Urbanistica INFORMAZIONI

La ricerca della “giusta distanza”

I giorni drammatici e confusi dell’isolamento coatto che ci vede ancora confinati ci trasmettono l’evidente paradosso di una società contemporanea che è ormai dominata dalla sua componente urbana, ma che sembra paralizzata dalla minaccia della promiscuità e della eccessiva densità di un modello insediativo sul quale ha fondato le sue fortune. Nel ricercare una giusta distanza tra le esigenze del “distanziamento sociale” e le lusinghe della promiscuità e della ibridazione, le iniziative del governo e il dibattito politico-istituzionale sembrano ignorare la possibilità di tener conto del punto di vista degli urbanisti su una materia che pure li dovrebbe riguardare da vicino. Si tratta di una dimenticanza che appare piuttosto incredibile, ma almeno in questa sede non credo sia il caso di lamentarsi. Conviene sottolineare infatti che sul mancato inserimento di architetti o urbanisti nel piccolo esercito di esperti che è stato arruolato dal governo per orientare le scelte della pubblica amministrazione pesa la responsabilità di queste stesse figure professionali, che in un recente passato non hanno saputo reagire al progressivo oscuramento delle responsabilità tecniche, politiche e civili che gli erano tradizionalmente attribuite.

Ben più importante della segnalazione di questa assenza non giustificata appare invece la consapevolezza del pericolo che nei prossimi mesi si riproponga quella sottovalutazione della dimensione spaziale delle politiche pubbliche che ha penalizzato in passato il nostro Paese, con la conseguenza che il superamento degli effetti più traumatici della pandemia venga affidato a interventi economici a pioggia, laddove si dovrebbe puntare al contrario su di una attenta incentivazione della domanda interna e sul varo di un nuovo ciclo di investimenti sul territorio.

Come l’INU sta rimarcando con forza, il superamento degli effetti più traumatici del Covid-19 può comportare un’autentica frattura tra la fase immediatamente precedente lo scoppio dell’epidemia - in cui sembrava finalmente possibile modificare in modo sostanziale un paradigma socio-economico che evidenziava importanti segnali di affaticamento - e un processo di ricostruzione che rischia di compiere un’autentica inversione di marcia. Tanto che, proprio mentre si diffonde la convinzione che “nulla sarà più come prima”, si pongono le basi di un forte impulso alla restaurazione, disseminando a 360 gradi un flusso straordinario di risorse, prevalentemente a debito, che invece potrebbero attivare importanti fattori propulsivi.

Nella consapevolezza che i prossimi mesi si riveleranno cruciali non solo per elaborare un modello di convivenza con il virus in grado di garantire la sicurezza sanitaria e la progressiva ripresa delle attività, ma anche per favorire l’avvio di un processo di ricostruzione di lungo periodo, l’Istituto ha invitato in primo luogo i suoi soci, e poi le Istituzioni, le amministrazioni locali, il mondo universitario e della ricerca a partecipare ad una elaborazione collettiva sulle vie di uscita dall’emergenza post Covid-19, e sui possibili scenari che caratterizzeranno l’esplorazione delle strategie da impiegare nel rilancio delle città italiane.

Oltre a prevedere l’attivazione di un Forum sulla piattaforma web dell’Istituto, questa riflessione ha già prodotto un primo documento di sintesi (Superare l’emergenza e rilanciare il Paese) che verrà presentato nelle prossime settimane, e che si propone di adottare l’approccio riformista che l’INU ha applicato finora alla evoluzione della disciplina urbanistica - con risposte prevalentemente indirizzate al sistema di pianificazione e ai settori della rigenerazione urbana, della dotazione urbanistica e territoriale e della configurazione degli spazi pubblici – e che ora verrà impiegato per mettere in luce una rinnovata capacità di proporre scenari e visioni a lungo termine.

Nel promuovere un programma così impegnativo sarà necessario coinvolgere nella discussione il più ampio numero di interlocutori e di punti di vista convergenti, a partire ad esempio dagli scritti raccolti da Gabriele Pasqui per questo stesso numero di Urbanistica Informazioni. Nel suo contributo Pasqui prefigura, ad esempio, uno scenario auspicabile in cui investimenti e nuove policy “centrate sulla conversione ecologica dell’economia, sensibili alla transizione climatica e capaci di consolidare la resilienza dei nostri territori” riescano a impedire che misure imponenti, ma al tempo stesso di corto respiro, finiscano per riproporre un modello di sviluppo che si è rivelato ormai insostenibile.

Come abbiamo cercato di sottolineare nei nostri primi interventi sul dopo emergenza, l’INU condivide integralmente questa lettura, e punta da un lato a sollecitare l’attuazione di una politica di alleanze che riesca a contrastare la tendenza – che si preannuncia molto forte – a restaurare il vecchio modello di sviluppo, e dall’altro a consigliare l’adozione di soluzioni pragmatiche e convincenti per la messa in sicurezza degli insediamenti ad alta densità dai pericoli del contagio, proponendo rimedi che affrontino le principali criticità manifestate dai trasporti urbani, dagli spazi di uso collettivo, dalle attrezzature culturali e dai luoghi della socializzazione.

Nel perorrere quella linea di crinale che separa la proposta di una visione di lungo periodo, e utilizzabile soprattutto per far ripartire e rigenerare i territori e le città italiane, dalla ricerca di strumenti sperimentali e tecniche di intervento di nuova concezione, che invece si riveleranno utilissimi per affrontare gli elementi di novità con cui la disciplina urbanistica dovrà misurarsi, il documento “Superare l’emergenza e rilanciare il Paese” cerca di offrire un ragionevole quadro di sintesi. In questo modo il contributo si colloca alla giusta distanza tra l’individuazione di un primo elenco di questioni fondamentali da approfondire in vista delle sfide che dovremo affrontare nei prossimi mesi – e che presuppongono una interlocuzione diretta con rappresentanti autorevoli della Pubblica Amministrazione – e l’elaborazione di nuovi protocolli tecnici e modalità di intervento da applicare al ridisegno delle aree a più alta frequentazione, che invece converrà affidare alla attività di studio e di proposta delle Communities dell’Istituto.

