esercizio della pianificazione può far leva sull’introduzione di postulati realmente innovativi, che consentono alla pianificazione di dialogare con le altre discipline (tutela dei beni culturali, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la finanza pubblica e il sistema tributario), e di soddisfare in questo modo la domanda di interdisciplinarietà e di integrazione che è ormai connaturata alla nozione stessa di Governo del territorio. Nelle intenzioni dell’Inu questo nuovo ordinamento può rappresentare non solo un’essenziale base di riferimento per la legislazione regionale di nuova generazione, ma al tempo stesso può offrire utili suggestioni in materie inevitabilmente interagenti che competono esclusivamente allo Stato (tutela dei beni culturali, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - Lep e, come si è detto, la finanza pubblica e il sistema tributario), e che poi troveranno nel territorio il proprio punto di caduta.
È ragionevole supporre che le valutazioni critiche più generali da cui siamo partiti in questo contributo – e che ruotavano intorno alla convinzione del progressivo venir meno di un’idea di futuro che fosse in grado di mobilitare l’impegno delle nuove generazioni – possano trovare un antidoto efficace in una proposta di legge che attribuisce ai principi generali del Governo del territorio il compito di costituire il ’palinsesto combinatorio’ che ne consente un’applicazione valoriale dinamica nel tempo, e che sono in grado di attribuire alle undici finalità che ne conseguono la missione di conseguire alcune importanti istanze che sono alla base di un possibile rilancio del Paese e del governo del suo territorio.
Nel partire dalla necessità di fondare le scelte di piano sullo sviluppo e il continuo aggiornamento delle conoscenze degli aspetti fisici, naturali e antropici, sociali ed economici del territorio e delle città, l’elencazione delle finalità del Governo del territorio proposta dal testo di legge elaborato dall’Inu individua nella rigenerazione urbana e territoriale e nel contenimento del consumo di suolo le missioni fondamentali di cui farci carico in vista del perseguimento della neutralità climatica e del contrasto alle cause del riscaldamento globale. Anche in questo caso la nozione di futuro di cui abbiamo bisogno deve riuscire a combinare scale temporali anche molto diverse, favorendo cioè lo sviluppo parallelo di politiche a medio e a lungo-termine nel campo rispettivamente della rigenerazione urbana e territoriale e della transizione ecologica.
Ma dove l’idea di futuro è destinata a misurarsi più concretamente con le effettive potenzialità dell’uomo di puntare al conseguimento di obiettivi ambiziosi e a lungo termine è proprio l’esercizio della pianificazione del territorio in quanto tale. Anche se questa funzione prefigurativa della disciplina urbanistica può apparire ormai acquisita, non si può dimenticare che soprattutto negli ultimi anni – e nel nostro Paese – il prestigio e l’autorevolezza del planning ha subito una evidente battuta di arresto. Si tratta di una criticità che dipende non solamente dalla obsolescenza, come abbiamo visto, del quadro normativo di riferimento, ma anche dal diffondersi della convinzione, non sempre ingiustificata, che la complessità e la frequente inefficacia degli strumenti di pianificazione possono imprimere una battuta d’arresto anche nei programmi più rilevanti ed urgenti di rigenerazione urbana e territoriale.
Eppure conviene sottolineare che rispetto alle nuove sfide che caratterizzano il nostro tempo, e che riguardano il superamento delle principali ingiustizie territoriali, la lotta al cambiamento climatico, la transizione ecologica e la prevenzione dal rischio idrogeologico, esiste nella maggioranza dei casi una significativa differenza di risposta tra i territori pianificati e quelli che hanno invece pensato di poter fare a meno del piano. L’indiscutibile esistenza di un effetto positivo delle attività di Governo del territorio costituisce a ben vedere un fattore decisivo, che può convincere finalmente le istituzioni del nostro Paese ad impegnarsi in un processo di riforma di livello nazionale, ed è questa la ragione più profonda per cui abbiamo deciso di dedicare al “piano utile” il nostro trentaduesimo Congresso nazionale che si svolgerà a Roma nella primavera del 2025.
Se infatti siamo convinti che non bastano gli strumenti normativi e le politiche pubbliche che abbiamo oggi a disposizione per progettare azioni ottimali di rilancio e di rinascita del nostro territorio, non possiamo fare a meno di pensare che la pianificazione debba continuare a godere di un credito che deve essere riconosciuto, e ad esercitare una funzione insostituibile di orientamento e controllo almeno per quanto riguarda gli ambiti di intervento su cui si misura in ultima analisi l’attitudine a concepire e a realizzare il nostro futuro.

Riferimenti

Gidley J. M. (2022), Humanity’s Great Creativity Reset: Designing Worlds beyond the Grand Global Futures Challenges, Routledge, Oxford.
Merlini F. (2019), L’estetica triste, Bollati Boringhieri, Milano.

[1Cfr. Merlini (2019).

[2Nella L 1150/1942 si faceva riferimento, in particolare, all’obiettivo di disciplinare l’attività urbanistica, di provvedere all’assetto e all’incremento edilizio dei centri abitati e allo sviluppo urbanistico del territorio del Regno, e alla attribuzione al Ministero dei Lavori pubblici del compito di vigilare sull’attività urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, e di frenare la tendenza all’urbanesimo.

Data di pubblicazione: 15 agosto 2024