Quanto al primo ambito di riflessione evidenziato, una prima, potente suggestione è offerta da studiosi del calibro di Jeremy Rifkin o Joseph Stiglitz, che mirano ad associare l’avvento di un nuovo paradigma sociale ed economico alla capacità di esercitare un’imponente azione di contrasto nei confronti del climate change. Nel confermare la validità di tale proposta si rende necessaria una postilla in chiave post Covid-19, che evidenzia come la prospettiva di un nuovo modello di sviluppo equo ed ecologicamente orientato non debba essere rinviata a quando la fase più acuta della crisi potrà dirsi superata, perché a quella data è assai probabile che le risorse straordinarie che verranno messe in campo durante l’emergenza non saranno più disponibili, e gli effetti cumulativi prodotti dal riscaldamento del pianeta saranno divenuti ormai irreversibili.

Nello scenario che tende a delinearsi, e nella convinzione che fin dal prossimo autunno la richiesta di interventi economici a pioggia da parte di un numero crescente di settori in crisi diventerà incontenibile, sembra pertanto urgente elaborare un disegno condiviso di un processo di ricostruzione coerente e di lungo periodo, che punti a contrastare la tendenza alla marginalizzazione dei sistemi di pianificazione e di programmazione degli interventi pubblici.

E’ il caso di iniziare dalla richiesta di una sistematica territorializzazione degli investimenti e dalla messa in coerenza del nuovo ciclo dei fondi strutturali 2021-2027, e di puntare altresì verso una maggiore convergenza tra la Strategia Nazionale per le Aree Interne e i provvedimenti di ricostruzione e di messa in sicurezza delle aree investite dal sisma del 2016, nell’ipotesi realistica che le relazioni tra la regione appenninica e le aree più densamente urbanizzate dell’Italia centrale saranno probabilmente destinate a intensificarsi dopo la pandemia.

Ma si tratta altresì di ribadire la centralità delle aree metropolitane e delle città medie nel programma di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, e di rilanciare l’adesione dell’Italia al grande progetto europeo del Green New Deal, che attraverso la decarbonizzazione del sistema produttivo, il sostegno all’economia circolare e il ricorso alla rigenerazione urbana e al turismo sostenibile intende perseguire l’adattamento e la mitigazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico all’interno di comunità urbane più sane, sostenibili e giuste.

Per quanto riguarda invece il secondo ambito di riflessione richiamato in precedenza, il nostro impegno dovrà mirare essenzialmente al superamento delle criticità manifestate dal sistema insediativo e dalla stessa forma urbana, che saranno oggetto in futuro di una sfida particolarmente impegnativa, da cui ci si attende la conferma che i pericoli dell’agglomerazione della popolazione possono convivere efficacemente con le opportunità offerte dalla prossimità solo grazie al contributo offerto dalla cultura della pianificazione, e dalla sua capacità di provare che un altro modo di concepire le città e il loro governo è ancora possibile.

In attesa della definizione di una nuova sintassi dello spazio pubblico e della rigenerazione urbana, si avverte l’esigenza di far convergere l’impegno di amministrazioni locali, imprese, progettisti e cittadini su una pluralità di ambiti di sperimentazione, che spaziano dal potenziamento e dalla riqualificazione delle aree a verde pubblico alla gestione di spazi collettivi attrezzati a parco o giardino e all’incremento delle aree da destinare a boschi e orti urbani, da progettare seguendo i criteri di una effettiva accessibilità e fruibilità, della continuità ecologica, della funzionalità eco-sistemica e del miglioramento della biodiversità.

Nel tentativo di migliorare le performance delle nostre città, e di perseguire gli obiettivi di lungo periodo dettati dagli ambiziosi programmi di rilancio del dopo pandemia, è possibile puntare a un incremento della resilienza urbana che si affidi alla razionalizzazione del ciclo delle acque (depurazione e riduzione delle perdite), alla desigillazione di suoli impermeabili pubblici e privati, alla bonifica dei suoli inquinati e alla promozione di interventi diffusi di adattamento ai rischi idraulici e sismici attraverso azioni di modifica delle arginature fluviali e di messa in sicurezza del patrimonio edilizio a più bassa efficienza.

Un elenco di interventi già così corposo può essere ulteriormente arricchito affiancando alla prevenzione del rischio idrogeologico gli obiettivi, egualmente importanti, del miglioramento del bilancio energetico, del riequilibrio dell’offerta di accessibilità e del potenziamento delle dotazioni urbanistiche nel campo delle attrezzature di interesse collettivo e della edilizia sociale. Si tratta di un’agenda urbana particolarmente ambiziosa, ma anche a prescindere dalla difficoltà di assicurarne la fattibilità finanziaria, la messa in cantiere di una gamma così articolata di interventi appare difficilmente compatibile con le risorse tecnico-amministrative a disposizione degli enti locali. Ne consegue pertanto l’esigenza di far precedere gli interventi e le misure di rilancio con cui superare la fase di emergenza sanitaria, economica e sociale dal varo di un piano nazionale di potenziamento delle strutture tecniche degli enti locali, con procedimenti di rapido reclutamento, e con profili di competenze che consentano la digitalizzazione di tutti i processi, sia tecnico-progettuali che amministrativi, e il ricorso sistematico alle procedure di valutazione.

Data di pubblicazione: 6 luglio 2020